La veduta sulla spiaggia di Scilla (Reggio Calabria) e sullo stretto di Messina (Wikimedia)
La veduta sulla spiaggia di Scilla (Reggio Calabria) e sullo stretto di Messina (Wikimedia)

Minacce, prestanome e gare truccate: così le concessioni balneari finiscono ai boss

A Scilla (Reggio Calabria) gli esponenti della cosca sono riusciti a influenzare la gara per le concessioni balneari. Sul Gargano, amministratori e criminali insieme negli affari dei lidi. Ad Anzio e Nettuno i controlli antimafia assenti. Così le mafie lucrano con le spiagge

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

12 agosto 2023

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I posti migliori per godersi la vista sullo Stretto di Messina dovevano essere quelle. La ‘ndrangheta controllava le concessioni balneari di Scilla (Reggio Calabria), borgo turistico della Costa viola. Con le minacce ai concorrenti e i giusti ganci nell’amministrazione comunale, la cosca influenzava le gare per affidare lotti di spiaggia facendo in modo che rimanessero a chi per anni aveva gestito i lidi, tra cui persone legate alla cosca Nasone-Gaietti. Una “sorta di usucapione mafiosa del lungomare scillese”, per dirla con il giudice che ha firmato l’ordinanza dell’inchiesta Nuova linea, condotta dal Reparto operativo dei carabinieri di Reggio Calabria sotto il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia, sfociata negli arresti dell’8 settembre 2022. In autunno 39 persone affronteranno il processo. Tra di loro figura anche Pasqualino Ciccone, sindaco che si è dimesso dopo l’operazione, accusato di voto di scambio politico-mafioso. L’8 aprile scorso il ministero dell’Interno ha sciolto l’amministrazione comunale per infiltrazioni mafiose, decisione che era già stata presa nel 2018.

Nella sua relazione con cui chiede al governo il commissariamento di Scilla, il prefetto Massimo Mariani evidenzia che la penetrazione della cosca riguardava anche settori legati alla gestione degli stabilimenti balneari ottenuti sulle aree demaniali, cioè pubbliche, date in concessione dal Comune. Si tratta di attività che, il più delle volte, prevedono dei costi bassi per il pagamento del canone di affitto e per la manodopera, ma buoni introiti, attività "trainanti in una realtà a forte vocazione turistica” come Scilla. C’era “una sorta di logica ‘spartitoria’ tra i vari soggetti contigui o organici alla criminalità organizzata”. Non è l’unico caso in Italia: spulciando le relazioni di scioglimento di altri comuni costieri, concessioni balneari e chioschi sulle spiagge sono affari ambiti dalle mafie.

Sulle coste si combatte per le concessioni balneari

I boss truccano le gare per le spiagge di Scilla

Uno scorcio sulla spiaggia di Scilla, in provincia di Reggio Calabria (Pixabay)
Uno scorcio sulla spiaggia di Scilla, in provincia di Reggio Calabria (Pixabay)
“Ci sono delle regole che non sono scritte. Se uno è da trent’anni che mangia da una parte, non è che puoi andare. Se volete fare una cosa di queste prima dovete pensare al contrario: immedesimatevi, mettetevi nei suoi panni”Giuseppe Fulco - Boss di Scilla

