14 dicembre 2023
Lo scorso 11 dicembre, in un incidente stradale, è morto Massimo Scalia, 81 anni, già professore di fisica matematica all’Università di Roma La Sapienza, tra i fondatori di Legambiente e uno dei “padri” dell’ambientalismo italiano e in particolare del movimento antinucleare, assieme al collega “gemello” Gianni Mattioli. Di formazione cattolica, poi militante del cattolicesimo del cosiddetto cattolicesimo del dissenso e in movimenti politici di sinistra, fu tra i promotori della nascita dei Verdi in Italia. Sostenitore dell’ambientalismo scientifico, forte anche della sua formazione, guidò, dopo il disastro di Cernobyl, la battaglia per l’uscita dell’Italia dal nucleare fino al grande successo dei referendum dell’8-9 novembre 1987, un anno e mezzo dopo il gravissimo incidente alla centrale sovietica. Ed è importante ricordarlo proprio in questi giorni nei quali esponenti del governo Meloni, e della grande industria energetica, rilanciano l’energia dell’atomo.
Scalia, sotto la bandiera del “Sole che ride” e lo slogan “Nucleare? No grazie”, venne eletto in parlamento proprio nel 1987 assieme ad altri dodici esponenti dei Verdi, e vi rimase per quattro legislature fino al 2001. Una stagione particolarmente felice e efficace per i Verdi in politica che furono determinanti nell’approvazione di importantissime norme come la Legge quadro sui parchi nazionali, quelle sulle fonti rinnovabili e il risparmio energetico, la leggesul bando dell’amianto, la legge sul controllo dell’esportazione delle armi, la riforma dell’obiezione di coscienza che finalmente parificava il servizio civile a quello militare.
La commissione parlamentare sollevò l'attenzione sulle discariche abusive in Campania: dietro c'era un sistema di imprenditori, politici, camorristi e massoni
Io voglio ricordare, in particolare l’impegno di Scalia sul fronte della lotta all’illegalità ambientale, a quella che proprio in quegli anni venne battezzata da Legambiente, ecomafia. Massimo venne eletto nel 1995 presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse, ribattezza appunto “commissione Ecomafie”, monocamerale fino al 1996 e poi bicamerale, a conferma di come già allora, dopo le gravi denunce di Legambiente e alcune importanti inchieste della magistratura, si cominciasse ad alzare l’attenzione sugli affari dei clan sul ciclo dei rifiuti. In particolare della camorra.
Ecomafie, storia di una parola e una lotta
L’11 marzo 1996 nella relazione conclusiva della commissione, firmata proprio da Scalia, si leggeva: "Di eccezionale gravità si è rivelata la situazione riscontrata tra le province di Caserta e Napoli, in particolare nell’agro-aversano e lungo la litoranea domiziano-flegrea, per la presenza di numerose discariche abusive di rifiuti, la cui gestione è direttamente riconducibile a clan della criminalità organizzata". Due anni dopo la commissione, divenuta bicamerale, nella relazione sulla Campania approvata l’8 luglio 1998 aggravava l’allarme: "È stato accertato che analisi compiute su alcune colture di Villa Literno hanno evidenziato una concentrazione di metalli pesanti assai superiore ai limiti previsti dalla legge, determinando aumenti di neoplasie, soprattutto nella provincia di Caserta. Si tratta di una situazione da tenere sotto stretto controllo, adottando idonee misure e promuovendo indagini epidemiologiche specifiche, per accertare eventualmente la connessione tra tali episodi e gli smaltimenti illeciti di rifiuti nel territorio". Parole che fanno venire i brividi, perché scritte ben 25 anni fa.
Ricordo che Scalia chiamò come consulente della commissione il sostituto commissario della Polizia di Stato, Roberto Mancini, l’investigatore che già alla fine del 1996 aveva individuato il sistema di smaltimento illecito di rifiuti industriali, spesso provenienti dal Nord, nelle aree della Campania. Un sistema che vedeva, fianco a fianco, imprenditori, politici, camorristi, sotto l’ombrello della massoneria. Nomi e cognomi che il poliziotto, allora in forza alla Criminalpol di Roma, aveva indicato nelle oltre duecento pagine dell’informativa inviata il 12 dicembre 1996 alla Dda di Napoli, gli stessi che poi sono finiti in tante inchieste in anni più recenti. E ancor prima nell’informativa che porta la data dell’11 febbraio 1994. Mancini operò con la commissione dal 1997 al 2001, effettuando una serie di missioni tra le discariche tossiche. Proprio a causa di questo lo colpì un tumore che lo portò alla morte il 30 aprile 2014. Un impegno che venne riconosciuto coi funerali di Stato e poi il 15 maggio 2014 la medaglia d’oro al valor civile. Impegno che ritroviamo nelle relazioni che regolarmente Scalia firmava a fine legislatura.
