28 febbraio 2023
C'erano una volta delle famiglie normali, con i loro ritmi, problemi, gioie, progetti e sogni. Un giorno come gli altri, però, un evento che non avevano messo in conto sconvolge le loro vite, inaspettato, perché certe cose si pensa accadano solo agli altri.
Non si tratta di belle novità: qualcuno si trova nel momento sbagliato nel luogo sbagliato, un monte che si sbriciola ai piedi di una diga (Vajont 1963, 1.910 morti), un ponte che crolla (Genova 2018, 43 morti), un albergo spazzato via da una valanga (Rigopiano 2017, 29 morti), un quartiere che esplode nel cuore della notte (Viareggio 2009, 32 morti), persino una scuola colpita da un aereo militare che precipita senza pilota (Casalecchio di Reno 1990, 12 vittime).
Alcuni se ne vanno nel cuore della notte, in un appartamento in affitto o un dormitorio scolastico distrutti da un terremoto perché chi di dovere non ha rispettato le norme antisismiche; magari succede che un figlio muoia sul lavoro o che un genitore si spenga per colpa dell’amianto con il quale, decenni prima, ha convissuto in fabbrica. Quelle famiglie smettono di essere come le altre: inizia il loro calvario per cercare giustizia. Che è altro e di più di una sentenza di condanna.
Crimine dei potenti, una questione di prospettiva
“Per il sistema giudiziario siamo affamati di soldi o di vendetta. Il nostro scopo è ottenere verità”
"Il dopo è peggio della tragedia stessa", è l’amara presa di coscienza condivisa da tutti i superstiti. All’inizio c’è lo strazio del dolore, poi subentra la consapevolezza che quelle morti potevano essere evitate, allora arrivano la rabbia, la fame di verità, la profonda delusione per non sentirsi protetti dalla legge, l’amarezza di dover combattere da soli, anche contro le istituzioni stesse, troppo spesso dalla parte dei potenti e di interessi economici.
Le vittime si accorgono che la lotta per la giustizia costa molto, sia in termini psicologici sia economici. Ci sono gli avvocati da pagare, i viaggi per seguire le udienze, le assenze sul lavoro, i periti e le loro parcelle, spesso a quattro zeri come il prezzo per avere le trascrizioni degli atti dei processi. Alle vittime provocate dalle violazioni delle leggi sulla sicurezza e sulla salute pubblica non è permesso nemmeno quel doloroso, ma necessario processo che porta all’elaborazione del lutto.
"Per anni, decenni, il dolore diventa il nostro cibo quotidiano. Deve diventarlo. Si rinnova nelle udienze, nell’attesa delle sentenze, viene alimentato dall’arroganza degli imputati e dei loro legali, dagli sfregi alla logica delle ricostruzioni dei periti della difesa, dalla sproporzione economica e di legami che contano tra gli imputati rispetto alle vittime e alle parti civili, da un sistema giudiziario che ci vede come affamati di soldi o di vendetta anche a costo di far condannare un innocente. Ma il nostro scopo è ottenere verità e giustizia affinché le stragi non si ripetano. Siamo la voce dei nostri cari. Voci che si vuole soffocare", ripete dal 7 maggio 2013 Adele Chiello, madre di Giuseppe Tusa, vittima del crollo della torre piloti del porto Genova, abbattuta come un birillo dalla Jolly Nero, nave dell’armatore Messina.
Lei è una spina nel fianco non tanto di Roberto Paoloni, comandante della Jolly, quanto dell’armatore e del capitano di fregata Felice Angrisano, comandante della Capitaneria del porto di Genova a cui, appena un mese dopo la strage, è stata conferita l’onorificenza di commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica. La sua posizione era stata in un primo momento archiviata, ma Chiello è riuscita a portarlo a processo: quella torre era stata costruita senza alcuna protezione in prima linea nell’area di manovra dei natanti. Per lui è arrivata le condanna in primo grado. L’appello è in corso. Chiello è riuscita a far coinvolgere nei processi anche i vertici del Registro navale italiano, che aveva certificato come la nave non avesse malfunzionamenti al momento della partenza dal molo, ma così non era.
