Afragola (Na), 2012. I vigili del fuoco spengono un rogo di rifiuti speciali e tossici sotto un cavalcavia di una strada provinciale. Foto di G.Rizzi/Flickr
Afragola (Na), 2012. I vigili del fuoco spengono un rogo di rifiuti speciali e tossici sotto un cavalcavia di una strada provinciale. Foto di G.Rizzi/Flickr

Terra dei fuochi: 10 anni senza Roberto Mancini, il poliziotto ucciso dal veleno che indagava

Il commissario di polizia Roberto Mancini è morto nel 2014 a causa di un tumore provocato dalle sostanze tossiche sversate dalla camorra nella "terra dei fuochi" in Campania. Per anni inascoltato, le sue informative hanno anticipato i rapporti tra criminalità, imprenditoria e politica nel traffico illegale dei rifiuti

Toni Mira

Toni MiraGiornalista e componente del comitato scientifico de lavialibera

30 aprile 2024

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Il 30 aprile 2014 moriva il commissario della polizia di Stato Roberto Mancini, il primo, 30 anni fa, a investigare sulla Terra dei fuochi, a capire l’intreccio tra camorra, politica e imprese nell’affare dei rifiuti. Ma purtroppo rimase inascoltato. A ucciderlo un linfoma non Hodgkin, contratto proprio nel corso delle sue indagini nelle terre avvelenate dai trafficanti di morte. Un tumore purtroppo diffusissimo in quelle terre e che, come scrisse il ministero dell’Interno, era “insorto a seguito delle missioni effettuate tra gli anni 1997 e 2001 nei territori ubicati al confine tra le province di Napoli e Caserta, su incarico ufficiale della Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse”.

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Denunce inascoltate

Mancini aveva accettato di lavorare per la Commissione per portare la sua lunga esperienza all’attenzione del parlamento, perché finalmente si aprissero gli occhi sul disastro ambientale che stava avvenendo. Il commissario, pur con strumenti normativi e investigativi non efficaci come gli attuali (la norma sugli ecoreati arriverà solo un anno dopo la sua morte), aveva già individuato il sistema di smaltimento illecito di rifiuti industriali, spesso provenienti dal Nord, nelle aree della Campania.

Un sistema che vedeva fianco a fianco imprenditori, politici e camorristi, sotto l’ombrello della massoneria. Nomi e cognomi che il poliziotto, allora in forza alla Criminalpol di Roma, aveva indicato nelle 239 pagine dell’informativa inviata il 12 dicembre 1996 alla Dda di Napoli, gli stessi che in anni più recenti sono finiti in tante inchieste. L’11 febbraio 1994 una precedente informativa dimostra che Mancini si era mosso in anticipo.

Un sistema che vedeva fianco a fianco imprenditori, politici e camorristi, sotto l’ombrello della massoneria

In quel caso i documenti riguardavano Cipriano Chianese, detto l’avvocato, imprenditore dei rifiuti centro di quel sistema illegale, in seguito condannato definitivamente a 18 anni assieme a uno dei capi dei Casalesi, Francesco BidognettiCicciotto ‘e Mezzanotte, condannato a 20 anni, per il disastro ambientale della Resit, considerata “la madre di tutte le discariche”.

Un processo nel corso del quale il pm della Dda di Napoli, Alessandro Milita, ritirò fuori il lavoro del 1996 di Mancini, stranamente finito in un cassetto per tutto questo tempo. “Se l’informativa fosse stata presa in considerazione nel 1996 avremmo potuto limitare i danni, non so perché sia stata sottovalutata. Forse il Paese non era ancora pronto a sapere cosa stava accadendo nella Terra dei fuochi”. Così si sfogava Mancini, in una delle ultime interviste.

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Era il novembre 2013 e l’investigatore stava lottando con tutte le forze contro il linfoma. Anche per far emergere quella verità che lui aveva già descritto nel 1994, nell’informativa su Chianese. “La natura di quest’uomo, poliedrica e camaleontica – scriveva – gli consente di muoversi con scaltrezza e spregiudicatezza soprattutto all’interno di certe strutture politiche tentando, verosimilmente, di condizionare l’operato per fini personali o di clan, non sempre leciti”.

Mancini descriveva con precisione quel “patto scellerato” tra camorra e politica, che garantiva “la possibilità di esercitare un ruolo di indirizzo nelle fasi determinanti e nei momenti decisionali della vita sociale, politica ed economica del nostro Paese”. All’interno di questi, e vengono i brividi a leggerlo, “il business dei rifiuti”, che significa “gestione del trasporto, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti di varia specie”.

