Foto di zibik su Unsplash
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Container di rifiuti inviati all'estero, respinti e restituiti all'Italia. Il Noe indaga

In Campania la raccolta differenziata avviene soprattutto con l'invio dei rifiuti all'estero. Ma questi traffici nascondono spesso truffe e illeciti. Il giudice Lucio Setola: "I movimenti transfrontalieri sono uno strumento per eludere i controlli e la causa dei danni all'ambiente e alla salute dell'uomo".

Daniela De Crescenzo

Daniela De CrescenzoGiornalista

26 marzo 2024

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Esportazione dei rifiuti: l’intero settore della raccolta differenziata campana, che continua a reggersi sui viaggi all'estero dei materiali di scarto, è finito nel mirino degli inquirenti. Il colonnello Pasquale Starace, comandante del Noe (gruppo Carabinieri per la tutela dell’ambiente per il sud Italia), spiega che oltre a quello tornato indietro dalla Tunisia due anni fa, sono stati respinti e restituiti all'Italia container pieni di spazzatura anche dalla Slovacchia, dalla Turchia e dalla Bulgaria, dove è stato inquisito il ministro dell’ambiente.
In Campania viene raccolto in maniera differenziata il 54,68 per cento dei rifiuti. Nel 2022, 1.446.399.511 chilogrammi (più o meno un milione e mezzo) su un totale di 2.613.200.034 chili. Secondo l’osservatorio regionale sulla Gestione dei rifiuti in materia di raccolta differenziata, però, solo il 42 per cento di questo milione e mezzo di materiali (cioè circa seicentocinquantamila tonnellate) può essere effettivamente recuperato: il resto deve essere bruciato o finire in discarica a prezzi esorbitanti. Da qui nasce la corsa ai contratti verso l’estero delle ditte private che gestiscono la differenziata.  Il risparmio è evidente: ad esempio, mentre in Italia si spendono almeno 170 euro a tonnellata, in Tunisia se ne spendono 48 euro più le spese doganali e di trasporto.

"Oggi la Campania non è meta dei rifiuti delle altre regioni, ma esporta la propria spazzatura. Quello che resta uguale a partire dagli anni Ottanta è la ricerca di un enorme e illecito guadagno"

Le indagini, tante, si incrociano e coinvolgono anche molte imprese dei paesi dell’est, paradiso degli smaltitori vista la scarsità dei controlli. Nel mirino, però, non ci sono solo le spedizioni straniere: sono stati sequestrati anche diversi carichi provenienti dalla Campania e destinati alla Puglia. “Oggi la Campania non è meta dei rifiuti delle altre regioni, ma esporta la propria spazzatura – continua Starace –. Quello che resta uguale a partire dagli anni Ottanta è la ricerca di un enorme e illecito guadagno”. Quaranta anni dopo l’avvio dell’affare rifiuti la macchina dei veleni continua a funzionare e il carburante è sempre lo stesso: il denaro.

L'affare tunisino

A fine febbraio 2024, le indagini coordinate dalla procura di Potenza hanno portato agli arresti cautelari di 16 persone, tra cui funzionari regionali e i vertici di aziende a vario titolo coinvolte in un presunto traffico internazionale di rifiuti. Con il classico sistema del giro di bolla, il traffico avrebbe dovuto produrre un guadagno di più di dodici milioni di euro all’anno grazie allo smaltimento, nelle discariche tunisine, di  120 mila tonnellate di sovvalli, cioè scarti dalla lavorazione della raccolta differenziata. Tra gli accusati, un dirigente della Soreplast, l’impresa d’oltremare che avrebbe dovuto riciclare i materiali e un sedicente responsabile dell’Anged, l’agenzia tunisina che ha autorizzato le spedizioni senza averne titolo. 
Spiega il Gip Lucio Setola che ha firmato l’ordinanza: “I movimenti transfrontalieri rappresentano uno degli strumenti di elusione dei controlli sul ciclo dei rifiuti e la causa dei danni all’ambiente e alla salute dell’uomo”. E ancora: “Si tratta di un vero e proprio fenomeno di dumping ambientale, a opera di soggetti italiani che agiscono spesso con la correità di intermediari e altri soggetti stranieri”.
Secondo la ricostruzione del magistrato, la Società risorse ambientali, Sra, aderente al Corepla, consorzio che si occupa della raccolta, del riciclaggio e del recupero della plastica, ha firmato nel 2019 un contratto con l’azienda tunisina Soreplast per fare arrivare nel porto di Sousse 120 mila tonnellate all’anno di rifiuti identificati con il codice Cer 191212,  quello che per le norme internazionali etichetta come “materiali prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti”: In sostanza gli scarti della lavorazione della raccolta differenziata. 

