31 gennaio 2025
Che la storia tenda a ripetersi era già stato detto. Forse non al corpo elettorale di Badolato, borgo di circa tremila abitanti della fascia jonica del Catanzarese. Così, forse, potrebbe spiegarsi la vicenda giudiziaria che vede coinvolto il Comune, sciolto per infiltrazioni mafiose nel 2014 (e commissariato fino al 2016), che lo scorso 2021 aveva rieletto Giuseppe Nicola Parretta. All’alba del 29 gennaio 2025 il sindaco, già tra i protagonisti del passato scioglimento, è tra le 44 persone destinatarie di provvedimenti cautelari (15 in carcere) convalidati dal giudice per le indagini preliminari nell’ambito dell’indagine Ostro della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo calabrese. E così il prefetto di Catanzaro, Castrese De Rosa, ha sospeso il consiglio comunale di Badolato nominando commissario, per la provvisoria gestione dell'ente, il viceprefetto Costanza Pino.
L’operazione trae spunto da alcune chat sul sistema SkyEcc (i cui server sono stati violati dalle forze di polizia di Francia, Belgio ed Olanda) utilizzato da alcuni degli indagati. Tra le accuse al sindaco e a diversi membri di giunta e consiglio comunale, quella di voto di scambio politico-mafioso. Gli inquirenti avrebbero riscontrato una forte ingerenza dei Gallace, tra le cosche di ‘ndrangheta più potenti della provincia, proprio in occasione delle scorse elezioni. A questo quadro, già di per sé desolante, si aggiungono altre attività tipiche della criminalità organizzata: gli interessi nel settore degli appalti, la captazione di fondi pubblici arrivati nel periodo pandemico, un traffico di armi dai Balcani e le più classiche estorsioni e traffico di stupefacenti attraverso cui la cosca, negli anni, aveva saputo farsi conoscere anche in Lombardia, Piemonte e Lazio, dove sono state eseguiti parte dei provvedimenti cautelari disposti.
Al centro del sistema, seppur in veste occulta, i magistrati antimafia di Catanzaro individuano Cosimo Damiano Gallace, classe 61, fratello di Vincenzo Gallace. Secondo la sentenza oggi definitiva pronunciata nel processo Appia, nato da un’indagine della Dda di Roma, costoro sono riconosciuti come parte del "gruppo di comando di un sodalizio" affine alla ‘ndrangheta, dedito al traffico di stupefacenti, nel tempo "radicatosi sul litorale laziale nel comprensorio dei comuni di Anzio e Nettuno". La "consorteria madre" rimane però legata al territorio di Guardavalle, comune della provincia di Catanzaro che nel 2021 era stato commissariato – provvedimento poi annullato dai giudici amministrativi – proprio a fronte del presunto potere esercitato dalla “famiglia” sull’apparato amministrativo locale.
Roma, dopo Mafia capitale "ricostruiti i meccanismi del crimine"
Secondo quanto ricostruito negli anni dalle indagini Mythos e Infinito, la cosca, originariamente retta da Vincenzo Gallace insieme a Carmelo Novella, aveva subito una frattura culminata nell’allontanamento di Novella verso la Lombardia dove verrà assassinato nel 2008 per mano di un commando, secondo le cronache, armato dallo stesso Gallace. Tra i motivi del contendere, c’era stato il tentativo di distacco di Novella dalla casa “madre” di Guardavalle incentivato dall’avvicinamento a Damiano Vallelunga, capo dei viperari, un potente gruppo ‘ndranghetista attivo nelle Serre vibonesi.
Almeno dal 2007 in poi, sfruttando questa lotta di potere, i Gallace tentano l’espansione anche in altri territori tra cui quello di Badolato, cardine di un’area strategica negli anni contesa da diversi clan tra cui i Procopio-Lentini di Satriano e Davoli e, appunto, i Gallace-Novella. Ad attestarlo, l’indagine Itaca-Free Boat della Dda di Catanzaro incentrata su una serie di irregolarità in materia di appalti e lavori pubblici e, in particolare, "sul ruolo svolto dal sindaco nell’affidamento della gestione del complesso portuale e connessi interessi patrimoniali", che porterà il prefetto a nominare la commissione d’accesso che concluderà per lo scioglimento – decretato il 23 maggio 2014 – del Comune guidato già allora da Giuseppe Nicola Parretta.
