26 agosto 2022
La trasmissione Investigation della rete belga Rtbf, con l’ausilio di un gruppo di ricercatori connazionali, ha analizzato 51 campioni di sangue di persone che risiedono vicino al polo chimico di Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, dove dal 2002 la multinazionale Solvay produce e utilizza i Pfas. Si tratta di composti, diffusi in tutto il mondo, usati per rendere resistenti ai grassi e all'acqua tessuti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti ma anche per la produzione di schiume antincendio, detergenti per la casa, ecc. Sostanze inquinanti e dannose per l’ambiente e per l’essere umano. L’indagine ha dimostrato la presenza nel sangue dei vecchi Pfas, banditi da oltre un decennio, e il possibile rischio sanitario per i nuovi composti, grazie ai quali Solvay è diventata la terza industria mondiale di sostanze considerate indistruttibili.
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Emmanuel Morimont è un giornalista belga che da anni, per conto dell’emittente pubblica Rtbf, indaga sulle contaminazioni ambientali. Ha cominciato a interessarsi di Solvay alla fine del 2021, dopo che l’azienda concorrente statunitense 3M è stata condannata a pagare oltre 500 milioni di euro per avere contaminato le acque della rete idrica vicino allo stabilimento di Zwijndrecht, nelle Fiandre. “La 3M non è la sola in Belgio a lavorare sui Pfas – spiega Morimont – nel nostro paese è nata la famiglia Solvay, che produce Pfas per tutta l’Europa. Abbiamo deciso di mappare le oltre 140 sedi del gruppo presenti nel mondo e abbiamo capito quanto fosse difficile la situazione a Spinetta Marengo”. A metà marzo il giornalista arriva nel sobborgo di Alessandria, accolto dalla rete di cittadini che da anni chiede analisi e controlli sulla popolazione che vive a ridosso del polo chimico. “La gente ci ha spiegato che uno studio sulla mortalità eseguito nel 2019 da Arpa ha dimostrato percentuali di tumori maggiori rispetto al resto della regione, era giusto compiere analisi più approfondite”.
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Già nel 2017 l’assessore all’Ambiente del comune di Alessandria, Claudio Lombardi, aveva commissionato uno studio sulle principali cause di patologie e morti a Spinetta Marengo. Tumori epatici e biliari, mesoteliomi, sarcomi e malattie cardiache erano risultati in percentuali superiori rispetto alla popolazione di Alessandria e del resto del Piemonte. Il lavoro dell’assessore, però, non ha incluso la fase del monitoraggio ematologico e quindi il rapporto di causalità tra inquinanti e patologie degli abitanti. “Il mio mandato in Comune è terminato nel 2018 – spiega Lombardi – e da allora nessuno ha proseguito la ricerca, malgrado avessimo già speso per questa prima fase 50mila euro. Qui a Spinetta è tutto molto difficile quando si parla di Solvay”.
Nel 2017 uno studio aveva mostrato come tumori epatici e biliari, mesoteliomi, sarcomi e malattie cardiache erano risultati in percentuali superiori a Spinetta Marengo rispetto alla popolazione di Alessandria e del resto del Piemonte
Nel momento in cui Morimont e la sua troupe hanno cominciato a cercare volontari per le analisi, Lombardi si è subito messo a disposizione. “Tra conoscenti, attivisti e persone sensibili alla questione siamo arrivati facilmente a 51 individui, trenta residenti a Spinetta e il resto provenienti da Alessandria”. I campioni di sangue sono stati raccolti e spediti al laboratorio di tossicologia del Policlinico di Liegi, dipartimento che Morimont conosce bene per un lavoro pregresso svolto su altri inquinanti. L’Università (il policlinico di Liegi è sede universitaria) è sensibile alla ricerca di nuovi contaminanti perché è contractor del progetto europeo HBM4EU, nato nel 2020 grazie all’interesse del governo tedesco di monitorare tutte le popolazioni europee esposte a contaminazione chimica. Per i Pfas in Italia il capofila è l’Istituto superiore di sanità, che finora ha consegnato solo parzialmente i dati degli esami del sangue eseguiti sulla popolazione veneta, esposta dal 2013 alla più vasta contaminazione in Europa.
