29 gennaio 2020
Il voto di scambio politico-mafioso è un reato previsto dall’articolo 416-ter del codice penale. È stato istituito per troncare i legami illeciti tra politica e criminalità organizzata. Punisce con la reclusione da 10 a 15 anni la persona che accetta la promessa di voti ottenuti attraverso l’intimidazione o la forza data dall’appartenenza a un gruppo criminale (le cosiddette “modalità mafiose”) oppure la promessa fatta da esponenti di associazioni mafiose. Questo patto può essere stretto in modo diretto oppure tramite intermediari.
Tutto deve avvenire in cambio “dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità o in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa”, è scritto nel codice penale. La stessa pena (10-15 anni) è prevista anche per chi promette e procaccia i voti, sempre per via diretta o tramite intermediari.
L’articolo 416-ter del codice penale è stato introdotto dopo l’attentato del 23 maggio 1992 a Capaci (Palermo) in cui sono morti il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la scorta. L’8 giugno viene varato il decreto legge (detto “super decreto antimafia”) firmato dai ministri della Giustizia Claudio Martelli e dell’Interno Vincenzo Scotti riguardante le “modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa”. È stato convertito in legge il 7 agosto successivo, alcune settimane dopo la strage di via d’Amelio (a Palermo) e l’uccisione del giudice Paolo Borsellino.
L’obiettivo del “super decreto”, che riprenderebbe alcune riforme proposte da Falcone, era fare “terra bruciata” attorno alle mafie estendendo il controllo della magistratura agli intrecci con la politica. Prevedeva il potenziamento di alcuni strumenti nella lotta alla mafia. Sul piano normativo ha apportato alcune modifiche all’articolo 416-bis del codice penale (associazione a delinquere di stampo mafioso) introducendo tra le “finalità tipiche” della mafia quella di “impedire o di ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”. Inoltre ha inasprito le pene per i reati di corruzione elettorale e coercizione elettorale e ha introdotto l’articolo 416-ter nel codice penale, appunto.
La legge sul voto di scambio politico-mafioso è stata riformata in alcune occasioni:
Nel 2009 sono state introdotte sanzioni amministrative per gli enti (intesi come persone giuridiche, società o associazioni, non come enti pubblici) beneficiari dei vantaggi prodotti dal reato commesso da un loro rappresentante, amministratore o dirigente. In questo caso gli enti subiscono “una sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote”. Rischiano anche misure interdittive (ad esempio l’interdizione dall’esercizio dell’attività; la sospensione o la revoca di autorizzazioni; il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione; l’esclusione da fondi pubblici e altro) non inferiori a un anno o l’interdizione definitiva dall’attività;
Nel 2014 la riforma ha cambiato vari aspetti. Tra questi:
Queste novità, tuttavia, erano difficili da applicare e la Cassazione ha dato interpretazioni diverse. Erano necessarie modifiche.
Nel 2017 la pena è stata cambiata: da un minimo di 6 a un massimo di 12 anni;
Nella primavera 2019, a ridosso della campagna elettorale per le elezioni europee e il voto, il parlamento a maggioranza M5s-Lega ha approvato una nuova riforma su proposta del senatore Mario Michele Giarrusso.
Le pene sono state inasprite ed equiparate a quelle previste per il reato di associazione mafiosa (da 6-12 anni a 10-15 anni);
Si specifica che viene punito anche lo scambio che avviene attraverso intermediari;
Se il candidato che ha accettato la promessa di voti viene eletto nella “relativa consultazione elettorale”, la pena è aumentata della metà. Si può arrivare a un massimo di 22 anni e mezzo di carcere.
Il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho ritiene utile le modifiche: “Il nuovo articolo 416 ter in materia di scambio politico mafioso assume grande significato nelle competizioni elettorali proprio per le modifiche che sono state apportate alla fattispecie originale e che dovrebbero evitare probabilmente di incorrere in quel deficit di punibilità che pure era stato riscontrato in diverse occasioni”, ha detto l’8 aprile 2019.
D’altra parte, invece, le opposizioni parlamentari al governo Lega-M5s hanno contestato molti aspetti come, ad esempio, l’aumento delle pene o alcuni presunti profili di illegittimità costituzionale (qui le critiche riepilogate da ilfattoquotidiano.it).
Alcuni esperti segnalano dei passaggi poco chiari del nuovo testo. Tra questi c’è l’espressione “soggetti appartenenti alle associazioni” mafiose: non è chiaro se debbano essere persone condannate in via definitiva, in primo grado o altro (leggi). Inoltre alcune modifiche sono considerate “pleonastiche” (come l’aggiunta del riferimento agli intermediari), altre ancora difficilmente applicabili.
C’è infine un problema di proporzione e ragionevolezza della pena: un boss potrebbe avere condanne più lievi di un candidato non mafioso che si rivolge alla criminalità per avere voti e viene eletto.
Anche l’aggravante dell’elezione pone dubbi: essendo il voto segreto, come si può verificare se un’elezione è avvenuta per i voti procurati dalla mafia? (leggi)
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