12 novembre 2021
Alla quarta udienza del processo di Vicenza per lo sversamento di Pfas nelle acque di tre province venete, l’accusa ha superato indenne un primo importante scoglio: quello rappresentato dalle eccezioni presentate dalla difesa dei 15 manager di Miteni, di Mitsubishi e del gruppo industriale lussemburghese Icig, imputati per l’inquinamento prodotto da queste sostanze. La corte d’Assise presieduta dalla giudice Antonella Crea, durante un’udienza fiume di sette ore ha rigettato con una lunga ordinanza quasi tutte le richieste dei legali degli accusati. La notizia migliore per la procura e per le parti civili è che Mitsubishi e Icig rimarranno tra i responsabili civili del procedimento che ora entra in dibattimento.
I due gruppi internazionali, ultimi proprietari della Miteni, avevano sollevato un’eccezione per una presunta irregolarità in un rilievo che risaliva al 2017. Secondo la difesa furono raccolte delle prove nell’azienda di Trissino in assenza degli imputati o dei loro legali. I giudici hanno però dato ragione alla procura secondo cui, a quella data, alcuni degli imputati dovevano ancora essere individuati. Fossero usciti dal processo Mitsubishi e Icig, i costi milionari dell’inquinamento da Pfas sarebbero rimasti a carico della collettività come ha ricordato l’accusa durante la scorsa udienza. Per Matteo Ceruti, avvocato delle Mamme no pfas, si tratta di una “decisione fondamentale”: se giudicati colpevoli di inquinamento, i due gruppi dovranno risarcire le parti civili. Nel 2019 solo il danno dell’inquinamento è stato quantificato in 136 milioni di euro dagli esperti dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). I giudici hanno invece accolto la richiesta di esclusione della Miteni dai responsabili civili poiché fallita nel 2018.
Tra le 314 parti civili che arrivano in dibattimento ci sono tutte le Mamme no pfas, che si dicono soddisfatte del risultato e della velocità con cui sta procedendo il processo, le sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil, il ministero della Salute e le Ulss di Vicenza, Verona e Padova. È stata riconosciuta poi la legittimità a costituirsi parti civili di grandi associazioni ambientaliste come Legambiente, Greenpeace, Wwf e delle onlus Isde-Medici per l’ambiente, Italia nostra, Acqua bene comune, Medicina democratica e Perla blu. Ammessi già alla scorsa udienza gli acquedotti veneti interessati dall’inquinamento e il ministero dell’Ambiente. Escono dal procedimento invece la Rete gas vicentina, la Fondazione foresta onlus, Anpana onlus e Accademia Cronos, perché le finalità previste nel loro statuto non sono state ritenute coerenti con i reati contestati agli imputati.
Sono state rigettate anche le altre richieste, meno insidiose, presentate dalle difese degli imputati nelle scorse settimane: lo spostamento del processo a Trento per un’ipotetica incompatibilità dei giudici in quanto possibili vittime di inquinamento loro stessi e la divisione del procedimento in un troncone per i reati ambientali e uno per la bancarotta fraudolenta di Miteni.
Dopo la lettura dell’ordinanza, la corte ha subito affrontato questioni che riguardano le liste dei testimoni depositate. Fonti dell’accusa parlano di circa 150 nomi in totale che verranno ascoltati nelle prossime udienze. Tra i successivi passi ci sarà anche la presentazione delle prove. Dopo le questioni preliminari che hanno impegnato il tribunale da luglio ad oggi, adesso “inizia un processo complesso”, commenta l’avvocato Ceruti, e la quantità dei soggetti coinvolti lo testimoniano già. “Un procedimento lungo e importante che sarà all'attenzione di molti colleghi italiani e stranieri”, spiega. Ed è difficile non collegare le sue parole al caso Solvay e ai cittadini di Spinetta Marengo (frazione del Comune di Alessandria) che guardano a questo processo con speranza.
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