28 febbraio 2023
Sono nel sangue, è dimostrato che causano tumori, infertilità e scompensi ormonali dovuti ad alterazioni del sistema endocrino. Non sono biodegradabili e inquinano l’ambiente, disperdendosi nell’aria e mischiandosi all’acqua da bere e utilizzata per lavarsi e cucinare. Eppure, nonostante le evidenze scientifiche e i processi penali in corso, le sostanze perfluoroalchiliche – meglio conosciute come Pfas – continuano a essere prodotte e a generare grossi guadagni per le aziende. Questi composti chimici vengono utilizzati dall’industria per rendere impermeabili all’acqua e ai grassi oggetti di uso quotidiano, come padelle e indumenti. La loro utilità ed efficacia è fuori discussione (basti pensare ai vantaggi del Teflon o del Goretex, due delle applicazioni più note) se non fosse che, "nuocciono gravemente alla salute". In Italia, la regione più contaminata è il Veneto: un’area di circa 600 chilometri quadrati che include le province di Verona, Vicenza e Padova, dove vivono oltre 300mila persone. L’epicentro è Trissino, nel Vicentino, storica sede dell’azienda chimica Miteni, fallita nel 2018 e ritenuta responsabile della dispersione di sostanze inquinanti nelle acque potabili, di falda e superficiali. Ma esiste una storia gemella in Piemonte – a Spinetta Marengo, una frazione di Alessandria – dove si trova lo stabilimento della Solvay, multinazionale belga che produce polimeri fluorurati.
Pfas, un filo rosso tra Miteni e Solvay
"Stiamo parlando della contaminazione della seconda falda idrica più grande d’Europa, destinata ad allargarsi molto di più"Matteo Ceruti - Avvocato parti civili
"Stiamo parlando della contaminazione della seconda falda idrica più grande d’Europa, destinata ad allargarsi molto di più", dice Matteo Ceruti, avvocato che rappresenta le Mamme no Pfas, un gruppo che si è costituito parte civile al processo vicentino, nato nel 2017 dopo che uno screening, effettuato sui giovani tra i 14 e i 29 anni, ha rivelato valori di Pfas nel sangue superiori di 30-40 volte rispetto a quelli della popolazione non esposta.
Michela Zamboni, residente a Legnago, in provincia di Verona, uno dei comuni dell’area rossa, dove l’acqua di pozzi e acquedotto è contaminata, è tra le mamme più attive: "Per anni l’abbiamo bevuta, ci hanno sempre detto che era sicura e controllata. Mia figlia, che è nata proprio nel 2002, si è sottoposta agli esami ed è emerso che queste sostanze erano nel suo sangue. Ora aspetto il responso per la mia seconda figlia, nata nel 2007. Purtroppo l’inquinamento è nell’acqua, ma anche nell’aria, negli alimenti che mangiamo. L’unica patologia correlata alla contaminazione da Pfas a oggi è proprio l’aumento del colesterolo e in effetti ci sono tanti bambini che vivono nella zona rossa che ne presentano livelli elevati nel sangue, pur facendo uno stile di vita sano e non avendo alcune familiarità. Ma c’è anche chi denuncia un numero elevato di aborti, bambine con le mestruazioni a sette anni. Una coppia ammalata di tumore al rene, che è molto raro".
Sul fronte alessandrino, di recente, la trasmissione Investigation della rete belga Rtbf, con il supporto di un gruppo di ricercatori, ha analizzato 51 campioni di sangue di persone che risiedono vicino al polo chimico, dimostrando la presenza nel sangue dei vecchi Pfas, banditi da oltre un decennio, e il possibile rischio sanitario per i nuovi composti, grazie ai quali Solvay è diventata la terza industria al mondo nella produzione di sostanze considerate indistruttibili. "Uno studio sulla mortalità eseguito nel 2019 dall'Agenzia regionale per l'ambiente (Arpa) ha dimostrato percentuali di tumori maggiori rispetto al resto della regione, era giusto compiere analisi più approfondite", ha detto il giornalista Emmanuel Morimont, che ha curato l’inchiesta. Nell’elenco delle zone rosse figurano anche Lombardia, Alto Adige, Emilia Romagna, Toscana e Lazio, a dimostrazione che il problema è esteso e interessa le aree a forte vocazione industriale.