Rifiuti in fiamme: il patto tra imprenditori, amministratori e mafie
L'approvazione delle norme sugli ecoreati "è una buona notizia, è una buona legge e speriamo che non abbia altri intoppi. Certo se penso che Paesi con meno problemi di noi come Grecia, Spagna e Portogallo l’hanno approvata negli anni ’80..."Massimo Scalia
Ma il lavoro della commissione non si limitò alla pur importante denuncia. Riuscì così a far inserire l’area del litorale domitio, dell’agro aversano e della discarica di Pianura tra i Siti di interesse nazionale (Sin) da bonificare. Nel 1998 approvò all’unanimità una proposta di legge per meglio combattere gli inquinatori. Il titolo, pur lungo e tecnico, era chiaro: "Introduzione nel codice penale del Titolo VI-bis "Delitti contro l’ambiente", e disposizioni sostanziali e processuali contro il fenomeno criminale dell’"Ecomafia"". Tre articoli, pene pesanti, aggravate in caso di danni alla salute, previsione della confisca dei beni, obbligo della bonifica. Era l’introduzione dei reati ambientali nel codice penale, tanto attesa e richiesta da magistrati e investigatori.
Ma per 5 legislature la proposta rimase nel cassetto, non degna neanche di una pur breve discussione in una delle Camere. Finì dimenticata come in una maleodorante palude. Così in tutti gli anni successivi inquinatori, avvelenatori, ecomafiosi e ecofurbi l’hanno scampata. Malgrado disastri ambientali, malgrado tante vittime, malgrado ricchi e puzzolenti affari. Al massimo pagando con una banale pena pecuniaria, perché tutto questo era colpito con poco più che una contravvenzione. Che certo non spaventava mafiosi e imprenditori disonesti.
Poi nel maggio 2015, dopo che la Terra dei fuochi era diventato tema nazionale, finalmente il parlamento, pur a fatica, approvò la legge sugli ecoreati, che riprendeva in parte la proposta della commissione. Scalia con la sua consueta ironia così commentò la notizia. "Ora quasi alla maggiore età finalmente la riusciamo a vedere. Certo quasi 18 anni di ritardo...". Per aggiungere con suo consueto pragmatismo "È una buona notizia, è una buona legge e speriamo che non abbia altri intoppi. Certo se penso che Paesi con meno problemi di noi come Grecia, Spagna e Portogallo l’hanno approvata negli anni ’80...".
Terra dei fuochi, bonifiche e riforme ferme da 13 anni
Era proprio così Massimo Scalia, pronto alla battuta ma sempre con estrema concretezza. Da credente e da uomo di scienza aveva molto apprezzato la Laudato si’ di Papa Francesco. "Il disastro ambientale è l’altra faccia della medaglia di uno sviluppo economico e sociale sbagliato. Un modello capitalista di produzione e consumo che ha creato macerie quanto i regimi totalitari". Lo scorso 13 aprile assieme a Gianni Mattioli, Vincenzo Naso e Gianni Silvestrini, tutti esperti di energia, scrisse una lettera a Elly Schlein e Giuseppe Conte. “Ci rivolgiamo a voi nella speranza che diate vita a un grande progetto per la riconversione ecologica dell’economia e della società, come da decenni richiedono in tutto il mondo i movimenti ambientalisti e come lo stesso Papa Francesco ha da tempo indicato, con mirabile sintesi, nella sua Laudato si’".
Un progetto da trasformare, com’è possibile, in programmi e azioni concrete, col coinvolgimento delle strutture e delle istituzioni rappresentative di cui abbonda la nostra democrazia. Un progetto che dia priorità al lavoro, ma, al tempo stesso, all’educazione e alla ricerca, e teso a dare risposte credibili ai giovani e al loro futuro”. Un appello che si concludeva con parole drammatiche ma anche di speranza. “Oggi si tratta di invertire “la rotta verso l’inferno” e dare vita, invece, a una società piena di un futuro che valga la pena di vivere. Per tutti”. Dall’inferno delle discariche delle ecomafie all’inferno globalizzato dei mutamenti climatici. Da combattere fino all’ultimo. Con lo slogan sessantottino che Massimo Scalia amava spesso ripetere: “Continuons le combat!”.
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