Aggiornato il giorno 9 gennaio 2024
Sulle concessioni balneari, l’Italia sembra incapace di rispettare le regole, rinviando di anno in anno l’avvio delle gare pubbliche per affidare ai privati la gestione di una parte delle spiagge. Moltissimi chilometri di coste sono in mano ai privati per poche migliaia di euro l'anno, un numero raddoppiato negli ultimi venti anni. In certe città affacciate sul mare, poter stare sulle spiagge, godendosi l'ambiente su un terreno pubblico, è diventato difficile ed è difficile, in certe zone, passeggiare sul lungomare guardando l'orizzonte, nascosto dietro ombrelloni, cabine, chioschi, palizzate. Così si va avanti con proroghe, in barba alle sentenze e ai richiami dell'Unione europea. Il governo di Mario Draghi aveva provato a individuare una soluzione ma, nonostante la maggioranza parlamentare a suo sostegno, ha dovuto trovare un ulteriore compromesso con la lobby degli operatori balneari e i partiti di centrodestra (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) che li supportano. L'esecutivo ha stabilito che il termine ultimo per le proroghe resta fissato al 31 dicembre 2023.
I “beni demaniali marittimi” sono aree delle coste e del mare che appartengono allo Stato (fatta eccezioni dei porti dei laghi, che sono delle regioni!) e possono essere affidati alla gestione dei privati attraverso lo strumento della concessione, cioè con un “provvedimento amministrativo integrato da un contratto regolante gli aspetti economici”. In questa maniera il privato (concessionario) acquista il diritto di utilizzare un bene pubblico in maniera esclusiva e di trarne un profitto.
Sono sette i tipi di utilizzo: turistico-ricreativo, industriale produttivo, pesca acquacoltura, cantieristica navale, tutela ambientale, diporto nautico e altro.
Nel 2023, l'esecutivo guidato da Giorgia Meloni (in cui siede Daniela Santanché, imprenditrice nel settore, è ministra del turismo), ha avviato una mappatura delle spiagge per capire in quale percentuale siano adibite a stabilimenti, attività ricreative e ristorazione: si potrà quindi dimostrare all'Unione europea se la "risorsa" è scarsa, e quindi se le concessioni debbano essere messe a gara, oppure no. Alla scadenza, con il ddl Concorrenza il governo ha rinviato ulteriormente i termini e il presidente Sergio Mattarella ha sollevato alcuni rilievi. “L'appello del presidente Mattarella non rimarrà inascoltato”, ha assicurato Meloni nella conferenza di inizio anno. L’obiettivo è mettere ordine alle norme per evitare l'infrazione e la possibile maxi-multa. Compito non facile, visto che dovrà mediare con il vicepremier Matteo Salvini (Lega), che si è schierato a difesa degli interessi dei balneari.
Nel 2006 la Commissione europea (il potere esecutivo dell’Unione, pari a un governo) ha emanato la direttiva “Servizi” (anche chiamata "Bolkenstein") stabilendo che alcune concessioni e servizi pubblici devono essere messi a gara, così da garantire la libertà di concorrenza e di impresa. L’Italia, però, non l’ha mai attuata. Nel 2008 la Commissione ha avviato una procedura di infrazione (cioè un procedimento per sanzionare la violazione degli accordi comunitari) rilevando l'incompatibilità di alcune norme nazionali (come il diritto di insistenza, che permetteva al concessionario uscente di avere una preferenza nell’assegnazione e un rinnovo automatico). Per superare le contestazioni l’Italia ha eliminato queste regole, ma ha prorogato la validità delle concessioni balneari prima al 31 dicembre 2015 e, in seguito, al 31 dicembre 2020.
A far emergere con forza il problema delle concessioni balneari è stata una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che, il 14 luglio 2016, ha ribadito il divieto di rinnovo automatico, e senza gare pubbliche di selezione, delle concessioni marittime e lacustri per attività turistiche e ricreative. La corte europea aveva quindi respinto il ricorso di alcuni operatori italiani ai quali le amministrazioni locali avevano imposto la fine della concessione per mettere a gara le spiagge da loro occupate.
