Lo stabilimento Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza. (Foto Federico Bevilacqua)
Lo stabilimento Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza. (Foto Federico Bevilacqua)

Processo Pfas: Miteni inquina e incassa l'assicurazione

Per anni a Trissino (Vi) la Miteni ha inquinato la falda rilasciando Pfas senza aver mai bonificato il sito. Nel 2016 ha incassato un acconto da mezzo milione di euro dalla compagnia assicurativa, che ha riconosciuto il danno da contaminazione ambientale

Laura Fazzini

Laura FazziniGiornalista

10 febbraio 2023

  • Condividi

Miteni ha incassato un premio assicurativo da mezzo milione di euro per i danni ambientali prodotti dalla stessa azienda, che per anni ha contaminato le acque di falda rilasciando Pfas – le sostanze perfluoroalchiliche tossiche per uomo e ambiente – senza mai bonificare il sito produttivo. La notizia, dai contorni paradossali, è emersa durante il processo in corso a Vicenza che vede imputati 15 manager dell’ex stabilimento di Trissino accusati, a vario titolo, di avvelenamento di acque, disastro ambientale innominato, gestione di rifiuti non autorizzata, inquinamento ambientale e reati fallimentari. Si tratta del processo sul più grave inquinamento da Pfas in Europa.

Il 30 giugno 2016 l’ultimo amministratore delegato della Miteni Antonio Alfiero Nardone – che oggi figura tra gli imputati – ha incassato per conto dell’azienda un acconto di oltre 527mila euro dalla compagnia assicurativa Allianz Global Corporate Speciality SE, premio di una polizza che copriva da eventuali rischi ambientali. Il dirigente – come ha detto durante l'udienza del processo in corso a Vicenza il maresciallo della guardia di finanza Massimiliano Monti – avrebbe spiegato che il denaro sarebbe servito per la bonifica del sito. Ma tra lo scoppio dell'emergenza Pfas Miteni nel 2013 e l'ottenimento dell'acconto del 2016, l'azienda non ha mai incluso nel proprio bilancio una voce di spesa per la bonifica, che compare solo nel rendiconto del 2016 firmato da Nardone nove giorni prima di ottenere l'acconto. Negli anni 2016 e 2017 MIteni accantona in bilancio rispettivamente 320 mila e 260 mila euro destinati alla bonifica ambientale, voce che nel 2018 scompare. Sommando questi numeri si ottiene la cifra dell'acconto.

Pfas pericolosi e indistruttibili

Per Miteni l’incubo si chiama Cnr, il Consiglio nazionale per le ricerche. Sono proprio i ricercatori, infatti, che nel maggio del 2013 comunicano alle autorità territoriali venete che i Pfas – composti chimici considerati perfetti perché indistruttibili – provenivano dalla piccola azienda situata nel distretto industriale della Val d’Agno, in provincia di Vicenza. 

La fabbrica, di proprietà della multinazionale International chemical investors, non rimane a guardare e, pressata dalle istituzioni che chiedono di spiegare in che modo i Pfas siano entrati nelle reti idriche di oltre 350mila persone, decide di autodenunciarsi. Al Comune di Trissino, alla Provincia di Vicenza, alla Regione e all’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (Arpa) vengono consegnate le schede di produzioni di alcuni Pfas, soprattutto del capostipite Pfoa, vietato dal 2008 e già noto per le importanti battaglie legali avvenute negli Stati Uniti, dove era stata accertata una correlazione tra il composto e l’insorgenza di tumori e malformazioni fetali. Battaglie che nel 2006 avevano spinto il colosso chimico Dupont ad annunciare pubblicamente l’interruzione della produzione, dell’acquisto e dell’uso di Pfoa.

Subito dopo l’autodenuncia i dirigenti Miteni si presentano ad Allianz Global Corporate, con la quale tre anni prima, nel 2010, avevano sottoscritto un’assicurazione per rischi ambientali.