La flotta Messina è stata coinvolta in altri gravi incidenti (anche mortali) e in pagine di cronaca oscure, come le vicende delle “navi dei veleni” fatte affondare con il loro carico di rifiuti tossici nel mar Mediterraneo. Si è parlato delle Jolly anche in relazione alle esecuzioni in Somalia della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin e dell’avvelenamento del capitano di fregata Natale De Grazia che stava indagando proprio su questi fatti. Da dieci anni Adele combatte la sua battaglia e da Milazzo, dove abita, non si è persa una sola udienza a Genova. L’accompagna sempre la foto di Giuseppe, un dito puntato contro chi le ha portato via il figlio e anche chi, istituzioni comprese, mette al primo posto il profitto rispetto alla vita delle persone. "Sono i picciuli (soldi, ndr) a far muovere il sistema", dice.
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"Alle spalle di ogni famigliare delle vittime c’è un passato, c’è la sua storia con le sue ferite, magari non ancora rimarginate del tutto"Emmanuel Diaz - Fratello di Henry, vittima del crollo del ponte Morandi
"L’attesa logora noi vittime. È insopportabile, ci costringe a programmare la vita in base alle scadenze delle udienze, alla lettura delle sentenze e dei risultati dell’analisi di un perito", le fa eco Daniela Rombi, madre di Emanuela Menichetti, morta dopo 42 giorni di agonia con il corpo ustionato al 98 per cento in seguito all’esplosione, alla stazione di Viareggio, di una cisterna di Gpl, uno scoppio che ha coinvolto un intero quartiere della città. "Spesso si sente parlare dello strazio degli imputati, soprattutto se poi assolti, a causa della lunghezza dei processi. Poco si dice dello strazio delle vittime che per cavilli giuridici o per la prescrizione vedono assolti in Cassazione i responsabili. Siamo schiacciati tra due storture del sistema giudiziario italiano: la prescrizione e la lunghezza dei processi. Non è un caso che molti familiari decidano di accettare le transazioni offerte dagli avvocati degli imputati. Uscire dai processi significa avere la bocca tappata per sempre. È invece importante costituirsi in associazione e stringere legami forti con le altre vittime. A volte è solo la solidarietà tra chi condivide le stesse battaglie a darci la forza di andare avanti".
"Alle spalle di ogni famigliare delle vittime c’è un passato, c’è la sua storia con le sue ferite, magari non ancora rimarginate del tutto", dice Emmanuel Diaz, fratello di Henry, precipitato con la sua auto dal ponte Morandi. Da bambini, a Medellin, in Colombia, i due fratelli avevano vissuto gli orrori delle guerre scatenate dai cartelli della droga. Arrivati in Italia adolescenti si sentivano oramai al sicuro. "Dal crollo del ponte per me è invece iniziata un’altra guerra: quella contro i farraginosi meccanismi della legge. La giustizia non è garantita, è una conquista. La verità processuale spesso si scontra con quella effettiva. Per essere in aula ci si deve dimenticare delle proprie fragilità, si deve colmare l’ignoranza in materia legale per arrivare preparati alle udienze. Bisogna studiare i codici, si deve diventare criminologi, si è costretti a capire anche termini tecnici. Non basta scegliere un avvocato, bisogna trovare quello giusto e mettersi al suo fianco, non mancare alle udienze perché leggendo i verbali si possono capire dettagli importanti. Gli avvocati hanno la competenza, ma spetta a noi decidere come procedere. Si deve imparare a parlare con i giornalisti, essere sintetici, ma efficaci. In altre parole, tutto il resto delle nostre vite passa in secondo piano. Quando è morto mio fratello avevo 27 anni, stavo per laurearmi, avevo un lavoro. Ora difendere il diritto di Henry di non morire nel silenzio e nell’indifferenza, mi assorbe completamente".
Chiunque può diventare vittima di leggi sulla sicurezza violate: mai banali incidenti, ma veri crimini. Il comitato Noi, 9 Ottobre, che riunisce numerose associazioni, sta portando avanti la proposta di modifica dell’articolo 111 della Costituzione che prevede, come auspicato dalle direttive europea del 2012, di inserire a fianco dei diritti degli imputati anche quelli delle vittime. È un passo indispensabile per tutelare la vita delle persone, delle comunità e dell’ambiente contro quei picciuli sporchi che fanno muovere il sistema.
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