Il più grande inquinamento da Pfas d'Europa è in Veneto
"Le famiglie che vivono qui sono composte da persone, ricordi e mamma Solvay"Viola Cereda - Biologa e attivsta "Stop Solvay"
Il 26 aprile del 2021 sono stati rinviati a giudizio 14 dirigenti della Miteni e la società fallimentare. I reati contestati, a vario titolo, sono avvelenamento delle acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e una serie di reati fallimentari. Al processo in corso, Roberto Ferrari, un geologo della società di consulenza ambientale Erm, ha spiegato che i vertici dell’azienda "chiesero di distruggere i risultati delle analisi sulla presenza di Pfoa nell’acqua di falda". Dal racconto si evince come i vertici dell’azienda fossero a conoscenza della contaminazione, ma invece di intervenire e adoperarsi per la bonifica cercarono di insabbiare le prove. In attesa della sentenza, la storia di Miteni in Italia si è già conclusa con il fallimento, eppure la produzione di Pfas continuerà in India, dove non vi sono restrizioni.
Sull’altro fronte, in Piemonte, nel dicembre del 2020 Solvay Solexis è stata condannata per disastro ambientale da sostanze chimiche. È stato provato che la multinazionale non ha bonificato le perdite, inquinando di cromo esavalente i terreni vicini allo stabilimento. L’11 febbraio 2021 i carabinieri hanno ispezionato lo stabilimento per compiere nuove indagini e il 21 dicembre 2022 il procuratore di Alessandria, Enrico Cieri, ha chiuso l’inchiesta confermando il reato di disastro ambientale da Pfas. Il magistrato ha accusato due dirigenti, Stefano Bigini e Andrea Diotto, di non avere eseguito alcuna bonifica (leggi l'articolo).
Come avvenuto in Veneto, anche ad Alessandria (Spinetta Marengo) è soprattutto la società civile che spinge per avere risposte. "Le famiglie che vivono qui sono composte da persone, ricordi e mamma Solvay", dice Viola Cereda, biologa e attivista del comitato Stop Solvay che, attraverso cortei, assemblee pubbliche e raccolta firme, ha chiesto a più riprese alle istituzioni di organizzare un’attività di screening per tutti i residenti della Fraschetta, il quartiere dove si trova la fabbrica.
Nei tribunali il percorso difficile delle vittime del profitto
Riavvolgiamo il nastro, perché questa storia arriva da lontano. I composti Pfas sono nati in un laboratorio statunitense all’inizio della seconda guerra mondiale e a depositare per prima il brevetto fu la multinazionale Dupont. In Italia sono arrivati nella metà degli anni Sessanta, quando a Vicenza la casa di moda Marzotto era alla ricerca di un prodotto capace di impermeabilizzare le pelli e i tessuti delle sue collezioni. A quei tempi il conte Giannino Marzotto era il punto di riferimento di un territorio industriale molto esteso, la Val d’Agno, nel Vicentino. Inizialmente la famiglia aveva scelto di lavorare le sostanze chimiche a Trissino, ma poco dopo la produzione è stata spostata lungo il torrente Poscola, sotto la collina che chiude la valle: la chimica non può fare a meno dell’acqua, indispensabile per la produzione e per lo scarico. In quel luogo, i Marzotto hanno deciso di costruire la fabbrica che, fino al 2018, ha riversato nel torrente e poi nella falda sostanze che, a partire dal 2001, sono riconosciute come pericolose.