Così le concessioni balneari finiscono ai boss
Nella relazione dell’allora prefetto Raffaele Cannizzaro, la storia del borgo di Badolato viene raccontata come legata a doppio filo alla storia delle grandi migrazioni: l’emigrazione dei cittadini calabresi verso Germania e Svizzera – dov’è la città gemellata di Wetzikon, che ospita una folta comunità di persone originarie di Badolato – e quella dell’immigrazione che già nella seconda metà degli anni 90 portò sulla costa jonica calabrese diverse imbarcazioni come l’Ararat, quella che oggi si definirebbe una “carretta del mare”, battente bandiera turca con a bordo oltre 800 persone di etnia curda ospitate proprio a Badolato.
Quello stesso territorio, continuava il prefetto, "è però da tempo interessato da fenomeni di criminalità riconducibili alla ‘ndrangheta" con la connivenza degli apparati pubblici. Dopo una prima esperienza in Comune risalente al 1977, Parretta, gravitante nell’orbita del centrosinistra, viene rieletto sindaco di Badolato molti anni più tardi per due mandati consecutivi: nel 2008 e, appunto, nel 2013. Il secondo mandato si interrompe proprio in seguito allo scioglimento del Comune. L’operazione Itaca aveva "interessato anche il primo cittadino il quale [era] indagato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso" e già all’epoca risultava "gravato di numerosi precedenti di polizia" e "ben consapevole dei fini perseguiti dall’associazione criminale che lo ha sostenuto nel corso delle campagne elettorali". Parretta fu poi assolto dalle accuse.
Nel 2021 il sindaco Parretta ha vinto le elezioni con oltre il 90% dei voti. Poco dopo ha dato al suo rivale l'incarico di vice-sindaco. Importante il sostegno dell'imprenditore Paparo
Il Comune torna alle elezioni nel 2016 e dopo appena un mandato di pausa vede la rielezione di Giuseppe Nicola Parretta che, a capo della lista “Vivi con Badolato”, si impone ottenendo 1.007 preferenze (pari al 92,1 per cento dei voti) sulla lista “Uniti per Badolato” capeggiata da Ernesto Maria Menniti, che ottiene solo 86 voti. Diverse le anomalie evidenti. La prima è mutuata da una prassi ricorrente in diversi centri calabresi: per superare l’ostacolo del quorum, che si porrebbe in caso di presentazione di una lista unica, viene presentata anche una seconda lista “civetta”, destinata a ottenere solo una manciata di preferenze. La seconda, che amplifica le dimensioni della farsa, è che una volta eletto, Perretta nomina vicesindaco proprio Menniti, diretto sfidante in campagna elettorale.
Le elezioni celebrate il 3 e 4 ottobre 2021 finiscono dunque sotto la lente della magistratura. Viene documentato lo stretto rapporto che il sindaco di Badolato pare avere con l’imprenditore Antonio Paparo, anche lui indagato con l’accusa di curare "gli interessi imprenditoriali dei Gallace" per tramite dei quali si sarebbe attivato "nella corsa elettorale interessandosi alla formazione delle liste", stringendo accordi illeciti che avrebbero portato alla rielezione di Parretta, alla nomina a vice dell’“oppositore” Menniti e all’elezione del figlio, Maicol Paparo, nominato all’unanimità presidente del vonsiglio comunale o – nella definizione utilizzata dal padre per rimarcare che l’attività elettorale era cosa loro – "primo tra gli eletti, d’ufficio", come attesteranno le 170 preferenze raccolte.
L’interesse nell’acquisizione del controllo dell’amministrazione appare chiaro nelle conversazioni tra Parretta e Paparo. I magistrati le riassumono scrivendo di mandati elettorali per loro "determinanti in quanto sarebbero arrivati una 'pioggia' di finanziamenti – riferendosi ai fondi dell'Unione europea per la ripresa economica (cosiddetto "Recovery Fund") – e sarebbe stato fondamentale che a governare Badolato fossero persone […] competenti e capaci di sfruttare appieno l'occasione". Così verrà pilotata l’intera tornata elettorale e nessuna perplessità aveva destato, in occasione della presentazione simultanea delle compagini, la pubblica ammissione di Menniti, nelle parole dei magistrati, "che la propria lista era nata a pochi minuti dalla fine della presentazione per abbassare il quorum e scongiurare l’arrivo di commissari prefettizi e il rinvio a un’altra tornata elettorale".