A inizio agosto il laboratorio belga ha fornito i risultati per il Pfoa, vecchio Pfas bandito dal 2009 e la cui produzione è vietata dal 2013. “La soglia limite posta dal progetto HBM4EU è di 10 microgrammi per litro, che è il risultato della media degli spinettesi, mentre per gli alessandrini la media è di 1,94, dieci volte inferiore”, commenta Morimont. La soglia europea è lo spartiacque per potere collegare eventuali patologie all’esposizione da Pfas. Dal 2006, infatti, il Pfoa è correlato a ipertensione, ipercolesterolemia, diabete e rischi in gravidanza (parti prematuri e diabete in gestazione). Il Pfoa dimezza la sua presenza nel sangue ogni 3,7 anni, quindi è facile ipotizzare che chi adesso ha 10 microgrammi per litro, nel 2013, quando il Pfoa smise di essere prodotto, ne avesse circa 80, una quantità otto volte superiore. “Tra i trenta spinettesi analizzati – continua il giornalista – i dati più alti riguardano ex operai Solvay che adesso hanno 39 microgrammi, un valore che se fosse stato estrapolato nel 2013 avrebbe superato quota 300”.
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Il 17 agosto Morimont è tornato a Spinetta con i ricercatori belgi per consegnare gli esiti delle analisi ai volontari. “In questi mesi di lavoro – dice il cronista – il più grande dispiacere è la mancata collaborazione di Solvay". Per provare a parlare con i dirigenti della multinazionale, Morimont ha perfino acquistato delle azioni e partecipato alle assemblee degli azionisti.
Il 18 agosto Solvay Solexis (il marchio con cui Solvay è presente in Piemonte) ha consegnato alle testate locali una nota stampa, chiedendo di visionare il dossier integrale delle analisi e spiegando come dal 2004 siano stati effettuati oltre 5mila esami ematologici ai dipendenti esposti. Dal 2002 Solvay Solexis partecipa a meeting annuali insieme alle altre industrie produttrici di perfluorurati sul tema della salute dei propri lavoratori, e ogni anno investe oltre 100mila dollari per la prevenzione. In uno di questi incontri l’azienda ha deciso di “spostare” gli operai esposti alla contaminazione da Pfas, prima ogni sei mesi e infine ogni quattro mesi, per evitare che la concentrazione di inquinanti nel loro sangue raggiunga i 5mila microgrammi per litro registrati nel 2003.
Nella stessa nota Solvay ha spiegato che le azioni di bonifica ambientali hanno ridotto i valori della contaminazione sotterranea esterna al polo, mentre i dati Arpa di marzo 2022, relativi alla concentrazione del vecchio Pfas Adv, dicono che i numeri sono superiori (6,56 microgrammi) rispetto a quelli raccolti nel settembre 2021 (6,25 microgrammi). In merito al punto evidenziato dai ricercatori di Liegi sull’impossibilità di ricercare nel sangue i composti di punta cC6O4 e Adv, Solvay ha risposto che "gli standard per le analisi sono sempre stati a disposizione delle autorità sanitarie e degli enti competenti in materia”. Un’affermazione che non corrisponde a verità, in quanto l’unica istituzione pubblica che dal 2021 può campionare il nuovo Pfas cC6O4 è la Regione Veneto, che dal 2013 ha una contaminazione da cC6O4 per oltre 73 chilometri. Inoltre, solo il Policlinico di Milano, che opera come clinica del lavoro della multinazionale, può monitorare il cC6O4 nei dipendenti Solvay. Sempre il 18 agosto il nuovo sindaco di Alessandria, Giorgio Abonante, ha auspicato analisi mirate sulla presenza di Pfas nel sangue, sulla scia di quanto chiesto dai comitati del Veneto, che da anni sostengono gli attivisti piemontesi.
