Teloni bianchi coprono il ghiacciaio del Rodano, in Svizzera, per prevenirne lo scioglimento, luglio 2020. (Urs Flueeler/Keystone AP)
Teloni bianchi coprono il ghiacciaio del Rodano, in Svizzera, per prevenirne lo scioglimento, luglio 2020. (Urs Flueeler/Keystone AP)

Quanta acqua ci resta?

Osservare ghiacciai, laghi e fiumi permette di capire gli effetti devastanti del cambiamento climatico. I ricercatori italiani esperti del settore mettono in guardia

Stefano Viazzo

Stefano ViazzoGiornalista e fotografo

10 settembre 2020

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Pensavamo che l’acqua fosse una risorsa inesauribile. Il riscaldamento globale ci ha dimostrato che non è così. Per convincersene, basterebbe osservare le foto del Rodano, il più antico ghiacciaio delle Alpi, in Svizzera: a luglio è stato coperto con degli speciali teli bianchi per evitarne lo scioglimento. La stessa sorte è toccata anche al ghiacciaio Presena, in Trentino-Alto Adige. "Le montagne sono i luoghi che prima di altri rispondono ai cambiamenti e li rendono evidenti – spiega Guido Nigrelli, dell’Istituto per la protezione idrogeologica (Irpi) del Centro nazionale delle ricerche (Cnr) –. Se la temperatura media a livello mondiale è oggi circa un grado centigrado superiore al periodo di riferimento 1961-1990, in alcune aree montuose si registra un aumento di ben due o addirittura tre gradi". Un cambiamento che per la disponibilità di risorse idriche può avere effetti devastanti: "A inizio estate a quote superiori ai 2.500 metri ci sono normalmente ancora tra i due e i quattro metri di neve. Se quella copertura si scioglie, anche il ghiacciaio sottostante inizia a fondere".

Se la temperatura continuerà a crescere all’attuale trend, secondo l’Ipcc (il gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, ndr) già nel 2050 quasi tutti i ghiacciai alpini saranno scomparsi, con importanti conseguenze per le risorse idriche a valle. 

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I ghiacciai

Dal 2017 Marta Chiarle, responsabile del gruppo di ricerca GeoClimAlp dell’Irpi, monitora assieme al gruppo europeo Medscope la situazione dei ghiacciai della Bessanese e della Ciamarella (Alpi Graie) e il ghiacciaio Ciardoney (Gran Paradiso) dove già da trent’anni sono presenti tre stazioni climatiche d’alta quota. "In questo periodo i bilanci dei nostri ghiacciai sono sempre stati negativi: tutta la neve stagionale si è fusa, assieme anche a una parte del ghiacciaio – spiega Chiarle –. In generale i dati sulla disponibilità idrica non sono confortanti: già oggi il volume d'acqua nei ghiacciai italiani è meno della metà del solo lago Maggiore che ne contiene 37 chilometri cubi. Il picco di portata, che ora è a luglio ed è già ridotto, arriverà a giugno. Entro il 2050 in agosto e settembre saremo in secca".

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I laghi

Ma se queste sono le condizioni dei ghiacciai, cosa succede più a valle? Per rispondere è necessario addentrarsi nella limnologia, la scienza che si occupa dello studio delle acque continentali non correnti, in primis i laghi alpini, chiamati non a caso dai ricercatori “sentinelle”. Michela Rogora, dell’Istituto di ricerca sulle acque (Irsa) del Cnr lavora sia sui laghi profondi come quello Maggiore sia su quelli d’alta quota, sopra i 2.000 metri, studiando la loro chimica inorganica in funzione dell’ecosistema. "Mentre l’inquinamento tipico degli anni Settanta e Ottanta causato dalle cosiddette piogge acide si è in larga parte risolto, oggi ci si concentra sugli effetti del cambiamento climatico – racconta –. Monitoriamo sia l’aumento della temperatura sia gli eventi estremi. I laghi Maggiore, Garda, Como, Iseo e Lugano contano insieme per oltre l’80 per cento dell'acqua dolce disponibile in Italia e tutti stanno mostrando i medesimi cambiamenti".

