9 giugno 2020
Venti arresti scattati nella notte tra le province di Bolzano (9), Trento (1), Reggio Calabria (8), Padova (1) e Treviso (1). È il bilancio dell'operazione "Freeland" coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura di Trento che, con l'impiego di circa 200 uomini e donne delle forze dell'ordine, ha permesso di individuare la prima locale di 'ndrangheta in Trentino-Alto Adige. A tutti gli arrestati è contestato l'articolo 416-bis del codice penale, associazione a delinquere di stampo mafioso, per aver fatto parte, con altre persone ancora da identificare, di un gruppo dell'organizzazione mafiosa calabrese capace di operare in maniera autonoma nella regione, in particolare nella provincia di Bolzano, sin dai primi anni Novanta.
Le indagini sono iniziate nell'aprile del 2018 grazie alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia. "Si tratta di dichiarazioni che erano state rilasciate anni fa, ma su cui nessuno aveva finora lavorato – ha dichiarato questa mattina in conferenza stampa a Trento, Francesco Messina, capo della Direzione centrale anticrimine della Polizia di Stato –. Abbiamo così iniziato monitorando l'attività di soggetti migrati in queste zone dall'area milanese e torinese già alla fine degli anni Ottanta e della cui militanza mafiosa eravamo certi". Un lavoro che si è dunque sviluppato a "freddo", a prescindere dalla prova della commissione di specifici delitti, grazie all'esperienza costruita negli anni su altri territori. "Con il procuratore capo (di Trento, ndr) Sandro Raimondi parliamo da tempo della necessità di un cambio di passo: bisognava investire in risorse umane preparate e specializzate per intervenire sulla realtà locale. La cultura della legalità in Trentino-Alto Adige non manca, ma la situazione è delicata perché ci sono state poca attenzione e sensibilità".
"Volevano gli arresti per poter parlare di mafia anche dalle nostre parti – commenta con amarezza Chiara Simoncelli, referente regionale dell'associazione Libera –. Negli incontri pubblici o nelle formazioni nelle scuole spesso ci chiedono dove siano le operazioni. Forse ora cominceremo finalmente a capire che gli arresti sono solo la punta dell'iceberg".
Secondo gli inquirenti l'organizzazione bolzanina sarebbe stata fondata negli anni Novanta da Francesco Perre, emissario della cosca Barbaro-Papalia, originario di Platì (in provincia di Reggio Calabria) e già operante nella locale di 'ndrangheta a Volpiano, comune della provincia di Torino dove, tra il 1997 e il 1998, sono avvenuti quattro omicidi per una faida tra famiglie mafiose. Una realtà che il direttore dell'Anticrimine Messina conosce bene avendo ricoperto fino all'anno scorso il ruolo di questore di Torino. La guida della locale altoatestina sarebbe passata poi nelle mani di Mario Sergi, sessantenne originario di Delianuova (Rc) e legato alla cosca Papalia-Italiano, ma domiciliato a Bolzano.
Una volta divenuta egemone nella gestione del traffico di stupefacenti sul territorio, l'organizzazione si è infiltrata nel settore edile e nella ristorazione
La principale attività del gruppo bolzanino è il traffico di sostanze stupefacenti provenienti dalla Calabria, dove le 'ndrine locali godono ormai di accordi diretti con i cartelli della droga sudamericani. Le indagini hanno evidenziato come la compagine 'ndraghetista, una volta divenuta egemone nella gestione delle piazze di spaccio, abbia stretto alleanze con la criminalità locale e con quella del Triveneto, utilizzata per lo smercio della droga nonché per l’approvvigionamento di armi. Gli inquirenti hanno stimato un giro di quattro-cinque chili di cocaina al mese. Tra gli arrestati per concorso esterno ci sono anche "due bolzanini doc" di 32 e 45 anni, come li ha definiti il vicequestore e capo della Squadra mobile di Trento, Tommaso Niglio. Si tratta di due spacciatori della piazza di Bolzano che si rifornivano in via diretta dagli appartenenti alla locale di 'ndrangheta.
Oltre alla droga, il gruppo era attivo anche nello smercio di armi e nell'illecita gestione di slot machine taroccate. La voracità del gruppo gli ha consentito anche un'intensa infiltrazione nel tessuto economico legale, in particolare nel settore edile e nella ristorazione. Sergi, ad esempio, risulta titolare di una ditta di costruzioni (la Sirio Costruzioni srls) e di un bar, formalmente intestato alla compagna, sequestrato nella notte. Il Coffee Break di via Resia a Bolzano era il luogo designato per i summit dell'organizzazione.