Nel marzo 2021 il Comune di Scilla pubblica il bando per assegnare quattro porzioni della spiaggia da adibire a lido con ombrelloni e sdraio. In quel momento, gli interessati si mettono al lavoro. Tra di loro ci sono due famiglie che da decenni gestiscono gli stabilimenti. Una famiglia è quella dei fratelli Paladino (Giovanni, Giuseppe e Rocco) che, emerge nell’indagine, si rivolgono a Giuseppe Fulco, boss reggente della cosca di Scilla, scarcerato nel 2018 dopo anni di detenzione. Fulco si dà da fare, minaccia i potenziali concorrenti e cerca informazioni riservate sul bando in preparazione. In piazza affronta un imprenditore interessato: “Gli ho detto io: ‘Tu là non fai nessuna gara perché là non è tuo’”, racconta il boss ai compari. A un altro dice: “Ci sono delle regole che non sono scritte. Se uno è da trent’anni che mangia da una parte, non è che puoi andare. Se volete fare una cosa di queste prima dovete pensare al contrario: immedesimatevi, mettetevi nei suoi panni”. L’imprenditore Giovanni Paladino e i suoi fratelli, nel frattempo, chiedevano al sindaco Ciccone di modificare il bando di gara eliminando la richiesta di un requisito che avrebbe potuto ostacolarli. La clausola veniva in seguito rimossa dal responsabile dell’ufficio tecnico, a cui chiedevano anche altre modifiche. Alla fine i Paladino vincono la concessione, organizzano una cena per brindare all’esito, ma il capocosca non viene invitato: “Ma scusa, a me non mi invitate a questa cosa? Scostumati”, dice alla moglie di Paladino per poi aggiungere: “Guarda, ormai siamo soci”. In seguito sembra accorgersi dell'errore, si corregge: “Nel senso, no soci...”. Fulco e i fratelli Paladino sono indagati di violazione del segreto d’ufficio e turbativa d’asta aggravati dal metodo mafioso. Il boss e Giovanni Paladino devono anche difendersi dall’accusa di minacce a uno dei concorrenti.

I reati sarebbero stati commessi non soltanto per trarre profitti illeciti dalla gestione degli stabilimenti, "ma anche per perpetuare la storica presenza della famiglia Gaietti sul litorale scillese”Sabato Abagnale - Giudice per le indagini preliminari di Reggio Calabria

Un altro lotto riguardava la zona Sud della spiaggia dove da decenni la famiglia di Matteo Gaietti gestisce il lido Nettuno. Morto il 30 gennaio 2018, Gaietti era stato condannato per associazione mafiosa e poi assolto nel processo d’appello chiamato Alba di Scilla, ma secondo il giudice per le indagini preliminari le prove raccolte nell’inchiesta Nuova linea “descrivono univocamente Matteo Gaietti – a prescindere dal giudicato assolutorio – quale esponente di spicco dell’omonima cosca fino al momento del suo decesso”. Nonostante tutto, il lido di famiglia ha continuato a essere gestito dai suoi congiunti che “attraverso reiterati artifici documentali volti ad occultare la reale titolarità, hanno eluso i divieti”. Nel novembre 2020 la prefettura reggina ferma le attività di Rocco Gaietti (fratello di Matteo) con un’interdittiva antimafia (l'atto con cui si fermano i contratti pubblici di un'impresa infiltrata dalla criminalità o a rischio infiltrazioni), ma grazie a un prestanome, Giovanni Cardillo, che partecipa alla gara con una sua impresa e vince, la famiglia mantiene il controllo dell’attività. Per il gip Sabato Abagnale “si è registrata, in quel sito, una sorta di usucapione mafiosa del lungomare scillese”. Rocco Gaietti, due suoi figli e il prestanome sono accusati di turbativa d’asta e intestazione fittizia aggravati dal metodo mafioso, reati commessi “non soltanto allo scopo di incamerare profitti illeciti, ma anche per perpetuare la storica presenza della famiglia Gaietti sul litorale scillese”, scrive il gip sottolineando che le ‘ndrine “si nutrono, oltre che di risorse economiche, anche (e forse soprattutto) di prestigio sociale e di capacità di infiltrazione nel tessuto operativo di un certo territorio”.

"Oltre alla gestione dei lidi, il controllo della cosca riguardava anche le forniture di pane e di pesce ad alcuni ristoranti. Nella località turistica più bella di Reggio Calabria c'era una presenza pesante della criminalità nell'economia – spiega a lavialibera il colonnello Massimiliano Galasso, comandante del Reparto operativo dei carabinieri a Reggio Calabria –. Lo scopo dell'indagine era ripristinare l'esercizio democratico (danneggiato dal presunto voto di scambio tra politica e 'ndrangheta, ndr) e la libera concorrenza. L'inchiesta Nuova linea è stata un'azione multilivello. Va oltre l'indagine penale. Abbiamo chiesto alla prefettura di avviare i controlli sugli atti dell'amministrazione di Scilla, che poi ha portato al commissariamento, e anche delle interdittive antimafia".

