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16 maggio 2025
Il 13 maggio 2025 il Tribunale di Vicenza ha condannato Inail a pagare il risarcimento per malattia professionale ai familiari dell’ex operaio Pasqualino Zenere, nato nel 1938 e morto a 76 anni, nel 2014, per un tumore dopo 10 anni a contatto con le sostanze Pfas della fallita azienda Miteni. “Si ritiene raggiunta la prova, con elevato grado di probabilità, del nesso di causalità fra l’ambiente in cui il ricorrente ha prestato la propria attività lavorativa dal 1979 al 1992 presso la Miteni spa e la patologia in questione”, si legge nella sentenza della giudice Caterina Neri.
L’esposizione ai Pfas ha avuto un ruolo concausale per l’insorgere della patologia
La malattia professionale è un carcinoma uroteliale (un tumore dell’uretere, che collega i reni alla vescica) diagnosticato nel 2010 e sorto, secondo il consulente tecnico dei famigliari, perchè “l’esposizione ai Pfas ha avuto, quantomeno, un ruolo concausale per l’insorgere della patologia”. In altre parole, le sostanze chimiche prodotte dall’azienda sono una delle cause della malattia e la giudice, tenendo conto dei pareri forniti dagli esperti, ritiene che sia la causa più probabile. La famiglia, rappresentata da moglie e figli, ha ottenuto così una vittoria fondamentale per tutti i lavoratori a contatto coi Pfas, composti considerati pericolosi dagli anni 2000 e prodotti ancora in Italia dalla Syensqo Solvay.
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Pasquale Zenere era stato assunto in Miteni nel 1978 nel reparto Depurazione, in un impianto adiacente a quello in cui venivano prodotti i pfas, composti che fin dal 1967 rappresentavano per l’azienda Miteni la voce di fatturato più importante. L’esposizione dell’operaio, durata fino al 1992, non è stata quindi diretta, perchè non le produceva lui, ma dovuta alla respirazione dei pfas emessi in atmosfera e fuoriusciti dal reparto vicino.
“Al momento dell’apertura della cella si disperdevano nell’aria fumi e acidi in grosse quantità che rendevano l’aria irrespirabile” Testimone nel processo penale
Si legge nella sentenza che i due impianti avevano una tettoia ma non erano perimetrati, non c’erano muri di divisione. Durante il processo, iniziato nel 2022, un testimone inoltre ha raccontato che “al momento dell’apertura della cella si disperdevano nell’aria fumi e acidi in grosse quantità che rendevano l’aria irrespirabile”. La cella è quella dove si producevano i Pfas, a pochi metri da dove lavorava Zenere. Le celle venivano pulite periodicamente e le opere di pulizia erano svolte senza allontanare gli operai che lavoravano negli impianti vicini. In quegli anni oltretutto i pfas erano ancora sotto forma di polvere, che veniva dispersa in atmosfera con grande facilità. Solo nei primi anni 2000 le produttrici mondiali di questi composti hanno deciso di lavorarli in forma liquida per abbassare il rischio di inalazione dato che i valori di Pfas nel sangue erano altissimi. Prima di questa conversione, stabilita in base alle analisi dei medici interni all’azienda, poiché quelli esterni non conoscevano le sostanze a cui erano espositi i dipendenti, le misure di protezione erano solo della mascherine utilizzate però solo dagli operai che producevano i Pfas. Pasqualino Zenere non era tenuto ad indossare nessuna mascherina, lui non era in quel reparto specifico ed era ignaro del possibile rischio sanitario.
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Nel 2010 all’ex operaio è statodiagnosticato un “carcinoma uroteliale papillare della pelvi renale”. È iniziato un calvario di cure, con operazioni e terapie, senza un’assistenza sanitaria specifica per la sua esposizione professionale. Nel 2011, malgrado l’asportazione del tumore, Zenere ha avuto una recidiva e nel 2013 sono sorte delle metastasi ai polmoni. A febbraio 2014 è stato ricoverato e ha cominciato le cure palliative, ma il 14 aprile 2014 è morto all’età di 76 anni. Quattro anni di malattia, di terapie e di mancata copertura professionale.