Intanto in Piemonte, nel 2002 la famiglia Solvay ha acquistato per oltre un miliardo l’industria Ausimont, immersa nelle campagne alessandrine, tra il fiume Bormida e il sobborgo di Spinetta Marengo. Sono 130 ettari di impianti visibili percorrendo la statale che collega Alessandria all’autostrada. Nel giro di pochi anni gli impianti italiani sono stati rivenduti, con l’eccezione del cuore chimico, la Solvay Solexis, che impiega tuttora circa 700 operai. Nei primi cinque anni di attività, l'azienda ha raddoppiato gli introiti sui Pfas, superando le statunitensi Dupont e 3M, falcidiate da sentenze penali per avere contaminato centinaia di famiglie attraverso il rilascio illegale degli inquinanti nelle reti idriche.
Pfas, l'Onu chiede all'Italia limiti nazionali
"Mai avremmo pensato di trovare quelle sostanze nei rubinetti di casa nostra, in quantità così elevate"Stefano Polesello - Ricercatore
La Rimar (Ricerche Marzotto) ha scaricato i Pfas nel torrente Poscola dal 1967. In quegli anni non vi era alcuna legge che limitasse il rilascio dei composti tossici e così sono trascorsi oltre 40 anni, nell’indifferenza generale. Bisognerà attendere il maggio del 2013, quando nelle mani di Comune, Provincia e Regione arriva un dossier voluto dal ministero dell’Ambiente e realizzato dal Centro nazionale per le ricerche (Cnr), che per la prima volta accerta la presenza di Pfas nelle reti idriche, nella falda, nella terra e nei fiumi per 600 chilometri di territorio.
Il Cnr aveva iniziato a indagare su queste sostanze già nel 2007, con i ricercatori Stefano Polesello e Sara Valsecchi incaricati di scoprire quale fosse l’origine dell’inquinamento del fiume Po. "Non sapevamo nulla, avevamo contatti diretti con i colleghi europei che dal 2006 cercavano Pfoa (acido perfluoroottanoico, una delle tipologie più diffuse di Pfas, ndr) nei sette fiumi principali per il progetto Perforce – racconta Polesello dal suo ufficio di Brugherio, in Brianza – mai avremmo pensato di trovare quelle sostanze nei rubinetti di casa nostra, in quantità così elevate. Abbiamo cominciato dalla fonte di pressione segnalata da Perforce in Piemonte – continua – quindi siamo venuti a conoscenza di un report europeo del 2006 che indicava l’azienda Miteni, in provincia di Vicenza, come unico produttore di Pfoa in Europa. Ed è lì che siamo andati".
La "fonte di pressione" a cui fa riferimento Polesello era la Solvay Solexis, che dal 2002 scaricava dai suoi stabilimenti di Spinetta Marengo. Nel 2005 la multinazionale Dupont era stata coinvolta nello studio Perforce, guidato dal professor Pim de Vogt dell’università di Amsterdam, che aveva chiesto alle aziende di fornire dati ambientali sui Pfoa, al fine di valutarne il possibile rischio. Pochi mesi dopo, era stato pubblicato il report sui fiumi più contaminati da Pfoa in Europa e Solvay Solexis è stata indicata come fonte di pressione principale. Questo è il momento in cui l’Europa prende davvero atto della pericolosità dei Pfoa: nel 2013 ne è finalmente vietata la produzione, ma il sostituto, il cC6O4, non ha tardato ad arrivare.
Da allora gli studi, le analisi e le ricerche sui Pfas si sono moltiplicati, eppure non esistono ancora limiti nazionali per gli scarichi industriali di questi inquinanti. Soltanto il Veneto e il Piemonte, le due regioni più coinvolte, hanno previsto delle soglie. Nel 2019 il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha invitato le Agenzie regionali per l’ambiente a indicare possibili limiti, ma nulla era accaduto per la caduta del governo.
Un disegno di legge redatto da Vilma Moronese, presidente della commissione Ambiente del Senato fino al 2022, non è mai stato approvato. Eppure nel 2021 in commissione Rifiuti l’allora ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, aveva detto: "C’è una buona attenzione al problema, una discreta capacità di identificare le informazioni salienti e quindi di legiferare in materia, ma anche un ruolo internazionale importante".