Un personaggio scomodo

Quel sistema che, grazie a intercettazioni e lavoro sul campo, aveva permesso al poliziotto di individuare connessioni e complicità fino a Roma, fin dentro ai ministeri dell’Ambiente e delle Politiche agricole, e addirittura fin dentro la magistratura. Mancini non nascose mai questi inquietanti compromessi, non risparmiò nessuno. Nella premessa dell’informativa del 1996 evidenziava la scarsa attenzione rivolta dai magistrati alle numerose indagini svolte in dieci anni sulla gestione camorristica dei rifiuti.

Il poliziotto aveva individuato connessioni e complicità fino a Roma, fin dentro ai ministeri dell’Ambiente e delle Politiche agricole, e addirittura fin dentro la magistratura

Gli inquirenti le avevano valutate solo singolarmente, mentre se fossero state analizzate globalmente, perché tutte riconducibili agli indagati dell’informativa, “avrebbero disvelato esaurientemente il sistema affaristico criminale rivolto al traffico dei rifiuti”. Mancini evidentemente era molto più avanti. Forse fu incompreso, inascoltato, forse fu ostacolato. I suoi critici, e ne aveva tanti, lo avevano soprannominato “il poliziotto comunista”, per la sua giovanile militanza nei movimenti studenteschi disinistra, quando frequentava il liceo Augusto a Roma.

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Un impegno politico e sociale, quindi la scelta di vestire la divisa da poliziotto. Con capacità investigative straordinarie, la sua analisi della camorra imprenditoriale, rappresentata perfettamente da Chianese, è quella che ormai leggiamo in tanti libri, che emerge in tante inchieste. Nell’informativa del 1994 Mancini scriveva “dell’evoluzione compiuta dalle organizzazioni criminali, che allo stereotipo classico del camorrista guappo e prepotente hanno sostituito il più tecnologico imprenditore capace, dall’alto di una istruzione superiore e di una certa competenza professionale, di fungere da cerniera tra le formazioni di natura esclusivamente criminogena e gli apparati produttivo- politici presenti sul territorio”.

Una medaglia, molte prescrizioni

La mafia imprenditrice, quella che è stata capace di colonizzare il Nord facendo affari. Per Mancini era già evidente allora, me restò inascoltato fino alla sua morte. Dopo i funerali di Stato, il 15 maggio 2014 a Mancini è stata dedicata la medaglia d’oro al valor civile. “Per essersi prodigato – si legge nella motivazione –, nell’ambito della lotta alle ecomafie, con straordinario senso del dovere ed eccezionale professionalità nell’attività investigativa per l’individuazione, nel territorio campano, di siti inquinati da rifiuti tossici illecitamente smaltiti. L’abnegazione e l’incessante impegno profuso, per molti anni, nello svolgimento delle indagini, gli causavano una grave patologia che ne determinava prematuramente la morte”.

Scomparso ad appena 53 anni, Roberto Mancini nell’ultima intervista descriveva così il destino del suo lavoro. “Gli elementi c’erano ma bisognava lavorarci sopra e l’hanno tenuto come fascicolo virtuale in attesa di qualcosa di più pregnante, che potesse riportare in auge questa informativa, ma forse è passato un po’ troppo tempo”. Per molte cose aveva purtroppo ragione. Molti reati sono finiti in prescrizione, pochi colpevoli hanno davvero pagato.

Per molte cose aveva purtroppo ragione. Molti reati sono finiti in prescrizione, pochi colpevoli hanno davvero pagato

Alcuni dei personaggi che lui aveva indicato hanno continuato e continuano a operare indisturbati, come ha denunciato l’imprenditore “pentito” Gaetano Vassallo, che li conosceva bene avendo fatto affari con loro. Questi affari ora si sono spostati al Nord, ma sempre con le modalità descritte da Mancini. Nel frattempo, la Terra dei fuochi attende le bonifiche e continua a contare i morti per quei veleni che hanno ucciso un grande poliziotto, che alcuni continuano a offendere anche da morto.

Beni confiscati e abbandonati

I beni confiscati a Cipriano Chianese, proprio grazie all’inchiesta sulla Resit, oggi sono in gran parte inutilizzati o abbandonati. In particolare, quelli nel sud del Lazio, dove l’“avvocato” aveva investito. A Sperlonga, perla turistica in provincia di Latina, nella sua megavilla con 21 stanze e un valore stimato di 4 milioni di euro, a 13 anni dalla confisca non è mai stato realizzato nulla.

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A Formia, dove si era trasferita parte della famiglia Bidognetti dopo l’arresto del boss, l’enorme complesso turistico di Marina di Castellone – 10mila metri quadrati con ristorante, discoteca, appartamenti, piscina e parco – è finito sotto sequestro 18 anni fa e oggi è devastato dall’incuria delle istituzioni locali e nazionali. Nessun progetto, nessun riutilizzo per fini sociali. Ricordare Roberto Mancini nel modo giusto, fare davvero memoria, dovrebbe invece impegnare a trasformare in luoghi di vita quelli che erano stati frutto di affari di morte.

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