Foto di Martin Lopez da Pexels
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Pfas, l'industria minimizza i rischi del Tfa nel silenzio delle istituzioni europee

Pesticide Action Network (Pan) ha pubblicato il rapporto "Creare dubbi, come le industrie sminuiscono la tossicità del Tfa". L'indagine rivela come, da quasi trent'anni, le agenzie europee che sorvegliano alimenti e sostanze chimiche abbiano sottovalutato i rischi del Tfa per colpa delle aziende

Laura Fazzini

Laura FazziniGiornalista

29 settembre 2025

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Il Tfa è uno dei pfas meno conosciuti, ma tra i più presenti nell’ambiente, perchè contenuto in molti pesticidi, e quindi nei terreni e negli alimenti, come ad esempio il vino. Sebbene i rischi legati a questa sostanza siano emersi a fine anni Novanta, ad oggi manca ancora una normativa che ne regoli la presenza e l’utilizzo. E l’assenza di norme e limiti specifici è il frutto di una negligenza delle autorità, indotte quantomento dalla scarsa trasparenza delle lobby chimiche negli ultimi 25 anni. Lo afferma l’ong Pesticide Action Network (Pan) che oggi – lunedì 29 settembre – pubblica un rapporto intitolato Creare dubbi, come le industrie sminuiscono la tossicità del Tfa (disponibile qui in inglese).

L’acido trifluoroacetico (Tfa) appartiene alla famiglia delle sostanze perfluoroalchiliche (pfas, formate da coppie di atomi di carbonio e fluoro che creano catene più o meno lunghe) e tra questi composti è quello più corto di tutti. Si ritrova in natura perchè è il prodotto di degradazione di alcuni pesticidi fluorati, contenenti pfas.

I pesticidi fluorurati, come tutte le altre sostanze di sintesi, possono avere effetti indesiderati sull’ambiente e sulla salute per la possibilità di formare, attraverso processi di trasformazione come idrolisi, fotolisi, termolisi, ecc, prodotti di degradazione che, se sono derivanti dal metabolismo all’interno di un organismo vivente, sono chiamati metaboliti. Questi prodotti, come ad esempio il Tfa, possono avere provocare più problemi.

I pfas sono anche nel vino, Europa in allarme

La scoperta nel 1998 e il silenzio istituzionale

Già nel 1998 un ente pubblico aveva denunciato i rischi ambientali e sanitari del Tfa. Il Comitato scientifico per le piante, organo tecnico formato da esperti di alcuni Stati membri dell’Unione europea, aveva dimostrato come questo composto chimico fosse presente nell’ambiente a seguito dello spargimento nei campi agricoli del pesticida Flurtamone. Il Comitato concludeva che: “Il metabolita Tfa rappresenta un rischio di contaminazione delle acque sotterranee, ma in assenza di dati tossicologici sui mammiferi il Comitato non è stato in grado di valutare il rischio per la salute”. L’ente pubblico infatti non aveva ricevuto studi tossicologici specifici dalle aziende che producevano questo composto chimico. Il dossier di Pan sottolinea come, in seguito, il Comitato non abbia agito per ottenere quegli studi, né abbia inviato sollecitazioni alle aziende.

Tutto è rimasto nel silenzio per quasi dieci anni, quando nel 2007 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha indicato il Tfa come un metabolita delle colture che entra direttamente nella catena alimentare. Neanche questo parere, però, non ha provocato azioni politiche forti, non sono stati posti limiti alla sostanza, né – tanto meno – sono stati richiesti ai produttori prove dell’innocuità.

Nel 2014 l’Efsa ha rilanciato l’allarme legato ai pesticidi, elencando 39 prodotti contenenti pfas, tra i quali il saflufenacil, che una volta entrati in natura si trasformano in Tfa. Ma il parere si basava sugli studi tossicologici delle aziende, Basf e Bayern, non completi, perché non avevano fornito studi sugli animali relativi alla tossicità cronica, alla cancerogenicità, alla tossicità riproduttiva, alla neurotossicità dello sviluppo o alla perturbazione endocrina. L’Autorità europea per la sicurezza alimentari non li ha richiesti e ha posto come limite di Tfa nei cibi le soglie consigliate dalle due aziende. Nessuna istituzione pubblica europea ha preso in mano la questione e chiesto approfondimenti.