È iniziato un calvario di cure, con operazioni e terapie, senza un’assistenza sanitaria specifica per la sua esposizione professionale
Erano gli anni in cui Miteni è stata venduta da Mitsubishi per solamente un euro al fondo lussemburghese Icig, anni in cui gli studi interni svolti dal medico di Miteni, Giovanni Costa, e discussi tra produttrici mondiali, dimostravano come il Pfoa, a cui è stato esposto inconsapevolmente Zenere per oltre un decennio, fosse e sia una sostanza che interferisce con il sistema endocrino, capace di produrre quindi alterazioni ormonali. Nel 2013, quando a Zenere è stata diagnosticata la recidiva del suo carcinoma, il Pfoa è stato vietato per la sua pericolosità e Miteni ha iniziato a lavorare il suo sostituto, il cC6O4 brevettato da Solvay, senza autorizzazione ambientale. Solo nel 2019 Enzo Merler, medico del lavoro, e Paolo Girardi, statistico, per conto della Regione Veneto hanno raccolto tutti i dati prodotti da Miteni dal 2000 per cercare possibili patologie dovute all’esposizione a Pfas per gli operai. Il loro studio sentenziava: “La corte ha mostrato un aumento della mortalità per tutte le cause e i soggetti con la più alta dose interna cumulativa di Pfoa hanno avuto un aumento statisticamente significativo della mortalità per cancro al fegato, cirrosi epatica, diabete, neoplasie maligne del tessuto linfatico ed ematopoietico in entrambi i confronti”.
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Lo studio è stato presentato dalla Cgil Veneto nel 2020 al Tribunale di Vicenza come elemento fondamentale per un esposto contro il medico Costa e tutti i dirigenti Miteni. Si chiedeva di verificare se ci sono state violazioni per la sicurezza sui luoghi di lavoro per l’esposizione a Pfoa di tutti i lavoratori Miteni. Nel 2023 il processo è stato archiviato per vizio di forma della perizia del consulente tecnico del tribunale.
Dimostrato per la prima volta nel mondo che c’è una correlazione tra l’esposizione ai Pfas per via aerea e i tumori. La Cgil Veneto la definisce “una vittoria storica”
La famiglia Zenere nel frattempo aveva intrapreso un altro percorso e insieme all’avvocato Adriano Caretta, che rappresenta anche Inca Cgil, porta a processo l’Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) chiedendo una rendita per la malattia professionale che ha causato la morte dell’operaio. E ha dimostrato per la prima volta nel mondo che c’è una correlazione tra l’esposizione ai Pfas per via aerea e i tumori, il carcinoma uroteliale che ha portato via Pasqualino dieci anni fa. “Sussiste, con elevato grado di probabilità, il nesso di causalità fra l’esposizione a Pfoa e Pfas subìta dal ricorrente durante lo svolgimento della propria attività lavorativa nel periodo 1979-1992 e il carcinoma dallo stesso contratto ed il successivo decesso”, scrive la giudice nelle conclusioni.
Mai nessuna famiglia, neanche negli Stati Uniti dell’avvocato Robert Bilott che negli anni ’90 ha scoperchiato il caso Pfas, ha avuto questo riconoscimento. Per questo la Cgil Veneto definisce questa “una vittoria storica”.
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Questa sentenza è arrivata poche ore prima dell’ultima arringa dei difensori di Miteni, che dal 2019 difendono 15 dirigenti e tecnici accusati di disastro ambientale e avvelenamento delle acque per i Pfas, sempre al tribunale di Vicenza. L’avvocato Salvatore Scuto, che rappresenta i responsabili civili Antonio Nardone, Martin Leitgeb, Brian Mc Glynn e Alexander Nicolaas Schmidt, giovedì 15 maggio ha cercato di dimostrare alla corte come ancora oggi non ci siano correlazioni evidenti tra Pfas e patologie, come non ci siano morti certe per esposizione da Pfas e come i propri assistiti non sapessero dei rischi sanitari dei propri operai. Lo stesso Scuto ha citato lo studio Merler per dire che non ci sono evidenze di rischio sanitario chiare, malgrado la conclusione dello studio sia chiara. Forse non era ancora al corrente che, poche ore prima, il tribunale civile riconosceva i pfas quale concausa del tumore mortale che ha ucciso un ex lavoratore della Miteni.
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