18 febbraio 2021
Chi abita vicino a una discarica o a un deposito di rifiuti ha più possibilità di contrarre un tumore alla mammella o di ammalarsi di asma o di leucemia. Non solo: le malformazioni congenite sono di numero più elevato rispetto a quelle mostrate da chi nasce in alta montagna, vicino al mare o in un qualunque altro luogo più o meno salubre. Le conclusioni dello studio commissionato dal tribunale Napoli Nord all’Istituto superiore della sanità – sul cui territorio di competenza ricadono 38 dei 90 Comuni della Terra dei fuochi – stanno facendo discutere da giorni. Per qualcuno il report al centro del dibattito è stato ripreso in modo da alimentare false notizie: lo studio è frutto di una ricerca epidemiologica che mostra un tasso di probabilità e non di casualità tra rifiuti tossici e malattie. Per altri si tratterebbe, invece, di una lama di luce nel buio dell’omertà.
L'Italia paga all'Europa 120mila euro al giorno per il ritardo nell'applicazione del piano proposto dalla Campania che prevedeva il completamento del ciclo dei rifiuti all'interno dei confini regionali
Polemiche e dibattiti, però, non sono serviti ad accelerare quello che in ogni caso sarebbe necessario fare: le bonifiche senza cui la Terra dei fuochi resterà una terra di veleni. Ma non solo. Per eliminare i rischi e ridurre le spese serve organizzare un corretto ciclo dei rifiuti. Altrimenti l’Italia continuerà a pagare 120mila euro al giorno all’Europa che nel 2015 ci ha inflitto una penalità per ogni giorno di ritardo nell’applicazione del piano proposto dalla stessa Campania, che prevedeva impianti di compostaggio e il completamento del ciclo dei rifiuti all'interno dei confini regionali. Finora abbiamo versato circa 245 milioni di euro. La cifra da capogiro non spaventa politici e amministratori che, in mancanza di un’impiantistica adeguata, continuano a mandare l'immondizia campana in giro per il mondo. Sacchetti che girano il mondo e provocano disastri: per aver accettato la spazzatura campana, il ministro tunisino dell’ambiente è stato arrestato e quello bulgaro è stato costretto alle dimissioni.
Ecomafie, storia di una parola e di una lotta
Fare chiarezza è il primo passo per dipanare il bandolo di una matassa fatta di rinvii, ignoranza, pressappochismo. Partiamo da un punto: i dati resi pubblici dalla Procura concordano con quelli pubblicati nello studio Sentieri del 2011, un'analisi avviata nel 2002 che aveva l’obiettivo di studiare la mortalità delle popolazioni residenti nei Sin (Siti di interesse nazionale per le bonifiche). "Il report stilato dalla Procura di Napoli Nord e dall’Istituto superiore di sanità s’interessa a un’area più ristretta – spiega Antonio Giordano, direttore dello Sbarro institute for cancer research and molecular medicine e co-direttore del Center for biotechnology nel college of science and technology di Filadelfia –, ma conferma anni di denunce sull’esistenza di un legame tra lo smaltimento illecito di rifiuti e l'incidenza di svariate patologie, incluso il cancro e in particolare il tumore al seno, l'asma, varie forme di leucemie e malformazioni congenite la cui incidenza e, conseguente ospedalizzazione, è maggiore nei trentotto comuni analizzati nel report”. Si tratta in entrambi i casi di studi epidemiologici, ma secondo Giordano anche i dati clinici concordano. “Oggi sappiamo bene in che modo gli inquinanti agiscono sul nostro organismo, conosciamo gli effetti molecolari, pertanto, molti di essi sono classificati come cancerogeni dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc). Il problema della determinazione del nesso di causalità consiste nel fatto che molte di queste patologie hanno un’eziopatogenesi (lo studio delle cause di una malattia e del loro meccanismo di azione, ndr) multifattoriale, per cui, non sempre è facile escludere i fattori confondenti”. E infatti alcuni studiosi indicano una molteplicità di elementi (i cosiddetti stili di vita) come concausa dell’incremento del male. Ma, concordano tutti, l’inquinamento non fa bene.
