Dolomiti, appello di un giovane contro lo spopolamento
In provincia di Belluno il progressivo spopolamento rischia di portare alla morte del nostro territorio. I giovani che ancora vivono qui hanno poche opportunità. Il turismo non può essere la soluzione
Ambienti, contesti, modi di vivere e possibilità future: confrontarsi sulla varietà delle province d’Italia significa scoprire che ciascun territorio ha proprie caratteristiche, peculiarità positive e negative che lo rendono più o meno conosciuto al resto del Paese. La provincia di Belluno, nota per le Dolomiti, come molte aree interne presenta un fenomeno di spopolamento che, se non viene tenuto in considerazione e contrastato con un’azione comune, potrebbe portare alla morte del territorio. Si assiste a un drammatico calo demografico causato non solo dalla denatalità ma anche, e soprattutto, dalla forte emigrazione.
Perché andarsene? Perché non prospettare un futuro in provincia di Belluno? La prima causa che provoca il primo “arrivederci” al territorio è l’assenza di poli per la formazione; dopo il quinquennio di scuola superiore, chi vuole iscriversi all’università deve andare alla scoperta della città. Fino a qui nulla da ridire, dal momento che ciascuno di noi può avere voglia e bisogno di uscire dal proprio nido familiare per fare una prova e una nuova esperienza di vita. Il problema comincia ad essere degno di nota quando i laureati decidono di non fare più ritorno.
Lo spopolamento progressivo causa l’ulteriore venir meno dei servizi, anche di quelli essenziali. Se non c’è gente che utilizza l’autobus, perché lasciare tutte queste corse? Se nessuno compera più nel negozietto del paese perché a pochi chilometri con l’automobile trova il supermercato più grande, perché tenerlo ancora aperto? Siamo di fronte a una popolazione che sta progressivamente invecchiando (e che poco si sta rigenerando): come possiamo lasciare quei servizi di prossimità ancora accessibili a chi vive in questi paesi? Quei giovani che ancora vivono nella nostra provincia, e sono ancora comunque numerosi e attivi, spesso nei piccoli paesi hanno poche opportunità di svago e pochi centri di aggregazione. Lo sport, molto praticato nel Cadore e in tutto il bellunese, rappresenta un importante collante sociale, un momento che, assieme alle lezioni a scuola, tiene uniti i ragazzi e li fa divertire. Ma non basta.
Il periodo estivo sembra concedere respiro con l’arrivo di numerosi turisti che, di Belluno e della parte alta, il Cadore, conoscono “solamente” la bellezza naturale delle Dolomiti. Giungono ogni anno con l’intento di passare una o due settimane per poi tornare per la settimana bianca sulle piste da sci. Conforta, se vogliamo, il progressivo numero di seconde case per coloro che decidono di trascorrere diversi mesi in montagna e in alcuni casi di trasferirsi, specie per quel cambiamento climatico che si avvicina e rende le città più difficili da vivere. Spesso però a trasferirsi sono pensionati che, per godersi appieno il riposo post-lavorativo, scelgono queste tranquille valli di soggiorno. La turistificazione non è comunità.
La provincia di Belluno si fa riconoscere soprattutto per il suo tessuto sociale, per quel terzo settore che cerca in tutti i modi di unire le forze per contrastare questo fenomeno, per far vivere e valorizzare il territorio e per dare un motivo a chi ci vive per rimanere. Degno di vanto è il sistema scolastico che, con la collaborazione delle istituzioni e del mondo del volontariato, dà molte occasioni ai ragazzi per conoscere il luogo in cui vivono e per mettersi in gioco con esperienze di educazione civica. Se riuscissimo a capire il valore intrinseco della nostra comunità, che ha anche un enorme potenziale turistico, se ciascuno di noi riuscisse a credere un po’ di più e a prospettare un futuro per il Cadore e per il bellunese, se ciascuno di noi contribuisse con un pezzo al puzzle, riusciremmo sicuramente a costruirlo e completarlo.
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