Cosa nostra dopo Riina: il ritorno dall'America dei vecchi mafiosi

Dopo la morte del boss, i fedelissimi di Totò Riina e i "perdenti" tornati dall'esilio americano hanno inaugurato la stagione delle "larghe intese": la seconda Repubblica mafiosa. Hanno provato a riformare la Cupola, ma sono stati fermati. Cosa faranno adesso? Dove sono stati investiti i tesori della vecchia mafia?

Salvo Palazzolo

Salvo PalazzoloInviato speciale del quotidiano “la Repubblica”

30 gennaio 2020

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“Gli Inzerillo? Brava gente”, dice un vecchietto davanti alla chiesa di San Giuseppe. “Sempre del bene hanno fatto, un tempo e adesso che sono tornati”. Sarà forse per questo che negli ultimi mesi venivano a cercarli da tutta Palermo. Mafiosi e incensurati. E non è ancora chiaro il perché, nonostante il blitz della procura di Palermo, della squadra mobile e del Servizio centrale operativo della polizia che a luglio 2019 è scattato fra la Sicilia e New York (nell’ambito dell’inchiesta “New Connection”, ndr).

La risposta bisogna cercarla oltre la Madonnina che sta davanti alla chiesa di Passo di Rigano, quartiere della periferia sud-est: eccola, via Castellana, sembra essere diventata la porta del ritorno al passato di Palermo. In via Castellana stavano quarant’anni fa, quando Salvatore “Totuccio” Inzerillo era uno dei re della città: la famiglia aveva tanti soldi (all’epoca provenienti dal traffico di drogacon gli Stati Uniti) e faceva investimenti miliardari nell’edilizia. Oggi che Totò Riina è morto ed è finito l’esilio americano imposto ai sopravvissuti dopo l’omicidio di Totuccio del 1981, gli Inzerillo sono ritornati in via Castellana. Con i loro patrimoni mai sequestrati e un curriculum giudiziario di tutto rispetto. Sono tornati e non sono più “i perdenti” messi al bando da Cosa nostra, ma neanche costruiscono più palazzi. Ufficialmente sono cittadini modello. Però in molti continuano a cercarli. E non cercano solo gli Inzerillo, ma anche i parenti e gli amici: i Gambino, gli Spatola, i Mannino, i Sirchia, i Buscemi. Sono tornati anche loro. I protagonisti della prima grande indagine dell’allora giudice istruttore Giovanni Falcone per quello che poi diventò il “processo Spatola”. Era il 1980. Che sta succedendo oggi fra l’Uditore, Passo di Rigano, Boccadifalco e Torretta? Torretta è l’unico paese che fa parte di un “mandamento” della città, sembrava storia ormai passata, quella raccontata dal pentito Tommaso Buscetta. Sono tornati dagli Stati Uniti, ma ci tornano spesso a trovare parenti e amici. Sono solo visite di piacere? O ancora sull’asse New York-Palermo viaggiano tanti soldi?

La ricostruzione della Cupola

Per provare a capire bisogna camminare lungo via Castellana, oltre la Madonnina, la porta del ritorno al passato di Palermo. Al civico 81 c’è un negozio ben avviato di prodotti di carta, la “Karton Plastik” della signora Olimpia Caruso, la moglie di Francesco Inzerillo, il fratello di Totuccio che è soprannominato il truttaturi. È un appassionato di corse di cavalli: era stato arrestato nel 2006, ma poi la Cassazione l’aveva assolto dall’accusa di mafia, spazzando via la condanna in appello. Inzerillo u truttaturi è stato riarrestato nel blitz di luglio: nel suo negozio entrava Settimo Mineo, l’anziano boss di corso Calatafimi che dopo la scarcerazione i carabinieri del nucleo investigativo tenevano sotto controllo perché stava riorganizzando la Cupola di Cosa nostra. Quattro visite, fra il 6 marzo 2017 e il 25 maggio 2018, quattro giorni prima del summit della ricostituita commissione provinciale di Palermo. Incontri che hanno cambiato la storia di Cosa nostra siciliana: Mineo, fedelissimo di Riina, voleva siglare una pace con i “perdenti” di un tempo. Quattro visite che hanno chiuso una lunga stagione di odio e vendette. E hanno inaugurato la stagione delle “larghe intese”, la seconda Repubblica mafiosa.

Oggi, i protagonisti della svolta sono in carcere, la procura di Palermo ha arrestato i protagonisti della riorganizzazione (con l’operazione “Cupola 2.0” del 4 dicembre 2018, ndr). Ma i misteri della vecchia mafia restano ancora nelle viscere di Palermo. Dove sono stati investiti i tesori della vecchia mafia? Cosa fanno i mafiosi scarcerati? Un monitoraggio disposto dal prefetto di Palermo Antonella De Miro ha fatto emergere 300 scarcerati nella Sicilia occidentale: non avranno più squadre di killer a disposizione, ma sono altrettanto pericolosi per i segreti del passato che conservano. Su patrimoni non individuati, su relazioni mai scoperte nel mondo dell’economia e della politica. Quei segreti sono la forza della mafia siciliana.

“Segui i soldi” tra traffici di droga e riciclaggio

Da dove ricominciare? “Segui i soldi”, diceva Falcone. Già il commissario Boris Giuliano aveva scoperto che Inzerillo era tornato dagli Stati Uniti nel 1973 e che era diventato uno dei protagonisti del traffico internazionale della droga. Quando nei primi anni Ottanta il commissario Ninni Cassarà e Falcone riprendono l’indagine si accorgono che quel mafioso è anche uno degli imprenditori che ha costruito mezza Palermo con il gruppo “Spatola-Gambino-Inzerillo”. Ma Inzerillo è anche un massone, questo all’epoca nessuno non lo sa, e ha anche intensi rapporti economici a Milano per i suoi investimenti. Affari che ha condiviso con l’altro potente palermitano, Stefano Bontate, ucciso diciannove giorni prima.

Cassarà lavora su quei numeri di telefono, ma non arriverà a decifrare il mistero dei conti. In Svizzera va con Falcone un mese prima di essere ucciso, nella terribile estate del 1985. Quando torna invia dei documenti per una rogatoria, ma il plico arriverà aperto, alleggerito di alcune carte. Le indagini provavano a stringere su Vito Roberto Palazzolo, uno dei manager che avevano riciclato i soldi del traffico internazionale di droga. Palazzolo ha finito di recente di scontare la sua condanna per associazione mafiosa ed è ripartito per l’estero. Con i suoi segreti. Il passato di Palermo è già tornato d’attualità.

Dai narcos colombiani ai server di Malta

Molti dei mafiosi scarcerati si sono messi subito al lavoro. L’affare principale è quello del traffico di droga, come non accadeva da anni. A Palermo sono tornati gli ambasciatori dei narcos colombiani che sembravano aver perso fiducia nei siciliani, fiaccati da sequestri che avevano limitato la liquidità dell’organizzazione. Cosa accade invece adesso? I sequestri sono continuati, ma i vecchi boss l’hanno fatta franca fino ad oggi e hanno rimesso in moto la rete della cocaina. Come la rete delle scommesse online su server che stanno a Malta. È la mafia 2.0 che in nome degli affari traccia nuove alleanze e non solo all’interno di Cosa nostra siciliana.

Da lavialibera n° 1 gennaio/febbraio 2020

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