Ad agosto Solvay ha chiesto di visionare il dossier integrale delle analisi, spiegando come dal 2004 siano stati effettuati oltre 5mila esami ematologici ai dipendenti esposti
L’assessorato alla Sanità della Regione Piemonte ha preferito attendere e leggere il dossier integrale delle analisi, quindi ha risposto ad alcune domande de lavialibera attraverso il dipartimento prevenzione sanità e veterinaria. “Da quasi un anno – dicono dall’Ente – abbiamo creato un gruppo di lavoro che coordina diversi studi intorno al polo chimico. È stato eseguito un primo campionamento su alcuni prodotti alimentari, latte e uova, che hanno evidenziato la presenza dei vecchi Pfas (Pfoa e Adv) e delle nuove produzioni (cC6O4). Ora abbiamo idee più chiare e un iter preciso da seguire”. Il gruppo di lavoro – composto dall’Asl di Alessandria e da collaboratori quali l’Istituto zooprofilattico del Piemonte, Irsa-Cnr e Università di Torino – può contare su 340 mila euro stanziati per rafforzare il presidio sanitario locale e campionare per due anni, a partire da ottobre 2022, numerosi matrici alimentari come mais, prodotti animali e vegetali. Inoltre, da febbraio 2023 è previsto un primo monitoraggio per la popolazione esposta, comprendendo tutti gli standard della produzione Solvay che la multinazionale ha deciso di mettere a disposizione del gruppo. “Stiamo valutando come agire per tutelare le fasce più a rischio – aggiungono dalla Regione – sapendo che i Pfas sono interferenti endocrini e che con esposizioni prolungate, a dosi elevate, colpiscono organi come la tiroide. Per il monitoraggio umano abbiamo deciso di seguire il protocollo utilizzato per il termovalorizzatore di Torino, è stato programmato un finanziamento di 70mila euro e dopo i risultati sugli alimenti procederemo includendo, oltre agli esami del sangue, anche quelli delle urine, perché alcuni Pfas sono più rintracciabili in quella matrice”.
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Alcuni alimenti prodotti vicino al polo chimico di Spinetta Marengo contengono i Pfas provenienti esclusivamente da Solvay. In alcune uova sono state trovate tracce di cC6O4, brevettato nel 2011 dalla multinazionale belga, e di Adv, vecchia miscela di composti Pfas risalente alla fine degli anni ’80, sempre riconducibile a Solvay. Il territorio esterno alla zona ha subito una contaminazione cronica, sia attraverso la falda sottostante sia attraverso l’emissione in atmosfera (la multinazionale ha ben 72 camini).
Il gruppo di lavoro della Regione ha in mano un recente studio condotto da Arpa, firmato dalla dottoressa Ilaria Marchisio, che dimostra come questi due composti siano presenti nell’aria. Tra gennaio 2019 e novembre 2020 sono stati raccolti alcuni campioni, utilizzando la metodologia sperimentale di Arpa Veneto, che nel 2017 aveva eseguito un solo campionamento all’esterno dell’azienda Miteni, in provincia di Vicenza, anch’essa produttrice di Pfas. Se nella prima campagna di monitoraggio i valori di cC6O4 erano di circa 5 microgrammi e di circa 0.6 microgrammi per l’Adv, il secondo monitoraggio ha mostrato concentrazioni inferiori, circa 2 microgrammi di cC6O4 e circa 0.080 microgrammi di Adv. Il Pfoa, ufficialmente messo al bando nel 2013, è ancora presente in atmosfera per 0,036 microgrammi. La conclusione dello studio, pubblicato sulla rivista Prevenzione in Corso a febbraio 2022, sottolinea che “è molto importante prevedere in un’ottica preventiva delle campagne di monitoraggio delle matrici ambientali, in modo da raccogliere dati che permettano di avere un quadro rappresentativo del problema nel tempo”. La collaborazione tra le due regioni, nata a giugno 2021, è stata confermata a Lavialibera da Arpa Piemonte, che ha proseguito il campionamento della matrice aria per tutto il 2021, con dati che sono al momento in fase di elaborazione.