Inquinamento Pfas: "Miteni chiese di eliminare le prove"

L’assicurazione per rischi ambientali

Miteni inizia a produrre sostanze chimiche nel 1967, dall’acido cloridrico ai Pfas. Dal 1996 deve sottostare alla direttiva Seveso, che impone a chi lavora composti pericolosi di denunciarne la lavorazione e la conseguente esposizione, dell’ambiente e degli operai, a possibili rischi. 

Nell’allegato C della revisione di questa direttiva – recepita da tutti gli Stati europei dopo la tragedia avvenuta nel luglio del 1976 nel comune lombardo di Seveso, dove una nube tossica di diossina fuoriuscì da una fabbrica investendo una vasta area della bassa Brianza –  si chiede alle industrie chimiche di stipulare assicurazioni ambientali utili a coprire eventuali incidenti.

In particolare, nel capitolo “Misure assicurative” si legge: “Allegare copia della documentazione relativa alle polizze assicurative e di garanzia per i rischi di danni a persone, a cose e all’ambiente stipulate in relazione all’attività industriale esercitata, specificando in particolare l’eventuale copertura per gli incidenti rilevanti, nonché specificando le eventuali variazioni del premio e della copertura assicurativa negli ultimi 5 anni”. Miteni sottoscrive la polizza nel 1997. 

L’assicurazione non è obbligatoria e non è richiesta da nessuna autorità pubblica per l’ottenimento delle autorizzazioni integrate. Di conseguenza, è una spesa che molte aziende non contemplano. Ci si chiede però: con un’assicurazione ambientale non sarebbe meno complesso ottenere bonifiche immediate? “La sicurezza per far pagare la bonifica a un’azienda che ha inquinato è farle anticipare i soldi, prima che inizi le produzioni. Una fideiussione bancaria obbligatoria per ottenere le autorizzazioni ambientali”, spiega Andrea Minutolo di Legambiente, in prima linea sul tema Pfas in Italia.

Pfas, l'Onu chiede all'Italia limiti nazionali

Tra cambi di gestione e di assicurazione

Quando nel 1996 la Mitsubishi diventa l’unica proprietaria dell’azienda, decide di stipulare una polizza assicurativa per rischi ambientali con la Società Generali. Chiede e ottiene un massimale di 26 milioni di euro (all’epoca pari a circa 50 miliardi di lire), una cifra consistente per un’azienda che impiega soltanto un centinaio di operai. Per quale motivo Mitsubishi ottiene una copertura così alta? Non essendo un’assicurazione semplice da quantificare, in quanto mancano stime nazionali, la multinazionale giapponese, che nel 1997 fattura oltre 40 miliardi di dollari, chiede a Generali di equiparare il rischio ambientale alla responsabilità civile (Rc) per le aziende. La Rc è molto più comune, può essere estesa per alcune emergenze ambientali e la compagnia di assicurazioni accetta di equiparare la Rc della Mitsubishi a quella per rischi ambientali solo per il sito Miteni di Trissino. E così nel 1997 i giapponesi sottoscrivono l’assicurazione, senza però avvisare Generali della contaminazione da metalli pesanti che la società Ecodeco aveva segnalato sotto il sito produttivo in due occasioni, nel 1990 e nel 1994. 

Nel 2008 un dossier consegnato ai giapponesi dalla società di consulenza ambientale Erm dimostra la possibile contaminazione di falda, terreni e scarico da sostanze Pfas, ma nessuno della multinazionale autodenuncia l’inquinamento, né alle autorità pubbliche né alla compagnia assicurativa. L’anno successivo, la vendita dello stabilimento sembra azzerare tutti gli allarmi ambientali anche se il prezzo pagato dalla tedesca Ici, appena un euro, aveva insospettito alcuni gruppi ambientalisti. Nel 2010, intanto, la pratica assicurativa per rischi ambientali di Miteni cambia ancora, approdando ad Allianz Global Corporation.