Caso Solvay, c'è Pfas nel sangue dei residenti

2017, Solvay e la reazione politica

Manca una messa a bando mondiale per tutti quei 39 pesticidi che lo contengono, non ci sono limiti agli scarichi e di emissioni in atmosfera. Questo viene chiesto a gran voce da Pan e da tutto il movimento no pfas

Dopo quasi vent’anni di silenzio istituzionale è arrivatala scossa nel 2017 quando l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) si è accorta che Rhodia Solvay non aveva completato la registrazione del Tfa nella banca dati europea dei composti chimici (Reach). Rhodia avrebbe dovuto registrarlo perchè ne usava tonnellate nei suoi stabilimenti in Francia e Germania, ma nel Registro mancavano gli studi tossicologici obbligatori, quelli sull’esposizione al composto in un lungo periodo.

Solvay, insieme a Bayer, ha risposto e nel 2021 si è aperto il vaso di Pandora, con la lettura degli studi depositati. Quelle analisi tossicologiche dimostravano che il composto causa ingrossamento del fegato, anomalie scheletriche e al feto, problemi alla vista. Le due multinazionali però non si erano mosse da sole: i documenti consegnati all’Echa arrivano dalla Taf Task Force, rete di esperti finanziati dalle industrie che pubblicano studi parziali sull’esposizione al Tfa. Ma ormai era tardi, anche se il lavoro della task force cercava di minimizzare il rischio tossico, indicando che le patologie nascono solo per assunzione di altissime dosi di Tfa, Echa ha proposto a tutti gli Stati membri di indicare il Tfa come tossico per la riproduzione, primo step per la sua classificazione come sostanza pericolosa e tossica. Da allora, negli anni successivi diversi Stati hanno imposto limiti e divieti, sia per la presenza del composto nei cibi, sia nelle emissioni industriali.

Il Tfa ora è incluso nella direttiva Acque potabili, che impone a livello europeo dei limiti alle sostanze chimiche, tra cui i pfas. La direttiva è stata ratificata dall’Italia ed è prossima all’entrata in vigore, impone un limite di 10 microgrammi di Tfa per litro. Tuttavia manca una messa a bando mondiale per tutti quei 39 pesticidi che lo contengono, non ci sono limiti agli scarichi e di emissioni in atmosfera. Questo viene chiesto a gran voce da Pan e da tutto il movimento no pfas. Pan, dopo aver riscontrato la presenza di Tfa nel vino e in molti altri cibi, chiede alle istituzioni perché non ci sia stata una presa in carico vent’anni fa.

Ci sono pfas nelle acque potabili di tutta Italia, denuncia Greenpeace

La presenza di Tfa anche in Italia

In Italia, sono state le istituzioni venete le prime a cercare il Tfa nelle acque. È avvenuto nel 2021. In occasione di un’audizione in commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti ambientali, a maggio l’Agenzia per la protezione ambientale (Arpa) ha annunciato di aver trovato dei nuovi pfas, finora sconosciuti malgrado dal 2013 il Veneto abbia la più vasta contaminazione in Europa.

Il direttore dell’area tecnica di Arpa Veneto, Loris Tomiato, aveva spiegato come nell’acqua di falda utilizzata dalla multinazionale Fis, in provincia di Vicenza, ci siano valori alti di Tfa, fino a 110 microgrammi per litro. Il dirigente spiegava come il composto venga utilizzato nel campo della farmaceutica e dei pesticidi e che sia stata la stessa azienda ad averne denunciato l’uso, “i quantitativi utilizzati all’anno sono nell’ordine delle tonnellate”, aveva spiegato Tomiato ai parlamentari.

Da allora il Tfa viene cercato periodicamente in tutto il Veneto, mentre Arpa Piemonte, che monitora l’unica produttrice di pfas in Italia, Syensqo Solvay, tuttora non cerca lo cerca. Eppure nello scarico di Solvay ci sono fino a 198 microgrammi per litro di Tfa nel 2021, secondo le analisi condotte dal Consiglio nazionale delle ricerche nel 2024. Un valore che al momento non può essere valutato vista la mancanza di un limite indicato dalle istituzioni.

Solvay ha piena conoscenza di cosa sia il Tfa. Un suo esperto, Giuseppe Malinverno, nel 1999 aveva pubblicato uno studio su questo composto e la sua presenza in ambiente insieme ai tossicologi delle maggiori produttrici mondiali di pfas, DuPont e 3M. Uno studio mai consegnato agli enti, italiani o europei. La multinazionale dopo essere stata denunciata dalla ong francese Generation Future per gli altissimi valori di Tfa a Salindres, da alcuni mesi ha deciso di chiudere la produzione anche in Germania, lasciando a casa 100 operai.

Nel 2024 Greenpeace ha ricercato questo composto nelle acque potabili italiane, rilevandolo in 104 campioni su 260 analizzati. Il valore più alto di Tfa è stato rinvenuto nel comune di Castellazzo Bormida, a pochi chilometri dal polo chimico di Alessandria e molto vicino ad una ex industria di gas refrigeranti.

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