Rifiuti campani, anche l'Ue vuole vederci chiaro

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la Sra sarebbe subentrata in un contratto stretto precedentemente da una società di Soverato, la Eco managment spa, con una azienda tunisina, la Ste sud recyclage farhat hached. L’impresa calabrese si era rivolta a un mediatore, Paolo Casadonte della G.C. service sarl, che aveva assunto l’incarico di trovare smaltitori a un costo massimo di 48 euro a tonnellata escluse le spese. Casadonte aveva individuato la ditta tunisina, ma il fruttuosissimo affare non era andato in porto perché non erano arrivare le autorizzazioni necessarie. La pratica si era arenata negli uffici della regione Calabria e quindi Casadonte, è la ricostruzione dei magistrati, si sarebbe rivolto alla Sra che aveva, invece, la possibilità di ottenere il via dalla regione Campania. Intanto anche in Tunisia era stata individuata una nuova ditta, la Soreplast ,che avrebbe dovuto lavorare i rifiuti campani trasformandoli in tubicini di plastica. In realtà l’azienda non aveva macchinari, ma solo capannoni vuoti e quindi la spazzatura made in Italy non poteva in nessun modo essere riciclata. 

Le responsabilità della regione Campania

Con il contratto firmato con Soreplast, la Sra aveva presentato la richiesta di autorizzazione all’Unità operativa dirigenziale di Salerno, l’ufficio della regione Campania incaricato di gestire le procedure per il trasferimento dei rifiuti transfrontalieri, indicando come ente incaricato dalla Tunisia a concedere le autorizzazioni l’A.P.I Sousse (Agenzia nazionale per lo sviluppo industriale). A questa i dirigenti regionali hanno inviato i documenti di notifica e di movimento. Ma l’Api Sousse ha ritenuto che la responsabilità fosse invece di una diversa agenzia, l’Anged, alla quale è stata dunque passata la documentazione. A questo punto, i funzionari campani chiedevano conferma della giustezza dell’indicazione al console tunisino a Napoli, e questi convalidava l’indicazione: in realtà era tutto sbagliato e secondo il trattato di Basilea l’unico a poter autorizzare l’ingresso dei rifiuti era il ministero per l’ambiente tunisino.

Intanto, però, partiva un primo carico di 70 container che giungeva tranquillamente a destinazione. Il secondo carico di 212 container veniva invece bloccato nel porto d Sousse e la trasmissione “Le quattro verità” della Tv tunisina ne mostrava il contenuto: si trattava con tutta evidenza di rifiuti e non di scarti di lavorazione della differenziata. Sull’altra sponda del Mediterraneo scattavano quindi le indagini della magistratura mentre in Italia l’allarme veniva lanciato da Majdi Karbai, deputato dell’Attayar democratico, partito dell’opposizione tunisina. Nel nostro Paese, la prima a farsi carico della faccenda è stata la consigliera regionale Mari Muscarà, eletta con i Cinque Stelle e poi passata nella lista degli indipendenti, che ha presentato una serie di interrogazioni all’amministrazione regionale. 

I rifiuti campani scuotono il governo tunisino

A questo punto si sono mobilitate le procure di Salerno e di Potenza e la commissione antimafia allora presieduta da Stefano Vignaroli. Dal canto suo la Tunisia imponeva il rientro dei container che poi sono stati rimpatriati a spese della regione Campania che per pagare le spese utilizzerà la polizza fideiussoria, come è stato spiegato nel corso di un question time. A conti fatti, però, non sembra certo che i soldi basteranno a coprire il costo del viaggio di rientro e a smaltire le 7.900 tonnellate attualmente stoccate a Persano. 

Commissione ecomafie: sui rifiuti, responsabilità della regione Campania

A fine febbraio, infine, arrivano gli arresti, alcuni dei quali già revocati dallo stesso Gip che li aveva convalidati. L’indagine, però, apre il sipario su altri scenari iche ruotano attorno alla rifiuti connection. Per l’affare tunisino, invece, è finito in manette il ministro Mustapha Laroui che è poi stato condannato in primo grado.

Al momento sotto la lente d’ingrandimento del Noe ci sono tutti i container restituiti dall'esterno all'Italia. Nel corso dell’audizione alla commissione antimafia uno dei dirigenti regionali finito poi sotto indagine,  Antonello Barretta, accenna a un altro carico rimandato al mittente dalla Tunisia e spiega: “Nello stesso periodo vi era un’altra notifica sempre per la Tunisia che riguardava un altro produttore di rifiuti della provincia di Salerno, ma il notificatore in questo caso è un notificatore lombardo, precisamente con sede legale a Milano. Evito i nominativi perché ci sono le indagini dell’autorità giudiziaria in corso, poi se il Presidente vorrà lo potrò dire. Che cosa era accaduto in questo caso? Il dossier era stato presentato analogamente in maniera completa, l’impianto di destino era un cementificio a Barzine…”. Secondo Barretta i documenti esibiti dalla ditta coinvolta erano, però, completamente falsi.

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