Nelle settimane subito dopo gli arresti, la prefettura di Reggio Calabria è intervenuta con alcuni provvedimenti, circa venti, per la revoca di licenze e concessioni alle imprese legate alla cosca. "Alcune imprese hanno collaborato e accettato l'amministrazione controllata, così sono stati mantenuti i posti di lavoro", prosegue il comandante. Altre, invece, hanno fatto ricorso al Tribunale amministrativo regionale: per alcune di queste, i giudici hanno deciso di sospendere in via cautelare l’efficacia delle interdittive sostenendo che, essendo finita la stagione estiva, non c’era poi tutta questa urgenza nel decidere senza un contraddittorio.

Comuni sciolti per mafia, i numeri da 1991 ad oggi

Sul mare, i comuni commissariati nei guai per le concessioni ai mafiosi

Una veduta su Punta Grugno, spiaggia di Mattinata, in provincia di Foggia (Smeerch/Flikr/CC BY-NC-SA 2.0)
Una veduta su Punta Grugno, spiaggia di Mattinata, in provincia di Foggia (Smeerch/Flikr/CC BY-NC-SA 2.0)

Andando a leggere le relazioni per il commissariamento delle amministrazioni infiltrate dalle mafie si nota come spesso, nei casi che riguardano comuni che si affacciano sul mare, le spiagge e tutti i servizi connessi siano in mano a gruppi criminali. L'assenza di controlli e di revoche diventa quindi uno dei motivi che portano allo scioglimento dei comuni. Rimanendo in Calabria, è successo a Siderno e Marina di Gioiosa Jonica. Salendo più su, a Scanzano Jonico (Basilicata), località turistica la cui amministrazione è stata sciolta a fine 2019: qui dal 2013 un uomo legato alla cosca degli Schettino aveva gestito un lido sulla base di “un’autorizzazione comunale rilasciata nello stesso anno per la sola stagione balneare in corso, non rinnovata per gli anni successivi”.

Ancora più particolare è quanto accadeva sulle spiagge di Manfredonia (commissariata il 18 ottobre 2019), ai piedi del Gargano, in provincia di Foggia: un assessore era il commercialista dell’impresa del clan Romito che gestiva uno stabilimento; un altro assessore era socio di una famiglia legata al clan e la loro ditta gestiva un altro lido. “Questi ‘complessi intrecci di sangue e di affari’ sono stati di fatto agevolati dalla ‘disattenzione’ del Comune di Manfredonia per la gestione delle coste e dal disordine amministrativo che la Commissione ha registrato in tale settore”, si legge nella relazione. Nella vicina Mattinata (sciolta il 16 marzo 2018), sulla spiaggia di Punta Grugno, il figlio di Francesco Scirpoli, sempre legato al clan Romito, aveva ottenuto una concessione per gestire un chiosco, frequentato da pregiudicati e amministratori comunali, e – senza avere le autorizzazioni – organizzava serate danzanti, noleggiava lettini e sdraio e faceva pagare il parcheggio abusivo. La spiaggia era cosa loro.

Mafia garganica, gli affari dei boss: "Il mare è nostro"

In Campania, a Torre Annunziata, sciolto nel maggio 2022, c’era uno stabilimento gestito da una società della famiglia di un esponente della criminalità organizzata ucciso in un agguato di camorra nel novembre 2006. Secondo l’allora ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, questa vicenda “attesta una gestione dell'ente locale avulsa dal rispetto del principio di legalità”.