La condanna all’Italia non è bastata. Nella legge di bilancio 2019 (realizzata dal governo Conte nel 2018) la scadenza delle concessioni è stata rinviata al 31 dicembre 2033. Il 3 dicembre 2020 la Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di costituzione in mora (per spingere ad adempiere un obbligo):
“Gli Stati membri sono tenuti a garantire che le autorizzazioni, il cui numero è limitato per via della scarsità delle risorse naturali (ad esempio le spiagge), siano rilasciate per un periodo limitato e mediante una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi. L'obiettivo è fornire a tutti i prestatori di servizi interessati – attuali e futuri – la possibilità di competere per l'accesso a tali risorse limitate, di promuovere l'innovazione e la concorrenza leale e offrire vantaggi ai consumatori e alle imprese, proteggendo nel contempo i cittadini dal rischio di monopolizzazione di tali risorse”.
(...) L'Italia non ha attuato la sentenza della Corte. Inoltre l'Italia da allora ha prorogato ulteriormente le autorizzazioni vigenti fino alla fine del 2033 e ha vietato alle autorità locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione per l'assegnazione di concessioni, che altrimenti sarebbero scadute, violando il diritto dell'Unione”.
La commissione dava due mesi di tempo per rispondere alle argomentazioni sollevate dalla Commissione. Il 4 febbraio 2021 il governo italiano ha risposto sostenendo di rispettare le norme comunitarie, ma alcuni mesi dopo, nel novembre 2021, il Consiglio di Stato ha ridotto la scadenza del 2033 al 2023, data su cui ora si è concentrato il dibattito.
ll mare inquinato dalle microplastiche: a che punto siamo?
Nel maggio 2021 le concessioni dei beni demaniali marittimi a uso turistico erano 12.166, in aumento del 12,5 per cento rispetto al maggio 2018 (10.812 concessioni censite). Tra il 2016 e il 2020 lo Stato ha ricavato proventi per 103.875.645,96 di euro, inferiori rispetto ai 110.971.384 previsti. Nel 2020 i proventi sono stati di quasi 94 milioni di euro, “un decremento del 12,01 per cento rispetto al 2019, in parte da ascriversi alla situazione straordinaria generatasi dall’emergenza epidemiologica da Covid-19 e dai conseguenti numerosi provvedimenti normativi emanati per fronteggiarla”, scrive la Corte dei conti in un rapporto di fine 2021 nel quale si legge anche che "il settore del demanio marittimo comprende asset di notevole rilevanza da un punto di vista economico, sociale e occupazionale quali i porti turistici, le imprese balneari, le strutture dedicate alla nautica da diporto".
Secondo le organizzazioni del settore sarebbero circa 30mila aziende italiane e circa 600mila operatori, comprendendo anche l'indotto. Ma gli unici dati certificati sono quelli dell’indagine del 13 agosto 2019 effettuata da Unioncamere-InfoCamere coi dati del Registro delle Imprese delle Camere di Commercio, secondo cui gli stabilimenti balneari in Italia sono 6.823.
12.166 sono le concessioni a uso turistico
6.823 sono le imprese registrate come stabilimenti balneari
Legambiente mette in evidenza altre circostanze: “Dal 2000 a oggi sono quasi raddoppiate” le concessioni, si legge nel rapporto Spiagge 2021. Così “complessivamente si può stimare che meno di metà delle spiagge del Paese sia liberamente accessibile e fruibile per fare un bagno. Ma in alcune Regioni troviamo dei veri e propri record, come in Liguria, Emilia-Romagna e Campania, dove quasi il 70 per cento delle spiagge è occupato da stabilimenti balneari”, scrive l'associazione ambientalista. In alcuni comuni come Gatteo (Forlì-Cesena), Pietrasanta (Lu), Camaiore (Lu), Montignoso (Ms), Laigueglia (Sv) e Diano Marino (Im) più del 90 per cento delle spiagge è in mano ai privati: “Rimangono liberi solo pochi metri spesso agli scoli di torrenti in aree spesso degradate”. Legambiente solleva anche un altro punto sui canoni di concessione, “ovunque bassi”: “In alcune località di turismo di lusso come la Costa Smeralda o la Versilia, risultano vergognosi a fronte di guadagni milionari”.