In alcuni alimenti prodotti vicino al polo chimico di Spinetta Marengo contengono i Pfas provenienti esclusivamente da Solvay
Per quanto riguarda l'aria, limiti nazionali di emissione per i Pfas non ne esistono, mentre per gli scarichi nelle acque la Regione Piemonte, a ottobre 2021, ha limitato per legge alcuni Pfas. Visto che le acque potabili della zona non sono mai state contaminate attraverso la falda (un solo caso nell’estate del 2020 aveva coinvolto il comune di Montecastello, a pochi chilometri da Solvay), una possibile via di inquinamento viene indicata nei camini della zona industriale. Inoltre, a inizio agosto l’Università di Stoccolma ha pubblicato uno studio curato da Ian Cousins – referente del progetto europeo Perforce 3, destinato a monitorare tutte le sostanze chimiche nell’ambiente – secondo il quale l’aria è la matrice che conduce dall’acqua contaminata degli scarichi industriali alla pioggia che alimenta i terreni. Lo studio chiede limiti stringenti per gli scarichi delle industrie che utilizzano e producono Pfas.
Nel giugno 2020 lo studio legale Alber & Geiger che rappresenta Chemours, azienda leader nel settore chimico, specializzata in tecnologie al titanio, fluoroprodotti e soluzioni chimiche, ha inviato una email un gruppo di senatori italiani chiedendo di non porre limiti severi agli scarichi industriali delle aziende che producono Pfas. Scrivono i legali:
Volevamo raggiungervi sulla questione importante dei limiti Pfas in acqua in Italia. Nel 2018, l'Istituto Superiore di Sanità (ISS), su richiesta del Ministero dell'Ambiente e della Regione Veneto, ha fornito il proprio parere sui limiti di concentrazione applicabili di HFPO-DA (tecnologia GenX) per suolo, acque sotterranee e acque superficiali. I limiti sono sproporzionatamente bassi, nonostante la mancanza di prove scientifiche conclusive in merito ai rischi della tecnologia GenX per la salute umana e l'ambiente. In più, i limiti eccessivamente restrittivi interromperanno la funzione di molte imprese sia in Italia che all'estero. GenX non è un prodotto commerciale, è un ausilio alla lavorazione utilizzato nel processo di fabbricazione di fluoropolimeri riconoscibili da marchi come Teflon®. Questi fluoropolimeri sono indispensabili in molte applicazioni industriali e di consumo.
Gli avvocati menzionati nella mail hanno quindi chiesto un incontro in presenza per discutere i limiti posti per salvaguardare la salute della popolazione veneta, esposta dagli anni ’60 alla contaminazione da Pfas. Ma non è tutto. Si legge anche che "GenX, e altri ausiliari di processo simili come, ad esempio, ADONA e C6O4, sono utilizzati per produrre fluoropolimeri riconoscibili da marchi come Teflon®, Polyflon®, Neoflon®, Dyneon®, Hyflon®, Algoflon® e Fluon®. Questi fluoropolimeri sono indispensabili in molte applicazioni industriali e di consumo, sostengono molti posti di lavoro e importanti aziende in Italia”.
Peccato che il Gen X, sostituto del Pfoa per la multinazionale Chemours e “cugino” per formula chimica del cC6O4, da luglio 2022 è considerato tossico dall’Agenzia ambientale statunitense (Epa) e bandito dalla produzione. La mail è stata recapitata nell’estate in cui il ministro Sergio Costa era impegnato nella chiusura del Collegato ambientale destinato a modificare la legge n. 152 del 2006, il Testo Unico ambientale. Un documento redatto in oltre due anni di lavoro, realizzato dalle Arpa regionali, da Ispra e dall’Istituto Superiore di Sanità. Un lavoro tecnico e politico per porre limiti nazionali agli scarichi dei Pfas. Purtroppo il documento non è mai stato completato a causa della caduta del governo guidato da Giuseppe Conte.