Il piano di Paparo, però, non era vincolato alla sola composizione delle liste, ma anche alla successiva scelta dei componenti della giunta comunale avanzando richieste e ponendo veti, "consapevole del proprio contributo per la formazione della nuova amministrazione comunale e di averne in mano le sorti future". L’imprenditore non lesina minacce e intimidazioni. Spicca il caso dell’affidamento di alcuni lavori pubblici da parte del sindaco a un soggetto non congeniale a Paparo allorché, non avendo appoggiato il suo “progetto” politico, "non doveva lavorare".
Negli atti viene fatto un elenco indicativo di una serie di appalti e lavori pubblici pilotati da Paparo come quello per la sistemazione della pavimentazione stradale o per la rimozione di un peschereccio che nel mese di novembre 2021 si era arenato sulla costa con a bordo 122 migranti. Nelle parole del gip, emerge come il sindaco e gli altri soggetti eletti nel consiglio comunale, oggi indagati, avessero stretto un patto con Antonio Paparo, che "in cambio della promessa di utilità, procurava loro voti per le elezioni". Il tutto su mandato dei Gallace, che investivano Paparo del compito di "controllare il Comune anche attraverso riunioni e incontri con gli amministratori, pur non avendone titolo".
Cos'è il voto di scambio politico-mafioso?
Pochi giorni dopo l'elezione, viene arrestato il boss latitante Cosimo Damiano Gallace: era nascosto in un impianto vicino a Paparo
Al racconto vanno aggiunti altri tasselli. Pochi giorni dopo l’elezione di Parretta, il 7 ottobre 2021, viene arrestato il boss allora latitante Cosimo Damiano Gallace. L’uomo viene trovato all’interno di un impianto "là vicino a Paparo" per la lavorazione di materiale inerte e produzione di calcestruzzo, sul territorio di Isca sullo Jonio. Gallace, in particolare, si era dato alla fuga dopo la condanna rimediata nel processo Appia circa un anno prima.
Il verdetto della Cassazione era arrivato il 25 novembre 2020 e nelle stesse ore dedicate alla decisione da parte dei giudici, si era attivata la rete di fiancheggiatori che avrebbe dovuto coprire la latitanza del boss di Guardavalle. Le sue richieste erano chiare: documenti falsi e dispositivi criptati con cui poter comunicare, ma soprattutto l’esigenza di nascondersi in un luogo vicino "al loro territorio di competenza" e riferibile a "roba nostra", intendendo con questa espressione, nell’esegesi degli investigatori, pertinente a "persone legate all’entourage della cosca". Tra i più attivi spicca Domenico Vitale, classe 69, "esponente di punta della cosca Gallace sul territorio toscano", che oltre a individuare i primi nascondigli dove spostare il boss, era il soggetto deputato alla gestione della bacinella: in altre parole, era lui ad occuparsi di "distribuire le risorse finanziarie per il sostegno delle famiglie dei carcerati" derivate da attività illecite.
Secondo la Dda, nella latitanza di Gallace ruolo chiave avrebbe avuto anche la famiglia Paparo almeno nel periodo che va da febbraio 2021 fino al giorno dell’arresto. L’appartamento dove verrà trovato Cosimo Gallace – secondo gli investigatori riconducibile ai Paparo – era di difficile individuazione perché posto all’interno dell’impianto edile, lontano dal centro abitato e munito di un impianto di videosorveglianza. All’interno era stato costruito un bunker nascosto dietro un mobile della camera da letto. Durante la latitanza, il boss viene messo nella condizione di "intessere alleanze" e "gestire il traffico internazionale di stupefacenti".
Tra le disposizioni date ai sodali in quel periodo, anche quelle "per il sostegno della detenzione in Brasile di Vincenzo Pasquino", narcobroker arrestato qualche mese prima in compagnia del “Tamunga”, Rocco Morabito, al tempo secondo nella lista dei latitanti più ricercati (leggi la sua storia). Il particolare riguardo verso l’uomo condannato all’esito del processo Cerbero davanti al tribunale di Torino, fa emergere negli atti di indagine i suoi legami con la cosca di Guardavalle e annessi timori seguiti a quell’arresto. La preoccupazione in Cosimo Damiano Gallace era stata innescata da una lettera attraverso cui Pasquino annunciava il proprio pentimento perché "preoccupato di dover affrontare le carceri brasiliane", secondo quanto riportato dall Corriere di Torino. Volontà prima smentita, anche a fronte delle pressioni esercitate dai Gallace, ma divenuta realtà il 7 maggio 2024 svelando, tra gli altri, anche il ruolo cruciale della cosca di Guardavalle nello scacchiere del narcotraffico internazionale.
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