In provincia di Foggia, i clan dentro i municipi

La situazione spiagge nel Lazio è sempre complessa

Una spiaggia di Anzio (Moyan Brenn/Wikimedia Commons/CC BY 2.0 )
Una spiaggia di Anzio (Moyan Brenn/Wikimedia Commons/CC BY 2.0 )

Anche nel Lazio la malavita poteva e può lucrare sulle spiagge. Lo ha dimostrato in passato il caso di Ostia, con i clan in competizione tra loro e contro gli altri gestori per accaparrarsi una fetta del settore. Nell'affare sono stati coinvolti in episodi e momenti diversi ex appartenenti al gruppo della Magliana e i clan Triassi, Fasciani e Spada. Intorno al 2010 un uomo di quest'ultima famiglia, in società con altre persone, aveva ottenuto l'affidamento di uno stabilimento balneare, l'Orsa maggiore. I controlli del municipio di Ostia sulle concessioni e sugli abusi edilizi erano inesistenti, hanno appurato le indagini della Capitaneria di porto e i processi davanti alla Corte dei conti per i danni erariali

A fine 2022 le relazioni prefettizie alla base degli scioglimenti dei comuni di Anzio e di Nettuno, conseguenza dell’operazione Tritone del 17 febbraio 2022 che ha individuato nelle due città del litorale una locale di ‘ndrangheta, hanno sollevato sospetti sulle gestioni delle spiagge nelle due località.

Ad Anzio, dove ci sono 43 stabilimenti balneari, il Comune non ha mai fatto chiesto la certificazione antimafia alle imprese che ottenevano le concessioni. “Da una verifica a campione, operata sulle compagini sociali delle società concessionarie di aree demaniali marittime utilizzate come stabilmente balneari o di ristorazione, sono infatti emersi univoci e rilevanti elementi di collegamento tra queste attività economico-imprenditoriali e soggetti contigui alla criminalità organizzata”, si legge nella relazione. In altri casi, erano i parenti di amministratori locali ad avere interessi diretti nelle concessioni. Il comune, dunque, non si muoveva nel fare i controlli e non l’ha fatto neanche dopo l’arresto del titolare di uno stabilimento nell’ambito dell’operazione Tritone. Oltre a questo caso, c’è quello della compagna di uno degli arrestati per ‘ndrangheta, la quale gestiva un chiosco di vendita di giornali poi autorizzato a vendere anche cibo e bevande, con un aumento del valore dell’attività.

Basso Lazio, dove mafie e corruzione non fanno scandalo

A Nettuno c’è un “politico di lungo corso” che è titolare di uno stabilimento, ma soprattutto c’è poi il caso di una società concessionaria posta sotto sequestro dal Tribunale di Velletri perché riconducibile a un pluripregiudicato per associazione mafiosa, truffa, traffico di droga ed estorsione. Nella relazione firmata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi si legge che “irregolarità sono state rilevate nelle procedure seguite dall'ente locale per l'assegnazione delle concessioni di spiaggia libera (...). La commissione d'indagine ha segnalato che le aree messe a gara sono state rinnovate agli stessi soggetti già concessionari, molti dei quali legati alle locali consorterie criminali, così determinando una progressiva riduzione dell'interesse a partecipare alle relative procedure”. Anche a Nettuno, come ad Anzio, i controlli antimafia sui concessionari sono stati scarsi, un “mancato rispetto di tutti gli adempimenti a tutela del principio di trasparenza”.

A Sabaudia e a Terracina, in provincia di Latina, le indagini giudiziarie hanno sollevato sospetti sulla gestione delle concessioni balnearie. Cattiva amministrazione, ma non solo, soprattutto nella seconda località. “Da decenni la città è anche esposta ai rischi di una criminalità organizzata sempre più pervasiva, come ribadito in diversi rapporti della Direzione investigativa antimafia, e come dimostrato dalle recenti interdittive antimafia della Prefettura di Latina – si legge nel rapporto Spiagge 2023 di Legambiente –. Nelle indagini si parla di come imprenditori citati nel processo Mafia Capitale avessero trasferito i propri illeciti interessi dal litorale di Ostia a quello di Terracina, potendo contare sulla compiacenza e la connivenza di alcuni amministratori pubblici locali”. 

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