L'innalzamento della temperatura di un grado in poco più di 30 anni può sembrare poco, ma in un ecosistema acquatico le conseguenze si vedono subito. Nel caso dei laghi, per esempio, il processo di rimescolamento delle acque che di solito dura anni si è notevolmente rallentato con effetti marcati sul plancton e sulla chimica dell'acqua. "Se il lago Maggiore è ancora in buona salute – prosegue – altri laghi come quello di Lugano o d'Iseo sono già in una situazione critica di eutrofizzazione (sovrabbondanza di nitrati e fosfati, ndr) alla quale si aggiungono le fioriture algali nel periodo estivo". Con l'acuirsi del riscaldamento globale, il processo di rimescolamento delle acque verrà del tutto interrotto con gravi conseguenze sulla qualità dell’acqua.

"La presenza di inquinanti genetici dovuti all'utilizzo di antibiotici potrebbe scatenare la comparsa di batteri antibiotico resistenti e portare a crisi analoghe al Covid" Aldo Marchetto - biologo dell'Irsa

Un altro esperto del settore, il biologo Aldo Marchetto dell’Irsa, spiega come esistano due diverse forme di inquinamento: quello legato alle sorgenti umane e quello dovuto alla ricaduta dei fenomeni atmosferici. "Ci sono quote di azoto e fosforo che derivano da entrambe le fonti e poi ci sono i micro inquinanti dovuti all'attività agricola, i composti organici, i pesticidi, i componenti dei cosmetici e dei medicinali che riescono a passare attraverso i depuratori, il Ddt (primo e potente insetticida inventato nel 1939 e vietato in Italia dal 1978) accumulato nei ghiacciai, i metalli inquinanti come il mercurio presenti a causa di attività industriali dell’Ottocento (come la produzione del feltro per cappelli o l’estrazione dell'oro). Nel lago Maggiore ci sono poi anche inquinanti nuovi, come i composti poliaromatici derivanti dalla combustione dei carburanti della navigazione o i ritardanti di fiamma che si utilizzano per la produzione di cucine e tessuti, rilevabili sulla sponda lombarda". Si registra infine la presenza di Pcb (policlorobifenili), vietati da anni ma tuttora in circolazione: una conseguenza dell’abbandono di frigoriferi e trasformatori dell’alta tensione.

A tutto ciò, secondo Marchetto, si aggiunge un ulteriore allarme: "Un nostro recente studio all'avanguardia ha rilevato la presenza di inquinanti genetici, dovuti all’utilizzo di antibiotici. Un problema che potrebbe scatenare la comparsa di batteri antibiotico resistenti portando in futuro a crisi analoghe a quella del Covid-19".

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I fiumi

"Spesso la tutela degli ecosistemi e la gestione della risorsa idrica entrano in conflitto, mentre è necessario trovare una forma di equilibrio" Marzia Ciampittiello - ingegnere ambientale dell'Irsa

Rimane da capire cosa stia accadendo ai corsi d’acqua di pianura. "La riduzione dell’apporto idrico a valle dovuta all’assottigliamento dei ghiacciai è visibile ma non precisamente quantificabile, perché in gioco ci sono anche altri fattori – spiega l'ingegnere ambientale Marzia Ciampittiello dell’Irsa –. Nel bacino del lago Maggiore, per esempio, l’apporto dei ghiacciai (quelli del monte Rosa) è in parte bloccato dalle dighe sull’Anza e sul Toce. Tuttavia, uno studio sul lago di Viverone ha rivelato che nelle falde acquifere c'è un incremento che dipende proprio dalla fusione dei ghiacciai". In tutto l’arco alpino è difficile quantificare l'acqua potabile disponibile perché non è possibile sapere quanta ve ne sia nei bacini idroelettrici montani (Ticino svizzero compreso): il dato è gelosamente custodito dai gestori delle dighe.

Proteggere le riserve d’acqua contenute nei ghiacciai non basterà a salvarci. "Solo se riusciremo a mantenere in buona salute gli ecosistemi avremo la possibilità di utilizzare l'acqua nel territorio per le nostre attività e la nostra vita – conclude Ciampittiello –. Spesso la tutela degli ecosistemi e la gestione della risorsa idrica entrano in conflitto, mentre è necessario trovare una forma di equilibrio. Non solo perché è l’ecosistema a garantirci l'approvvigionamento idrico e le colture, ma perché noi stessi siamo parte di esso".

Da lavialibera n°4 luglio/agosto 2020

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