Democrazia sotto sfratto

Il blocco degli sfratti è stato prorogato fino al 30 giugno, ma l'emergenza abitativa resta. Alla politica mancano visione, traguardi e ritmo. Per venirne fuori serve un approccio sistemico

Giuseppe De Marzo

Giuseppe De MarzoPoltiche sociali di Libera e coordinatore della Rete dei numeri pari

15 gennaio 2021

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Alla fine nel decreto Milleproroghe è rientrato anche il prolungamento del blocco degli sfratti, sospeso ora fino al prossimo 30 giugno. Da più parti si era levato un grido di allarme. In primis, quello del sindacato dell’Unione degli inquilini per cui la mancata proroga sarebbe stata il disastro sociale, soprattutto ora, in piena pandemia, senza contributi affitto, senza possibilità di ricontrattare gli affitti e in assenza di un piano nazionale di Edilizia residenziale pubblica a canone sociale. Ma, al di là delle dichiarazioni di facciata a sostegno delle fasce più deboli, la situazione rimane tragica. Già il blocco prima fissato al 31 dicembre aveva riguardato le sole esecuzioni. L'avvio delle procedure nei tribunali non si è mai fermato. Per avere un’idea, secondo i dati raccolti dall’Unione inquilini, nella terza settimana del mese di luglio, solo a Roma sono state presentate cento richieste di convalida di sfratto ogni giorno. Molte famiglie senza contratto sono già finite per strada. Il bonus affitto messo in campo da Regione e Comune non è ancora stato erogato e gli importi sono davvero miseri rispetto alle necessità reali.

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A Roma sono almeno 120mila le case vuote a fronte di un fabbisogno abitativo di 60mila nuclei familiari. L’offerta di alloggi in locazione è molto debole. A questo si aggiunge il processo di dismissione del patrimonio pubblico disponibile che ha ridotto a 77.300 le case popolari esistenti. In una situazione del genere è impossibile rispondere al disagio abitativo di almeno 200mila persone. I nuclei in lista d’attesa per l’assegnazione di un alloggio sono 12.800, quelli da regolarizzare all’interno di case popolari occupate sono 3.850, quelli esclusi dalla graduatoria per vizi formali sono 6mila. Gli stabili occupati sono 90, con almeno 12mila persone residenti. I nuclei monofamiliari sono 17mila, parliamo di giovani, anziani, single, studenti, tutti per lo più con redditi precari. Infine, 7.500 persone sono senza fissa dimora e 2mila i richiedenti asilo. 

Nel Lazio i dati del ministero dell’Interno del 2018 denunciano 7.259 esecuzioni di sfratto. Solo a Roma ne sono stati eseguiti 6.113: 9 su 10 per morosità. Significa 20 sfratti al giorno, tre ogni ora. A questi dati si sommano quelli del Cresme: 2.446 nuclei senza abitazione o con sistemazioni precarie, 31.514 in difficoltà con l’affitto, 8.070 indietro con la rata del mutuo, 13.150 famiglie di nuova formazione in coabitazione con genitori o parenti, 4.800 studenti con affitti in nero, 1.031 lavoratori fuorisede.

Covid-19 ha reso la Capitale più diseguale, impoverita e fragile, dimostrando ancora una volta l’inadeguatezza e l’incapacità della giunta presieduta da Virginia Raggi. Una situazione insostenibile che richiede una strutturale inversione di tendenza e risposte all’altezza della sfida. Risposte che tardano ad arrivare a causa di una politica cittadina ostaggio di tattiche e politicismi nazionali che sta facendo pagare agli abitanti un prezzo altissimo.

A Roma sono le mafie a continuare a fare affari, come evidenziato dalla Dda. Pare proprio che "Mafia e covid siano fatti l’una per l’altro", come denuncia il rapporto diffuso lo scorso dicembre da Libera e lavialibera. Ancora una volta, e come sempre avviene nel nostro Paese in situazioni di grave emergenza, le mafie si dimostrano capaci di lucrare sulle incertezze e suoi vuoti della politica. A niente è servita l’inchiesta Mafia Capitale che ha scoperchiato solo la punta dell’iceberg del malaffare e di una zona grigia che mette insieme molti interessi privati. Le gigantesche questioni sociali irrisolte vengono trattate come problemi di ordine pubblico, mentre le mafie coprono i bisogni e le disperazioni della città dei diseguali.

L’assenza di risposte della politica da un lato e la narrazione tossica dei poveri come accattoni dall’altra lascia campo libero alle mafie. È questo che sta alimentando in città la radicalizzazione del conflitto. Ma se la risposta sarà quella vista sino ad ora, ovvero affidare a prefettura e forze dell’ordine il compito di reprimere qualsiasi protesta, allora la distanza tra corpi sociali intermedi e politica è destinata a diventare incolmabile. E a quel punto le mafie avranno vinto di nuovo, potendo contare su una rabbia destinata a esplodere o a rientrare solo attraverso l’economia mafiosa.

Basterebbe ripartire da quelle realtà sociali che si sono fatte carico del lungo inverno della democrazia e dell’assenza dei partiti dai territori. Ogni mese MosaicoRoma – lo spazio di mobilitazione, approfondimento e proposta lanciato lo scorso settembre da più di 100 soggetti sociali che fanno parte della Rete dei numeri pari – condivide proposte con e per la città. Proprio il tema del diritto all’abitare, per la sua vastità, è stato al centro del primo appuntamento tenutosi il 25 e 26 settembre a Metropoliz, la fabbrica dismessa diventata esempio di riuso e integrazione. Si è parlato di mettere assieme il diritto all’abitare con una diversa gestione del patrimonio, a partire da quello sfitto, inutilizzato, invenduto e confiscato alle mafie.

Viviamo invece una fase di democrazia sospesa. Non è casuale che le destre tornino a parlare di sacralità della proprietà privata. Una convinzione prima affermata dall’ex ministro Matteo Salvini e poi da numerosi attori istituzionali, da ultimo il prefetto di Roma Matteo Piantedosi. Affermazioni contrarie a quanto stabilito nella nostra Costituzione. Non esiste nessuna sacralità della proprietà privata, che anzi deve garantire "la funzione sociale", come afferma l’articolo 41 della Carta. Alla politica mancano visione, traguardi e ritmo, come ha denunciato il Censis lo scorso 4 dicembre durante la presentazione del 54° rapporto sullo stato sociale del Paese. Ci vuole molto di più della cosiddetta bonus economy. Abbiamo bisogno di un approccio sistemico per venirne fuori, lavorando nel breve periodo su emergenze come la lotta contro disuguaglianze e mafie e nel lungo periodo investendo sulle cause che hanno determinato questa crisi. 

Da lavialibera, n° 6 nov/dic 2020

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