Lo studio conferma anni di denunce sull’esistenza di un legame tra lo smaltimento illecito di rifiuti e l'incidenza di svariate patologie Antonio Giordano - Sbarro institute for cancer research and molecular medicine
Eppure da tredici anni le bonifiche nella Terra dei fuochi restano al palo. Una sola discarica dei veleni, la Resit, è stata messa in sicurezza. Apparteneva a Cipriano Chianese, condannato a ventisei anni di reclusione per disastro ambientale, e ha continuano a essere utilizzata anche dai commissari di governo che si sono succeduti nel periodo dell’emergenza. Dentro ci sono finiti i rifiuti tossici di tutt’Italia a cominciare dai fanghi dell’Acna (azienda di coloranti di Cengio, in provincia di Savona) per finire con le ceneri dell’Enel di Brindisi. Il geologo che ha eseguito la perizia per la Dda di Napoli, Giovanni Balestri, ha definito la discarica una bomba ecologica. Poi è stata messa in sicurezza dall’allora commissario Mario De Biase e quindi la gestione, passando per l’agenzia dei beni confiscati e la Regione Campania, è stata affidata alla società che per la Città Metropolitana di Napoli gestisce il ciclo dei rifiuti. Doveva diventare un parco pubblico, ma è stata abbandonata.
Rifiuti, nelle falle del sistema si infiltrano gli ecocriminali
Invece, sono stati definitivamente bonificati con la tecnica del biorisanamento i campi di San Giuseppiello di proprietà dei fratelli Vassallo. Uno di loro, Gaetano, è poi diventato collaboratore di giustizia e ha raccontato: “Irrigammo il terreno con i fanghi provenienti dalle concerie, per spargerli usavamo gli irrigatori”. Accanto alla Resit nel triangolo della morte chiamato “Area Vasta di Giugliano”, ci sono le altre discariche della famiglia Vassallo in cui, ha raccontato il pentito, sono riusciti a portarci i veleni dalle imprese del Nord, del Sud e del Centro Italia. Gli invasi originari erano tre che nel tempo sono cresciuti a dismisura. Adesso per la discarica chiamata Novambiente è in conclusione la fase di verifica del progetto esecutivo redatto dall’impresa: in quell’inziale mancava la via d’accesso. Per Masseria del Pozzo – Schiavi è finito il processo di rivestimento, si deve completare la copertura col terreno vegetale e i lavori dovrebbero concludersi entro l’estate, come alla Sogeri di Castelvolturno, un altro invaso dei veleni. In entrambi i casi il condizionale è d’obbligo visti i continui rinvii. Poi si dovrebbero recuperare i soldi spesi: i procedimenti contro i proprietari sono ancora in corso.
Ad avvelenare la gente della Terra dei fuochi sono, però, anche i roghi tossici: erano 4mila nel 2012, quando la prefettura e la Regione organizzarono una task force alla quale partecipò anche l’esercito. Adesso si sono quasi dimezzati, ma sono ancora troppi. L’ex ministro Sergio Costa aveva portato un decreto in consiglio dei ministri (si doveva chiamare Terra Mia) che prevedeva un aggravamento delle pene per gli avvelenatori. Non è mai stato discusso per l’opposizione di Italia Viva che l’ha ritenuto inopportuno in un momento di crisi imprenditoriale.
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Nei cumuli che deturpano la Campania, ci sono, però, anche i rifiuti urbani: la spazzatura che i cittadini per insipienza, inciviltà o disperazione, lasciano sul ciglio della strada. Ancora oggi una fetta consistente dei rifiuti campani è esportata perché non sono stati realizzati gli impianti in grado di lavorarla. Secondo l’Ispra, solo 78mila tonnellate di frazione umida vengono lavorate in regione, il resto (679 mila tonnellate) è esportato. Va un po’ meglio con la frazione secca: se ne produce circa un milione di tonnellate e l’unico inceneritore della Regione ne brucia 700mila. Finisce in giro per il mondo anche quasi tutto l’umido proveniente dalla differenziata. Secondo la commissione ecomafie della passata legislatura, un unico gruppo di imprese collegate ha incassato una bella fetta del mezzo miliardo speso per i viaggi dei rifiuti in Campania tra il 2014 e il 2017. E nei tre anni successivi ne sono stati spesi altrettanti. Un affare da non perdere per chi trasporta la spazzatura. Un affare che, però, l’Europa condanna. E per questo dal 15 luglio del 2015 continuiamo a pagare 120 mila euro di multa ogni giorno.
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