Pochi giorni prima del suo insediamento, Cingolani aveva firmato in qualità di dirigente di Leonardo – azienda attiva nei settori difesa, aerospazio e sicurezza che ha come maggiore azionista il ministero dell’Economia e delle finanze – un contratto commerciale con Solvay Solexis per la creazione di un laboratorio di ricerca dedicato allo sviluppo di materiali termoplastici e di nuovi processi di produzione destinati all’industria aerospaziale. Pietro Paris, ingegnere che per Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha coordinato numerosi tavoli europei sul tema, spiega: "Il nostro Paese non ha mai richiesto di limitare l’uso di queste sostanze, a differenza di altri Stati che spingono per metterle al bando".
Il 13 gennaio 2023 sul tavolo europeo è arrivato il primo testo che vieta l’intera famiglia Pfas, ma l’Italia non figura tra i paesi promotori.
Nel marzo del 2008, Solvay Solexis ha inviato a Miteni un nuovo prodotto in grado di sostituire i Pfoa, siglato cC6O4. Miteni ha iniziato a lavorare questo composto e nel 2009 le due aziende hanno confermato l’avvio dell’impianto pilota targato Solvay per la produzione di Teflon. Nessuna delle due aziende ha però denunciato la produzione del cC6O4 fino a quando, nel 2018, a seguito di un blitz dei carabinieri a Trissino, Miteni è stata costretta a farlo. Nel 2010 Solvay Solexis aveva intanto rinnovato l’autorizzazione integrata ambientale (Aia) – un documento obbligatorio per le industrie chimiche che sottostanno alla direttiva Seveso sulla sicurezza delle produzioni – senza mai citare il composto. Nel 2017 l’assessore all’Ambiente del comune di Alessandria, Claudio Lombardi, ha commissionato uno studio sulle principali cause di patologie e morti a Spinetta Marengo: tumori epatici e biliari, mesoteliomi, sarcomi e malattie cardiache erano risultati in percentuali superiori rispetto alla popolazione di Alessandria e del resto del Piemonte. Il mandato dell’assessore è terminato nel 2018 e da allora nessuno ha proseguito la ricerca. "Qui a Spinetta è tutto molto difficile quando si parla di Solvay", ha commentato il diretto interessato.
Nel 2019 la convenzione di Stoccolma – un documento firmato nel 2001 che elimina o limita l'uso di sostanze nocive per la salute umana e per l’ambiente – ha incluso nell’elenco dei composti vietati i Pfoa. Due anni dopo, ad Alessandria, Solvay ha richiesto e ottenuto, dopo aver pagato una diffida da poche migliaia di euro, l’ampliamento della produzione del cC6O4, la cui vendita oggi rappresenta il 60 per cento del suo fatturato italiano. Nel 2020, intanto, l’attuale direttore dello stabilimento, Andrea Diotto, in commissione parlamentare Ecomafie, ha indicato il 2013 come anno di primo utilizzo della sostanza.
Il brevetto depositato nel Registro delle sostanze chimiche europeo, però, risale al 2011 e la prima scheda di produzione spedita a Miteni indica come data il mese di giugno 2010. La stessa Arpa Veneto, durante un sopralluogo in Miteni effettuato nell’ottobre del 2013, ha evidenziato la produzione di un nuovo composto proveniente dal Piemonte, segnalato nel verbale proprio con la sigla cC6O4.
Ecomafie, storia di una parola e una lotta
A distanza di quindici anni dalle prime analisi, alla Solvay è sempre Sara Valsecchi a cercare i composti inquinanti. "Ora ci concentriamo sulla contaminazione dell’aria, perché ci sono 72 camini che emettono queste sostanze". I dati elaborati dall’Arpa nel 2020 hanno in effetti dimostrato come i Pfas emessi in atmosfera da Solvay hanno raggiunto il sobborgo di Spinetta. L’azienda ha confermato che ridurrà la produzione di Pfas a partire dal prossimo giugno, anche perché le linee guida europee vieteranno da luglio la produzione dell’intera famiglia Pfas. Inoltre, ha annunciato la dismissione del suo polo americano. Negli Stati Uniti, infatti, la multinazionale è sotto processo per avere immesso nell’ambiente sostanze pericolose senza mai autodenunciarsi.
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