30 settembre 2020
Il 15 luglio scorso i carabinieri hanno arrestato 33 persone in Veneto per associazione di tipo mafioso, traffico di stupefacenti, estorsione, rapina, usura, ricettazione, riciclaggio, turbata libertà degli incanti e altri reati. Molti sono accusati di far parte della 'ndrangheta. Era l'operazione "Taurus", una delle ultime indagini sulle infiltrazioni mafiose a Nord Est. Quel giorno il deputato del Partito democratico Nicola Pellicani dichiarava che “in Veneto non è più rinviabile l'istituzione di una Commissione antimafia in Consiglio regionale. Serve un luogo istituzionale dove approfondire e studiare il problema, per adottare le misure necessarie per fronteggiare la presenza della criminalità organizzata in Veneto”.
In Veneto esista già un Osservatorio per il contrasto alla criminalità organizzata e mafiosa e la promozione della trasparenza, in ottemperanza alla legge regionale 48 del 2012, una legge di contrasto alla criminalità organizzata, probabilmente “non più rinviabile” già nell’anno in cui è stata promulgata e firmata dal governatore che poi è lo stesso di oggi, Luca Zaia. Nei venti articoli erano stabiliti gli obiettivi e le finalità: dalla diffusione della cultura della legalità e della cittadinanza responsabile, all’attività di ricerca e documentazione, agli interventi di sostegno nei confronti delle vittime di fenomeni di violenza, di dipendenza, di sfruttamento e di tratta, all’istituzione dell’Osservatorio, che avrebbe dovuto monitorare, approfondire e suggerire alla politica azioni da intraprendere per il contrasto alle mafie. Si tratta di un organismo diverso dalle classiche “commissioni antimafia” composte da consiglieri eletti perché l’Osservatorio è costituito da alcuni esperti. Dunque, anche se sono due organi concepiti come differenti, l’ipotesi che si istituisca un nuovo agente di studio e prevenzione patrocinato dal Consiglio regionale è scoraggiante, soprattutto se si legge la relazione di fine mandato redatta dall’Osservatorio già esistente e operativo.
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Come già messo in evidenza da altri, in particolare dal Centro di documentazione e inchiesta sulla criminalità organizzata del Veneto (un soggetto indipendente nato a febbraio 2020), il documento dell’Osservatorio regionale viene presentato specificando che è l’insieme di ciò che è stato prodotto in separata sede dai singoli componenti dell’organo, che sono persone “di riconosciuta esperienza nel campo del contrasto al crimine organizzato e della promozione di legalità e trasparenza, che rivestono l’incarico a titolo onorifico”, come stabilito dall’articolo 15 della legge quadro. La relazione raccoglie cinque testi riuniti ex post (quattro in realtà, perché uno è stato prodotto e cofirmato da due membri). Un primo dettaglio che però suona piuttosto grottesco, quasi a premettere simbolicamente, già dalle prime pagine, che manca uno sguardo d’insieme.
Agli osservatori istituzionali si tende a perdonare abbastanza facilmente l’autoreferenzialità, quasi statutaria, e persino se ne condona l’implicita influenza politica, che sia del momento o del tutto stazionaria. Nel caso del Veneto, si tratta di un’influenza politica di predominanza ininterrottamente leghista, da prima ancora che la parola Nord venisse rimossa dal logo del partito (cioè solo tre anni fa). Sono elementi che vengono risparmiati dalla critica non perché corretti, ma perché in parte inevitabili. Del resto la vittoria per la collettività sembra essere il nudo fatto che un osservatorio regionale esiste, è vivo dopo defezioni (tre in quattro anni) e mancate nomine (come quella dell'ex procuratore Guido Papalia) e, anche se non lotta insieme a noi, scrive una relazione di cento pagine, pur con interlinea 1,5 e un margine laterale ampio per prendere fitti appunti. Il traguardo sembra essere proprio il fatto che sulla copertina il logo del Consiglio regionale sta sopra il nome di un organismo chiamato, tra le altre cose, antimafia. E in parte, bisogna ammetterlo, è stato davvero un traguardo.
Otto anni dopo la legge regionale per il contrasto alla criminalità organizzata, in Veneto le inchieste e i processi per mafia sono moltiplicati. Nell’aula bunker di Mestre, di fronte al Tribunale di Venezia, è in corso un processo contro alcuni presunti esponenti della camorra e alcuni politici di Eraclea, un procedimento in cui la Regione Veneto si è costituita parte civile di fretta, alla scadenza dell’udienza preliminare. In questo contesto l’Osservatorio ha presentato una relazione in cui si afferma che la causa della presenza mafiosa nella regione è il soggiorno obbligato, la misura con cui lo Stato ha imposto a pregiudicati di abitare in luoghi lontani da quelli di nascita e residenza. Lo ha scritto Giovanni Fabris, ex senatore di Lega Nord, con il testo peggiore della relazione per forma (“ad un certo punto, se non ricordo male… fu introdotto il criterio del massimo ribasso”), per sostanza e per forma e sostanza combinate, come quando enuclea le funzioni dello Stato, riducendole a tre, di cui la prima sarebbe la difesa dei confini. Il testo si conclude, con un tono polemico verso ignoti: “Io ho fatto la mia parte”.
È chiaro che l’osservatorio sia antimafioso nel suo collocarsi, ma non è chiaro quello sguardo d’insieme che quattro testi semplicemente impaginati insieme non possono avere
Ma l’ha fatta davvero? Parlare ancora di soggiorno obbligato in questo modo indica una visione inesatta, parziale e non confermata dalla ricerca. Non è più un problema di autoreferenzialità, ma di contenuto e di posizione che l’Osservatorio prende, trascinando con sé il consiglio regionale. La relazione sembra quindi un compito obbligatorio per cui forse la Regione Veneto non si è preparata, non giustificata, dopo anni di riflessioni, rivendicazioni e invocazioni di commissioni. Se è vero che un Osservatorio istituzionale deve pur esserci per legge, non è scontato che la validazione dell’organo stia nella sua auto-incoronazione di osservatorio antimafia: perché è chiaro che l’osservatorio sia antimafioso nel suo collocarsi, ma non è chiaro quello sguardo d’insieme che quattro testi semplicemente impaginati insieme non possono avere.
L’episodio della relazione di fine legislatura mette in evidenza questioni irrisolte. Una è la mancata problematizzazione che lo studio contemporaneo delle mafie deve rivendicare perché la presenza della mafia in Veneto, a cui contrapporre un osservatorio antimafia, ormai dovrebbe essere assodato. Invece il discorso politico, e in questo caso scientifico almeno nell’intenzione, sfugge alla necessità di compiere uno studio organico delle organizzazioni mafiose, con un’attenzione rivolta alle scienze sociali soprattutto, alle pubblicazioni che già negli scorsi anni suggerivano altre chiavi di lettura per l’infiltrazione e il radicamento al Nord. In realtà già in campagna elettorale, se mai è iniziata o mai si è conclusa, abbiamo assistito di nuovo a due alternative: o si dice che la mafia è anche al Nord e non solo un problema meridionale, o non si dice niente. Politica e Regione falliscono, da anni, nel tentativo di comprendere se stesse.
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