Veduta aerea di Torino, tra lke città più inquinate d'Italia. Foto di Marie Rouilly/Unsplash
Veduta aerea di Torino, tra lke città più inquinate d'Italia. Foto di Marie Rouilly/Unsplash

I processi agli ecoreati cadono nel vuoto e nell'indifferenza

A Torino il processo sullo smog si è chiuso prima di cominciare, confermando il fallimento delle inchieste che trattano temi ambientali. Nei pochi casi in cui si arriva alla condanna, gli imputati non scontano la pena

Marco Panzarella

Marco PanzarellaRedattore lavialibera

14 maggio 2025

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L’8 maggio la procuratrice generale di Torino, Lucia Musti, ha rinunciato all’appello nel processo che vedeva imputati, fra gli altri, gli ex sindaci del capoluogo piemontese Piero Fassino e Chiara Appendino e l’ex presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, accusati di inquinamento ambientale, uno degli ecoreati introdotti dieci anni fa nell’ordinamento giuridico italiano.

Il reato di inquinamento ambientale punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a 100.000 euro chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. La norma prevede, inoltre, che nel caso in cui l'inquinamento è prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, o in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata da un terzo alla metà. Nel caso in cui l'inquinamento causi deterioramento, compromissione o distruzione di un habitat all'interno di un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, la pena è aumentata da un terzo a due terzi.

L’indagine “smog”, come l’hanno ribattezzata i media, risale al 2017 e aveva suscitato un discreto clamore: per la prima volta, infatti, i magistrati contestavano il reato di inquinamento ambientale, nella forma colposa, a rappresentanti delle amministrazioni pubbliche – sindaci, presidente della Regione e relativi assessori all’Ambiente – sospettati di non avere adottato le necessarie contromisure per ridurre i livelli di polveri sottili in città, in molti casi al di sopra dei limiti di legge. La rinuncia al processo di appello fa seguito alla sentenza pronunciata il 4 luglio 2024, in fase pre-dibattimentale, dal tribunale di Torino, che aveva prosciolto tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste”.

La decisione della procura generale di Torino ha spiazzato gli inquirenti che hanno condotto l’indagine nonché il Comitato Torino Respira, che si era costituito parte civile

L’8 maggio la procuratrice Musti si è presentata di persona in aula per comunicare la decisione, spiegando di condividere le conclusioni del giudice per le udienze preliminari, Roberto Ruscello, e facendo notare, tra le altre cose, il “tecnicismo che connota il materiale probatorio messo a disposizione del giudice di prime cure”.  Il riferimento è alla corposa mole di relazioni e datiepidemiologici prodotti dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpa) sulle morti premature causate dallo smog, nonché gli atti delle amministrazioni locali sulle misure adottate per arginare il problema.

Cosa sono i crimini ambientali?

La decisione della procura generale ha spiazzato gli inquirenti, nonché il Comitato Torino Respira, che si era costituito parte civile. “La normativa italiana non permette di individuare chiaramente le responsabilità per la morte prematura e le malattie di migliaia di cittadine e cittadini a causa dell’inquinamento atmosferico”, si legge in una nota diramata dal Comitato, che poi rincara la dose: “C’è una tendenza di parte della magistratura di proteggere i ‘colletti bianchi’ e di perseguire chi cerca di proteggere l’ambiente”.

Smog, il processo a Torino finisce prima di cominciare

Deluso anche l’avvocato Marino Careglio, che assiste il Comitato: “Facciamo fatica a comprendere le motivazioni che hanno indotto la procura generale a rinunciare all’impugnazione presentata da un altro ufficio che per anni si è occupato di approfondire, sotto un profilo tecnico e giuridico, la tematica del grave inquinamento che affligge la nostra città”.

Tra diritto e giustizia

Smog, Eternit e pfas sono gli elementi chiave di tre vicende che lavialibera ha seguito da vicino in questi ultimi anni. Storie differenti che hanno un denominatore comune: l’azione dei cittadini che, in forma autonoma o riuniti in associazioni, hanno denunciato alle autorità competenti, arrivando in certi casi a produrre delle prove poi utilizzate degli inquirenti. Nella maggior parte dei casi queste battaglie rimangono però circoscritte a una cerchia ristretta di persone, principalmente per due motivi: spesso il pericolo ambientale è poco percepito a livello sociale e non c'è, nei confronti dei reati commessi dai colletti bianchi come imprenditori e politici, quel trasporto emotivo che invece connota i crimini “convenzionali” (omicidi, rapine, ecc).

I pfas sono anche nel vino, Europa in allarme

Secondo Rosalba Altopiedi, professoressa associata di sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale all’Università di Torino, “in materia di reati ambientali, il diritto penale ha le armi spuntate; è davvero molto complesso ricostruire il nesso di casualità tra azione colposa o dolosa e conseguenza”. La storia dimostra, inoltre, che solo in rari casi gli enti locali e il governo hanno promosso azioni contro chi si è reso colpevole di reati ambientali. “Nella vicenda ex Ilva – dice Altopiedi –, dopo che nel 2012 il giudice per le indagini preliminari (gip) aveva disposto il sequestro degli impianti, il governo cominciò a tirare fuori una serie di decreti per salvare lo stabilimento”.