Autodenuncia e rimborso

Le assicurazioni pagano quando il cliente subisce un danno imprevisto e imprevedibile e possono erogare acconti per fare fronte a eventuali difficoltà economiche dell’assicurato

Le assicurazioni pagano quando il cliente subisce un danno imprevisto e imprevedibile e possono erogare acconti per fare fronte a eventuali difficoltà economiche dell’assicurato. Con l’autodenuncia in mano, presentata insieme a dati raccolti dal proprio laboratorio interno e arricchiti da quelli istituzionali di Arpa Vicenza, nel 2013 la dirigenza Miteni si presenta negli uffici di Allianz Global Corporation. Un'azienda tedesca che parla con un'altra società tedesca di cosa sia potuto succedere sotto lo stabilimento nato oltre cinquant’anni prima. Per ottenere un acconto, Miteni presenta un dossier relativo alla costruzione di una barriera idraulica, un sistema di pompaggio necessario per prelevare l’acqua contaminata, filtrarla con carboni attivi (assai costosi) e immetterla pulita nel torrente sotto il polo chimico. È l’unica speranza di salvezza per l’azienda, ma ha un costo di realizzazione elevato così come esose sono le spese di manutenzione. 

Dati, progetti e tempi vengono sostenuti da una certificazione ambientale ottenuta poco prima che il Cnr puntasse il dito contro Miteni, la quale conferma come in azienda tutti lavorino bene, nel pieno rispetto delle regole. Poco importa che il documento sia stata prodotto dopo undici anni di tentativi andati a vuoto e che i dati ufficiali sulla prima contaminazione risalissero al 1990, confermati nel 1994 e riconfermati nel 2008. Senza dimenticare che la barriera idraulica richiesta ad Allianz era stata realizzata nel 2005, quando Miteni aveva chiesto alla società Erm di costruire tre pozzi per contenere una contaminazione di cui era al corrente. 

Pfas, l'altro fronte: Solvay ad Alessandria

Nel 2008 Erm aveva sollecitato Miteni a rafforzare lo sbarramento idraulico, sottolineando che mancava ancora un sistema per monitorare l’efficacia del sistema e il possibile inquinamento esterno al sito. Nella sua testimonianza, datata novembre 2022, Lorenzo Sacchetti, l’ingegnere Erm che posizionò la barriera idraulica del 2005, conferma: “Noi parliamo con degli inquinatori, altrimenti perché ci chiamerebbero?”. Il collega Michele Brevi aggiunge: “Le analisi dopo quattro anni dalla posa della nostra barriera dovevano essere verificate con monitoraggi esterni, ma Miteni non deve averle mai fatte”. 

Il 30 giugno 2016 Antonio Alfiero Nardone, ultimo ad di Miteni, firma per ottenere l’acconto con Allianz e si porta a casa oltre mezzo milione di euro per arginare una contaminazione causata dall’azienda stessa, tenuta nascosta per anni senza alcun intervento che, forse, avrebbe potuto evitare il disastro ambientale odierno. Tutto questo pur conoscendo la pericolosità di tali composti che – come ha testimoniato al processo la dottoressa Eugenia Dogliotti dell’Istituto superiore di sanità in tribunale – erano ben noti, perlomeno a chiunque operasse nel settore.

Crediamo in un giornalismo di servizio ai cittadini, in notizie che non scadono il giorno dopo. Aiutaci a offrire un'informazione di qualità, sostieni lavialibera
  • Condividi

La rivista

2024 - numero 28

Curve pericolose

In un calcio diventato industria, mafie ed estremismo di destra entrano negli stadi per fare affari

Curve pericolose
Vedi tutti i numeri

La newsletter de lavialibera

Ogni sabato la raccolta degli articoli della settimana, per non perdere neanche una notizia. 

Ogni prima domenica del mese un approfondimento speciale, per saperne di più e stupire gli amici al bar

Ogni terza domenica del mese, CapoMondi, la rassegna stampa estera a cura di Libera Internazionale