Il termine “zona grigia”, reso popolare da Primo Levi che lo utilizzò nel saggio I sommersi e i salvati, è un concetto trasversale a più discipline: medicina, psicologia, diritto, neuroscienze, studio dei conflitti. L’espressione ha avuto anche una consacrazione cinematografica, con un film di Tim Blake Nelson del 2001, dedicato sempre al tema dell’olocausto. In generale, pur con sfumature diverse, parlare di zona grigia (o di area grigia) significa indicare uno “spazio” dove bene e male tendono a sovrapporsi e a confondersi, dove sfumano i confini tra buono e cattivo, legale e illegale. Un vasto mondo di mezzo tra poli opposti. Avvertiva Levi: l’uomo ha necessità di pensare la realtà come divisa tra buoni e cattivi, noi e loro, ma questa esigenza non va confusa con l’idea che la realtà sia veramente come noi abbiamo bisogno di immaginarla.
Lo studio delle mafie e dei contesti in cui la criminalità organizzata si riproduce è un campo in cui il concetto di zona grigia è ampiamente utilizzato. In particolare, per mettere in evidenza l’ambito di connivenza e scambio reciproco tra potere mafioso e sistemi politici ed economici. Un insieme di comportamenti, spesso non qualificati come mafiosi, che si avvantaggiano sfruttando vuoti normativi, illegalità diffuse e debolezze istituzionali. La zona grigia, quindi, è lo spazio in cui prendono forma le relazioni tra mafia e pezzi della società, della politica e dell’economia.