Alcuni episodi accertati dalle forze dell'ordine rendono bene l'idea della violenza e della forza di intimidazione su cui poteva contare la locale. "In un caso, per non pagare la riparazione di un'autovettura hanno preso il meccanico e lo hanno sequestrato per 24 ore, mentre in un altro hanno costretto un ristoratore a pagare un debito che in realtà non aveva", ha raccontato il capo della squadra mobile Niglio.
Emblematico è poi quanto avvenuto all'interno del bar sequestrato: "In seguito a un borseggio ai danni di una cliente del locale, il titolare nonché capo dell'organizzazione (Mario Sergi, ndr) ha individuato e convocato gli scippatori. Sono bastate poche affermazioni perché il maltolto venisse restituito alla legittima proprietaria con tanto di scuse. Anche questa notte – ha concluso Niglio – mentre lo arrestavamo Sergi è sbottato affermando di aver già scontato in passato 30 anni di carcere. Una modalità tipica spesso riscontrata in altri territori per rimarcare la propria caratura criminale".
Interessante, infine, la figura di Zito Angelo, cosentino domiciliato a Pergine, in provincia di Trento. Mentre sulla carta era un agente di commercio che trasportava pane e medicinali, in un'intercettazione ambientale l'arrestato racconta a un sodale la propria partecipazione al sequestro di Carlo Celadon, ragazzo veneto rapito nel 1988, all'età di 19 anni, per 831 giorni. Nelle parole degli inquirenti, "uno dei sequestri più efferati di quel periodo".
Da anni il territorio è oggetto di allarmi da più fronti, rimasti però spesso inascoltati: nessun delitto efferato, nessuna vittima innocente da ricordare, "solo" sedici i beni confiscati. Una sottovalutazione del fenomeno da cui l'associazione Libera mette in guardia da tempo. "Il nome stesso dato all'operazione è molto rappresentativo: in Trentino-Alto Adige non potevano che chiamarla 'Freeland' (terra libera, ndr) perché tutti pensano che nel territorio queste cose non succedano – commenta Chiara Simoncelli, referente regionale dell'associazione –. Forse ora si comincerà ad accettare che anche qui non si tratta di piccoli errori o di sviste, ma che le mafie stanno lavorando con sistematicità anche nel nostro territorio. Una locale di 'ndrangheta non si forma per sbaglio".
"Non potevano che chiamarla operazione Freeland, perché in Trentino-Alto Adige ancora si creda che la mafia non sia un problema che ci riguarda" Chiara Simoncelli - referente regionale dell'associazione Libera
Come ha sottolineato il Direttore centrale anticrimine Messina, "a fronte di un insediamento silente, l'attività della 'ndrangheta in questi anni è stata fervente". Già nella relazione del febbraio 2018 la Commissione parlamentare antimafia, allora presieduta dall'onorevole Rosy Bindi, evidenziava come "i gruppi criminali, in particolar modo la ‘ndrangheta, mantengono un basso profilo per non attirare attenzione e per investire capitali. Persone in relazione con le cosche sono autori di reati economico-finanziari, come la bancarotta fraudolenta nei settori dell’edilizia e dello sfruttamento delle cave di porfido, di truffe e di sfruttamento illegale di manodopera".
"La droga è solo l'inizio, poi ci sono le aziende, il potere amministrativo, la corruzione. Possiamo ancora essere ottimisti, ma non dimentichiamo che siamo solo nella fase della neutralizzazione" Francesco Messina - direttore centrale anticrimine della Polizia di Stato
Ora a supporto di quelli che troppo spesso sono stati considerati solo dei dubbi c'è anche un'inchiesta che promette ulteriori sviluppi, in primis sul piano finanziario. "La ditta di Sergi risulta fallita, ma abbiamo rinvenuto assegni in bianco per 30mila euro – ha raccontato il capo della squadra mobile Niglio –. Così come potrebbero configurarsi nuovi profili di usura". D'accordo anche il capo della Direzione centrale anticrimine, Messina: "La droga è solo l'inizio, poi ci sono le aziende, il potere amministrativo, la corruzione".
"Il fenomeno si può ancora affrontare con un certo ottimismo, ma non bisogna dimenticare che il virus ormai c'è: la delocalizzazione è avvenuta già vent'anni fa – ha concluso Messina –. Per evitare che la mafia produca anche in questo territorio i danni che abbiamo già visto in Lombardia, Piemonte o Emilia-Romagna occorre prima neutralizzarla, poi sradicarla. Ecco, noi siamo solo nella fase della conoscenza e neutralizzazione".
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