Per lo Stato può essere difficile riscuotere quanto gli spetta perché la gestione e le competenze sono frammentate tra più autorità: il rilascio delle concessioni è affiato agli enti territoriali, i proventi vanno allo Stato, i controlli sono a cura dell’Agenzia del demanio, talvolta supportata da Guardia costiera e guardia di finanza. “La separazione tra le competenze degli enti locali nel rilascio delle concessioni e la diretta attribuzione delle risorse che ne derivano, riservata allo Stato, ha determinato una serie di criticità relative all’efficace gestione del demanio marittimo turistico-ricreativo, incidendo negativamente sul livello delle entrate e sul loro controllo”, scrivevano i magistrati contabili nel rapporto.
L’Agenzia delle entrate e delle riscossioni calcola circa 57 milioni di euro di crediti da recuperare, ma, tra debitori nullatenenti o morti, imprese cessate, cause giudiziarie, fallimenti e altro “può presumibilmente attivare azioni di recupero si riduce a circa 4,1 milioni di euro”, si legge ancora. Ancora più difficile è recuperare le somme dovute dagli occupanti abusivi: il livello di riscossione è addirittura più basso rispetto al complesso.
Abusivismo edilizio, inquinamento delle acque, pesca di frodo: così si danneggia il mare
"No alle aste", "State svendendo il lavoro di generazioni", "Non faremo i bagnini ai cinesi". Questo era scritto sui cartelloni che alcuni balneari hanno esposto a Roma il 10 marzo scorso durante le proteste contro il governo. Annullare le concessioni in corso per mettere a gara tra i migliori offerenti le spiagge, sarebbe un danno per molte persone che, nel corso di molti anni, hanno creato su quei terreni pubblici le loro imprese economiche. Per questa ragione più volte il Sindacato italiano dei balneari (legato a Confcommercio) e la Federazione italiana imprese balneari (Fiba, Confesercenti), due “lobby” del settore, hanno chiesto alla politica di non applicare la direttiva Bolkenstein, o almeno di non applicarla al settore delle concessioni balneari. A marzo, intervenendo al Senato, il Sib ha chiesto all’Italia di promuovere in Europa la revisione della Bolkenstein in maniera da esentare il proprio settore. La Fiba sostiene invece che “la proposta di legge delega da parte del governo, di fatto distrugge la balneazione attrezzata italiana così come realizzata nel nostro Paese”. Tra gli aspetti contestati, include:
"La prima è che l’aumento delle concessioni ha inciso sulle condizioni ambientali, come sulle dune, modificando la linea di costa"Edoardo Zanchini - Vicepresidente Legambiente
Il tema delle concessioni delle spiagge si lega anche alle questioni ambientali. “Ci sono due ragioni per cui Legambiente si occupa del tema – spiega Edoardo Zanchini, vicepresidente –. La prima è che l’aumento delle concessioni ha inciso sulle condizioni ambientali, come sulle dune, modificando la linea di costa. Inoltre, considerando che in alcuni comuni il 90 per cento delle spiagge è affidato ai privati, si lega al diritto di andare liberamente in spiaggia”. In alcune aree, fa notare Zanchini, è possibile percorrere chilometri di lungomare senza mai scorgere il blu per la presenza di muri, cabine, chioschi, ombrelloni e altro. Per questo Legambiente chiede alcune soluzioni, come un tetto massimo alle spiagge in concessione (metà ai privati, metà aperte a tutti) “con regole per garantire passaggi e spazi per i cittadini”, gare che tengano in considerazione anche la tutela dell’ambiente e la qualità del lavoro (i lavoratori stagionali del settore hanno spesso poche garanzie e pochi diritti, nonostante i costi sostenuti dai clienti per affittare ombrelloni e sdraie) e infine canoni adeguati, che possano servire a un “fondo nazionale per interventi di riqualificazione e valorizzazione ambientale dell’area costiera”.
Nella legge di bilancio 2019 era stato introdotto un modello di gestione, chiamato “partenariato pubblico-privato”, che include nei parametri di concessione e di “corretto utilizzo” delle aree demaniali anche la tutela della sostenibilità ambientale e quella degli ecosistemi, la modernizzazione delle strutture in un’ottica di “economia circolare, la promozione del miglioramento dell’offerta turistica affinché il bene demaniale possa generare sul territorio positivi effetti economici e sociali. Nel rapporto della Corte dei conti si accenna anche alla tutela del paesaggio “intesa anche quale diritto alla ‘tutela visiva del mare’”: “La visione del mare dalla pubblica via deve infatti essere intesa quale elemento da tutelare ai fini turistici e paesaggistici e non può più essere consentita una compressione di tale diritto a causa di edificazioni continue sui beni demaniali marittimi”, riassume la Corte dei conti.