Con l’avvento di Mario Draghi la senatrice Vilma Moronese, presidente della Commissione ambiente in Senato, ha redatto un nuovo disegno di legge per arrivare ad avere limiti ancora più stringenti. Moronese ha ottenuto la collaborazione dell’Irsa – Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), che dal 2008 campiona i Pfas in Italia e ha segnalato l’emergenza sanitaria in Veneto – e dall’Istituto superiore di sanità. A luglio 2022 si sono tenute le audizioni di Federchimica (il vicepresidente dell’associazione è Marco Colatarci, country manager di Solvay in Italia), dei carabinieri che hanno condotto indagini in Veneto e Piemonte contro Miteni e Solvay, delle associazioni di cittadini fra cui le mamme No Pfas del Veneto, e dell’Ispra. Vengono limitati i Pfas come famiglia, oltre 5mila composti nel mondo, e previsto un tetto massimo di 5 microgrammi per litro agli attuali scarichi attivi. A metà luglio il ddl include 66 emendamenti, inserendo la possibilità di monitoraggio sanitario per tutte le popolazioni esposte a rischio inquinamento da Pfas e un monitoraggio aggiuntivo alle emissioni in aria.
Dopo le dimissioni di Mario Draghi, Vilma Moronese ha deciso di non ricandidarsi e il secondo relatore del ddl, Andrea Ferrazzi (Pd) non è stato ricandidato. L’unica esponente politica candidata alle elezioni del prossimo settembre, che include nel programma elettorale la necessità di porre dei limiti nazionali ai Pfas, è la vicentina Cristina Guarda (Europa Verde), che da anni, nelle vesti di consigliera regionale in Veneto, chiede di salvaguardare ambiente e cittadini da questa contaminazione.
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Per quanto riguarda le indagini aperte l’11 febbraio 2021 dai carabinieri del Nucleo ecologico operativo (Noe), coordinate dal procuratore di Alessandria Enrico Cieri, non trapela alcuna notizia. Gli esposti consegnati a fine 2020 da alcune associazioni ambientaliste e da oltre 50 residenti di Spinetta chiedevano almeno la bonifica del sito, ottenuta con la condanna per disastro ambientale nel 2019 e mai eseguita.
Il 19 agosto i ricercatori belgi sono tornati a Liegi mentre Morimont a Bruxelles sta chiudendo il suo lungo reportage su Solvay, che include la sede belga e quella sotto inchiesta in New Jersey. Nel frattempo, gli attivisti piemontesi si preparano in vista della prossima Conferenza dei servizi, che confermerà o meno la possibilità per Solvay di continuare a produrre Pfas.
Come per tutte le industrie chimiche sottoposte alla direttiva Seveso – che impone agli stati membri dell’Unione europea di identificare i siti industriali a rischio – Solvay deve ottenere ogni dieci anni il rinnovo delle autorizzazioni per produrre sostanze chimiche considerate pericolose. La richiesta è stata inoltrata dalla multinazionale nel 2021 e il 27 gennaio 2022 è stata discussa dalla Conferenza dei servizi, con gli organi istituzionali coordinati dalla Provincia. Entro sessanta giorni, a decorrere dal 27 gennaio, Solvay avrebbe dovuto rispondere a tutte le richieste per preservare ambiente e salute da contaminazioni.
Il 13 luglio 2022 Lavialibera ha chiesto alla Provincia di Alessandria la data della prossima riunione, ma è stato risposto che nel periodo estivo non si organizzano incontri così importanti e che il dossier Solvay richiede tempo. A distanza di otto mesi, quindi, non risultano a calendario audizioni per discutere l’autorizzazione ambientale. Nella nota a commento delle analisi del sangue, Solvay afferma di volere dismettere la produzione di alcuni perfluorurati entro il 2026. Una scelta che non ha nulla di virtuoso, perché a luglio 2023 la Commissione europea avvierà la discussione per bandire l’intera famiglia di Pfas come produzione europea, ponendo limiti agli scarichi di chi li utilizza.
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