22 dicembre 2022
Avrebbero contaminato “irreversibilmente” le acque che scorrono sotto la Solvay Solexis, anteponendo l’interesse della loro azienda alla tutela dell’ambiente. Stefano Bigini e Andrea Diotto, dirigenti al polo chimico di Spinetta Marengo, una frazione di Alessandria, rischiano adesso il processo per disastro ambientale. Dopo due anni trascorsi a raccogliere dati e testimonianze, il procuratore Enrico Cieri ha chiuso le indagini e nelle prossime settimane valuterà se chiedere il rinvio a giudizio per i due manager.
Nel dicembre del 2015 quattro dirigenti della multinazionale erano già stati condannati dalla Corte d’assise per avere inquinato le acque sotterranee con cromo, solventi clorurati e fluoruri, che dallo stabilimento hanno raggiunto la falda. In quell’occasione, i giudici avevano chiesto la bonifica del sito, che secondo gli inquirenti non sarebbe mai avvenuta.
Pfas, l'altro fronte: Solvay ad Alessandria
Per la procura, Solvay avrebbe omesso “di provvedere al più efficace risanamento della pregressa contaminazione del sito e al più sicuro contenimento del rilascio dei contaminanti nella falda ove è stata accertata una diffusa e cospicua concentrazione di Pfas (Adv, cC6o4 e Pfoa)”. A dimostrare la mancata bonifica vi sono una serie di dati raccolti nel 2019 dall’Arpa – l’Agenzia regionale per la protezione ambientale – che dimostrerebbero la continua percolazione dei prodotti principali dell’azienda, quei Pfas che dal 2018 Solvay produce in esclusiva per l’Italia dopo il fallimento dell’azienda vicentina Miteni. Due tipologie di sostanze polifluoroalchiliche (Adv e cC6O4) sotto brevetto Solvay – la prima dal 1993 e la seconda dal 2011 – difesi strenuamente dalla società belga, tanto da vietarne la riproduzione nei laboratori esterni.
Secondo l'accusa, Solvay avrebbe continuano a inquinare, nonostante la sentenza del 2015 prevedesse la bonifica del sito
Nel dossier si legge che l’azienda avrebbe continuato “a inquinare il terreno e le acque di falda sottostante lo stabilimento. Indice questo della mancata integrale tenuta delle tubature interne, oggetto di processo di revisione per ottenere il rilascio dell’autorizzazione per la produzione di cC6O4”. Nella prima condanna del 2015, oltre alla bonifica, era stato chiesto alla Solvay di restaurare i 50 chilometri di tubi interni allo stabilimento, dai quali erano fuoriuscite le sostanze inquinanti. La messa in sicurezza delle tubature era legata anche all’ottenimento del permesso per produrre fino a 60 tonnellate l’anno del prodotto di punta Solvay, il cC6O4. Il via libera arriva il 12 marzo 2021, con la firma dell’allora tecnico della provincia di Alessandria Claudio Coffano.
Pfas, un filo rosso tra Miteni e Solvay
Nel documento si legge: “Deve essere garantita l’assoluta tenuta della rete idrica e l’eliminazione delle perdite dovute non solo a tubazione ma anche a emissioni diffuse. La Società ha presentato un piano di eliminazione molto esteso. Pertanto fino a completa esecuzione degli interventi previsti non potrà essere effettuata la produzione di cC6O4”. La produzione parte e nel monitoraggio Arpa datato settembre 2021 si evidenzia che “il cC6O4 ha fatto registrare (...) la concentrazione minima di 0,49 microgrammi/litro e massima di 690 microgrammi/litro”. Un mese dopo, il Centro nazionale per le ricerche presenta il suo ultimo studio scientifico sui Pfas prodotti da Solvay Solexis. “Lo abbiamo ritrovato nei pesci e nelle uova di uccelli selvatici. Il cC6O4 è presente in tutto il territorio limitrofo, perché gli uccelli mangiano cibo contaminato”, spiega la ricercatrice del Cnr Sara Valsecchi. La sostanza è stata ritrovata anche in un primo monitoraggio eseguito dalla Regione Piemonte, che a febbraio 2022 ha trovato tracce di Adv e Pfoa in uova rurali e latte di produzione industriale.
Nelle carte della procura alessandrina, si accusa Solvay di avere “con siffatte condotte ed omissioni colpose, perpetrato e aggravato la già sensibile alterazione (irreversibile o tale da richiedere interventi onerosi per ripristinare l’equilibrio dell’ecosistema) delle matrici ambientali dell’acqua, dell’aria e del terreno”. Oltre all’acqua di falda e dello scarico, Solvay avrebbe contaminato in maniera irreversibile anche l’aria interna ed esterna allo stabilimento. I dati del campionamento Arpa del 2021, infatti, evidenziano la presenza nelle cantine delle abitazioni vicine al polo chimico valori oltre la soglia di cloroformio, tetracloruro di carbonio, tetracloetilene e tricloroetilene. Il pubblico ministero sottolinea la necessità di porre la contaminazione aerea come rischio effettivo per la popolazione e i settantadue camini segnalati dall’ex assessore Claudio Lombardi, non ancora discussi nell’autorizzazione ambientale, vengono considerati possibili punti di emissione di sostanze considerate cancerogene dallo Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro.
Il pm ritiene che i dirigenti della Solvay hanno risparmiato sui costi di bonifica per favorire i profitti dell’azienda, che avrebbe dovuto sborsare circa 100 milioni di euro per mettere in sicurezza il sito. Solvay ha replicato sostenendo che dal 2012 al 2022 ha speso circa 50 milioni di euro per bonificare le aree contaminate da sostanze come il cromo. Per i soli Pfas prodotti tra il 2002 e il 2007 Solvay aveva raddoppiato il fatturato, superando le altre multinazionali produttrici come 3M e Dupont. Nel 2021 il fatturato globale della multinazionale ha quasi raggiunto i 13 miliardi di dollari.
Solvay di Spinetta Marengo: Pfas nel sangue dei residenti
La multinazionale ha replicato con un comunicato, dopo avere appreso la notizia della chiusura delle indagini per i due dirigenti. “Solvay apprende che al termine di approfondite e lunghe indagini preliminari condotte dalla procura del tribunale di Alessandria e dai Noe di Alessandria, il pubblico ministero ha notificato la conclusione delle indagini a solo due delle otto persone inizialmente indagate. Rispetto allo scenario configurato alla partenza delle indagini e alle accuse sostenute dalle denunce e dagli esposti presentati in procura, le imputazioni appaiono ridimensionate: in particolare viene escluso il reato di omessa bonifica e il dolo originariamente contestato; le residue ipotesi d’accusa riguardano una responsabilità colposa (cioè non intenzionale) relativa ad una presunta alterazione dell’ambiente”.
La replica della multinazionale: “Escluso il reato di omessa bonifica e il dolo originariamente contestato”
I due indagati, rappresentati dagli avvocati Luca Santa Maria e Dario Bolognesi (che per due anni è stato l’avvocato di Regione Veneto, parte civile al processo contro Miteni dove si produceva il prodotto Solvay cC6O4), hanno venti giorni a disposizione per presentare eventuali memorie e farsi ascoltare dal pm Cieri.Intanto Solvay è ancora in attesa del rinnovo dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), che definisce i limiti dei Pfas prodotti nello stabilimento. Il documento è scaduto alla fine del 2020 e dopo una prima Conferenza dei servizi tenutasi a gennaio 2022, la Provincia di Alessandria – l’ente che rilascia l’autorizzazione – non ha ancora messo in calendario una data per discuterne.
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