Da Ostia alla Calabria, molte amministrazioni comunali non hanno mai preso provvedimenti contro la gestione di stabilimenti balneari affidata a persone legate ai clan mafiosi
In alcune aree, le concessioni balneari sono state un settore d'affari interessante per le organizzazioni mafiose, capaci di sfruttare l'assenza di gare pubbliche, la scarsa attenzione delle amministrazioni, ma anche vere connivenze. Il caso più emblematico è quello di Ostia, dove la gestione del litorale e delle concessioni balneari "rappresentano il business economico più rilevante" della località "e quindi preso di mira dagli interessi mafiosi", si legge nella relazione conclusiva della commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi, Secondo il documento, qui c'era una gestione "deficitaria ancora prima che corrotta", perché "non improntata ai principi di trasparenza, legalità e buon andamento della pubblica amministrazione". "Le verifiche condotte consentivano di affermare che la pur complessa gestione del litorale era stata condotta dal X municipio al di fuori di ogni regola: non si era mai proceduto alla revoca o alla pronuncia di decadenza delle concessioni nonostante le riscontrate violazioni anche per la presenza di innumerevoli abusi edilizi; non si era mai provveduto all’abbattimento dei manufatti abusivi realizzati sul litorale; non si erano mai applicate, né tanto più erano state fatte rispettare, le norme regolamentari pur esistenti che disciplinavano la materia", si legge ancora. Qui è stato possibile costruire un "lungomuro", definito come "uno sbarramento che impediva l’accesso libero alla spiaggia e la stessa visione del mare, realizzato in violazione delle norme di legge, delle previsioni del piano e delle stesse concessioni", ma l'amministrazione del X municipio non è mai intervenuta.
A Ostia la spiaggia "delle suore", chiamata così perché per lungo tempo affidata in concessione ad alcune suore, era passata a un appartenente al clan Triassi, che ci aveva costruito una piattaforma e un chiosco abusivo. Il Faber Beach era invece la spiaggia gestita dalla famiglia Fasciani. Nella vicina spiaggia di Castelporziano il chiosco Hakuna Matata era gestito da un pregiudicato per traffico internazionale di cocaina. Eppure, si legge sempre nella relazione, molti rappresentanti del settore hanno negato a lungo la presenza di criminali e di illegalità, come ha fatto il presidente del Sib Lazio, Fabrizio Fumagalli, che negava "di avere subìto un incendio nel 2013 del suo stabilimento" e affermava "di non avere mai riscontrato infiltrazioni di malavita nelle concessioni demaniali".
Ostia non è l'unico caso. A Siderno (Reggio Calabria), il comune è stato commissariato per infiltrazioni mafiose anche per via delle concessioni rilasciate a persone vicine alla 'ndrangheta, e in particolare alle 'ndrine della Locride, che facevano gestire i lidi turistici a familiari incensurati anche perché di giovane età. "Anche nel settore delle concessioni per la gestione degli stabilimenti balneari – si legge nel decreto di scioglimento di Marina di Gioiosa Ionica (Rc) – sono emersi elementi rivelatori di uno sviamento dell'azione amministrativa dell'istituzione locale a vantaggio degli interessi della criminalità organizzata". A Guardavalle (Catanzaro), comune sciolto dal presidente della Repubblica il 23 febbraio 2021, gli accertamenti condotti dalla prefettura hanno evidenziato "l'interesse economico della 'ndrangheta sulle concessioni demaniali, sia come mezzo di sfruttamento della risorsa turistica che come forma di controllo del territorio", L'amministrazione comunale aveva" autorizzato l'uso temporaneo del demanio marittimo a due stabilimenti balneari i cui gestori e parte del personale sono di fatto soggetti aventi frequentazioni od organici alle locali consorterie mafiose", senza mai effettuare verifiche. Le verifiche mancavano anche a Mattinata e Manfredonia, comuni foggiani commissariati per le infiltrazioni della mafia garganica (leggi l'articolo), che nutriva interessi negli stabilimenti e attività abusive sulle spiagge.
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