“Il diritto penale, per come è strutturato, non è in grado di rispondere alle legittime esigenze di giustizia che provengono dalle comunità contaminate”, dice Rosalba Altopiedi

L’introduzione degli ecoreati, almeno sulla carta, avrebbe dovuto segnare un cambio di passo, ma i fatti dicono che non è avvenuto. “Non sono certa che la sede penale sia la più opportuna per contratare i reati ambientali – osserva la docente –, non perché questi comportamenti siano meno gravi di altri, anzi al contrario producono un enorme danno sociale. È proprio il diritto penale, per come è strutturato, a non essere in grado di rispondere alle legittime esigenze di giustizia che provengono dalle comunità contaminate”.

Potenti e impuniti. Anche i ricchi delinquono

In tal senso, è attuale il pensiero del sostituto procuratore generale della Cassazione, Francesco Iacovello, che nel novembre del 2014, durante la requisitoria del processo Eternit, poi conclusosi con l'annullamento della sentenza di condanna della Corte d'appello di Torino per prescrizione, aveva pronunciato le seguenti parole: “Alla fine la prescrizione non risponde a esigenza di giustizia sociale, ma stiamo attenti a non piegare il diritto alla giustizia sostanziale (…). È naturale che le parti offese scelgano la strada della giustizia, ma quando il giudice è posto di fronte alla scelta drammatica tra diritto e giustizia non ha alternativa. È un giudice sottoposto alla legge: tra diritto e giustizia deve scegliere il diritto”.

Eternit e il caso Rubiera

La vicenda Eternit dimostra che quando all’azione dei magistrati si affianca una spinta proveniente dalla società civile è possibile ottenere dei risultati. Non a caso, lo scorso aprile, la Corte d’assise d’appello di Torino, nell'ambito del processo Eternit bis, ha condannato l’imprenditore svizzero ed ex proprietario dello stabilimento Eternit di Casale Monferrato, Stephan Schmidheiny, a 9 anni e 6 mesi per omicidiocolposo. Una pena che molto probabilmente il magnate del cemento-amianto non sconterà mai, ma che comunque, almeno per le associazioni dei familiari, ha un grande valore simbolico.

Eternit bis, Schmidheiny condannato a 9 anni

Laddove, invece, viene meno il contributo della comunità, c’è il rischio che l’iter giudiziario si esaurisca. È quanto accaduto a Rubiera, in provincia di Reggio Emilia, dove fino ai primi anni Novanta aveva sede uno degli stabilimenti italiani di Eternit. In questo comune che conta poco più di 14mila abitanti ancora oggi si registrano decessi causati dal mesotelioma, il tumore che si sviluppa inalando le fibre di asbesto.

Il processo per l’omicidio colposo di 52 persone che si sarebbe dovuto celebrare a Reggio Emilia, nel 2021 è stato archiviato dal gip su richiesta del pubblico ministero Giulia Stignani, senza che nessuno – compresi il sindaco e i familiari delle vittime – ne fossero a conoscenza. E così, mentre da altre parti per Schmidheiny è arrivata una sentenza di condannato, a Rubiera non c’è mai stato neppure il dibattimento.

Eternit, il processo dimenticato

Legge sugli ecoreati, il bilancio dieci anni dopo

Valutare a dieci anni di distanza gli effetti della legge 68/2015 sugli ecoreati non è semplice. "La gestazione della norma è stata lunga – spiega Altopiedi – fino a quando nel maggio 2015 c'è stata un'improvvisa accelerata, conseguente alla pronuncia della Cassazione su Eternit". 

Libera e Legambiente hanno tracciato un bilancio che sarà discusso alla conferenza nazionale ControEcomafie, in programma a Roma (Dipartimento di Giurisprudenza di RomaTre) il 16 e 17 maggio. Nel report è emerso che dal 2015 al 2024 sono stati accertati 6.979 reati ambientali, uno ogni tre controlli effettuati. La Campania è la regione con il più alto numero di reati, seguita da Sardegna, Puglia, Lombardia e Sicilia, quest’ultima al primo posto come valore economico dei sequestri effettuati.

lavialibera a #Salto25 e Controecomafie

I dati confermano, inoltre, che il 40,5 per cento degli illeciti coinvolgono le quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa: Campania, Puglia, Sicilia e Calabria. Il reato più frequente è l’inquinamento ambientale (1.426 casi) con 2.768 persone denunciate, 136 ordinanze di custodia cautelare e 626 sequestri, per un valore di oltre 380 milioni di euro. A seguire, l’attività organizzata di traffico illecito di rifiuti (964 reati), con 2.711 persone denunciate, 305 arresti e 475 sequestri, per un valore di oltre 168 milioni di euro. Al terzo posto il disastro ambientale (228 casi), con 737 persone denunciate, 100 ordinanze di custodia cautelare e 180 sequestri, per un valore di oltre 85 milioni di euro.

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