

Chi fornisce le armi a Israele? L'Italia prende tempo, ma intanto acquista da Tel Aviv

16 aprile 2020
Attraverso i porti transita gran parte delle merci movimentate nel globo. Secondo l’Eurostat, nel 2018 hanno viaggiato via mare il 79,3 per cento delle merci esportate dall’Italia e circa il 99,4 per cento di quelle importate. Anche le organizzazioni criminali prediligono questo canale per trafficare i carichi di stupefacente. Nel 2018, secondo la Direzione centrale dei servizi antidroga (Dcsa, gruppo che mette insieme gli esperti di polizia, carabinieri e guardia di finanza per il contrasto al narcotraffico, ndr), sono stati effettuati sul confine marittimo circa il 78 per cento dei sequestri di cocaina, il 60 per cento di quelli di eroina e il 99 per cento di hashish.
Per il direttore della Dcsa, "il nemico corre veloce"
Le mafie, e in particolare la ’ndrangheta, giocano un ruolo cruciale in questo business, ma non sono l’unico attore coinvolto. Dove l’accesso è riservato ai soli autorizzati, come i porti, i gruppi criminali sono costretti a rivolgersi ai lavoratori interni. Spesso chiedendo operazioni semplici e ordinarie: decidere la squadra di lavoratori in turno, individuare e riferire un luogo preciso per il posizionamento del container, selezionare quali contenitori controllare e quali lasciar passare. Così è avvenuto a luglio 2014, quando un carico di 150 chili di cocaina è sbarcata a Genova all’interno di un container contenente asparagi e proveniente dal Perù. Ad aspettarlo alcuni esponenti di primo piano della famiglia ’ndranghetista Alvaro di Sinopoli che, attraverso due intermediari genovesi, hanno assoldato dei lavoratori portuali per trasportare la merce all’esterno. Di fronte al fallimento del primo tentativo di recupero è stato lo stesso Alvaro, scortato in auto da uno dei portuali, a entrare e aiutare nelle operazioni.
Le mani delle mafie sui porti d'Italia
Altre volte i gruppi criminali instaurano collaborazioni più strette e proattive, allora si vedono lavoratori del porto, con ruoli anche apicali, che trasportano all’esterno carichi di droga, oppure uomini delle istituzioni che garantiscono al carico un transito sicuro, magari con un controllo sommario o del tutto fittizio sulla merce. Nell’ottobre 2011, a Gioia Tauro, il direttore operativo della società terminalista è stato intercettato mentre cercava di uscire dal porto alla guida di un furgone contenente circa 500 chili di cocaina. Le indagini hanno individuato un gruppo in grado di gestire per terzi le attività di recupero della droga dal porto, dietro il pagamento di una percentuale del carico. Tra di loro anche un ex dipendente della società di gestione della banchina merci, che poteva contare sulla collaborazione di ex colleghi e di parte della struttura logistica.
Per questi motivi, secondo la Direzione centrale dei servizi antidroga, la scelta del porto non dipende dal territorio controllato dall’organizzazione mafiosa, quanto piuttosto dagli appoggi che il gruppo può garantirsi nei vari porti. Stando alla Direzione nazionale antimafia, negli ultimi anni gli attracchi di maggiore interesse per i narcotrafficanti sono stati soprattutto Genova, Livorno e Venezia, oltre a quello di Gioia Tauro.
Da lavialibera n° 2 marzo-aprile 2020
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