25 aprile 2020
"All'inizio dell'emergenza c'era chi pensava che il virus potesse essere una specie di livella delle disuguaglianze, ma così non è stato, anzi: l'emergenza ha fatto emergere categorie invisibili, ha messo in risalto le nostre fragilità sociali, personali e anche istituzionali. Questa pandemia è un pettine che sta facendo emergere tutti i nodi irrisolti". L'ha affermato Giuseppe Provenzano, ministro per il Sud e la Coesione territoriale, durante il dibattito online organizzato ieri dal Forum Disuguaglianze diversità e dalla Rete dei numeri pari assieme a molte realtà territoriali, da Palermo a Milano.
L'allarme lanciato dalle associazioni è chiaro: rischiamo l'emergenza sociale. Un allarme a cui il ministro ha risposto con cinque punti da cui ripartire, sottolineando, però, anche le difficoltà e i limiti della politica: "Al primo posto c'è l'esigenza di costruire una maggiore giustizia sociale, ma per farlo c'è bisogno di un maggiore consenso. In questi giorni si è fatto retoricamente riferimento alla necessità di ritrovare uno spirito di ricostruzione, ma più che di una ricostruzione, abbiamo bisoogno di una rigenerazione che inneschi cambiamenti strutturali. E questo lo si può fare solo con una spinta democratica forte, che mai come in questo momento viene dal terzo settore".
"Se vogliamo maggiore giustizia sociale, abbiamo bisogno di un maggiore consenso. Per innerscare cambiamenti strutturali serve una spinta democratica forte" Giuseppe Provenzano - ministro per il Sud e la Coesione territoriale
Il pressing delle associazioni riguarda innanzitutto il cosiddetto decreto aprile, la maxi-manovra anti coronavirus che dovrebbe muovere 150 miliardi e che probabilmente slitterà a maggio. "L'obiettivo era arrivare dove non siamo arrivati con il primo decreto CuraItalia – ha affermato Provenzano –. Se ci sarà bisogno di più giorni per fare le cose meglio, prendiamoceli". Già nelle ultime settimane il ministro si era espresso a favore dei più deboli, in primis chi prima del coronavirus lavorava in nero e in condizioni di sfruttamento. Un punto su cui ieri sono tornate anche le associazioni, chiedendo all'unanimità misure di sostegno universali e l'estensione del reddito di cittadinanza.
"Sono 6 milioni e 700 mila le persone che non hanno gli strumenti sufficienti per tutelarsi in questa crisi – ha commentato Giuseppe De Marzo, coordinatore nazionale della Rete –. Secondo l'istituto di ricerca socio-economica Censis, se già l'anno scorso gli esclusi erano 18 milioni, quest'anno registreremo 10 milioni di poveri in più. Serve al più prestito un reddito di emergenza". "Continuare a usare il modello Isee per determinare gli aiuti alle famiglie per me è aberrante – ha rilanciato Don Angelo Cassano, parrocco di San Sabino a Bari –. Vediamo casi di persone che hanno la casa di proprietà ma non hanno da mangiare. Dobbiamo trovare nuovi criteri".
"Il percorso per l'universalismo non deve essere interrotto. Sono il primo a riconscere che ci sono degli aspetti che non funzionano nel reddito di cittadinanza – ha risposto il ministro Provenzano –. Ci sono dei paletti che costituiscono un grave ostacolo, vincoli patrimoniali che non tengono conto delle situazioni concrete delle persone. Sicuramente abbiamo bisogno di creare percorsi di emersione del lavoro nero e irregolare".
"Qui i lavori del municipio sono tutti bloccati – ha proseguito Don Cassano –. Sono settimane che aspettiamo delle risposte e alla fine il sostegno che stiamo fornendo noi è più vasto di quello dello Stato. Per fortuna possiamo contare sulla solidarietà dei nostri cittadini, ma questo non può deresponsabilizzare le istituzioni".
"Il terzo settore colma le lacune delle istituzioni – ha ribadito Provenzano – e l'errore è delegare a questo mondo compiti che dovrebbero essere dello Stato. Le realtà del terzo settore hanno bisogno di essere sostenute, ma con il decreto CuraItalia non siamo riusciti a fare abbastanza. Finora non abbiamo messo sufficientemente a fuoco quanto questa alleanza sarà decisiva nella fase 2. Per questo stiamo lavorando a una proposta che vada proprio in questa direzione".
Il ministro è poi tornato sull'annosa questione della mancata digitalizzazione del nostro Paese. Un problema che in queste settimane si è fatto sentire tra le pubbliche amministrazioni, ma sopratutto nel settore scolastico. Le scuole saranno le ultime a ripartire e anche a settembre sembra che la didattica a distanza non verra abbandonata. Come sopperire alla mancanza di strumenti adeguati in dotazione agli studenti? "Voglio assicurare da parte mia un impegno per una riprogrammazione delle risorse europee – ha assicurato il ministro –. Ci stiamo impegnando per l'acquisto di strumenti da fornire alle famiglie per la didattica a distanza che ci permettano di colmare i divari che ancora esistono nell'istruzione. L'obiettivo è poi quello di rafforzare le politiche di contrasto alla povertà educativa minorile".
"Continuiamo a registrare un ritardo della cultura politica – ha affermato Maura Cossutta, presidente della Casa internazionale delle donne –. Se nel decreto CuraItalia sono state inserite misure specifiche è solo grazie all'intervento delle associazioni. Non solo: bisogna, ministro, che lei assuma come questione nazionale la difesa dei luoghi delle donne". "Sulle donne sta ricadendo il prezzo più alto sia della crisi coronavirus che delle conseguenti misure – è stata la risposta del ministro –. Inoltre, se c'è una questione meridionale oggi, questa è quasi interamente una questione femminile. La cosa di cui mi dispiaccio di più è che proprio una settimana prima che scoppiasse la fase più acuta dell'emergenza avevamo presentato il Piano Sud 2030, un progetto di sviluppo e coesione per tutta l'Italia, con una forte promozione del lavoro femminile".
"Vorremmo essere parti in causa, partecipare alle decisioni: è troppo difficile vedere da lontano quello che noi osserviamo ogni giorno da vicino – ha detto Mariangela Di Gangi, presidente del laboratorio Zen insieme di Palermo –. Le parole fondamentali di questa fase 2 devono essere territori, prossimità, persone e sopratutto urgenza: non abbiamo più tempo da perdere".
"Nella fase 1 abbiamo compreso la necessità di una maggiore prossimità ai luoghi e ai territori, specialmente nella sanità. D'ora in poi non potremo più puntare solo sui grandi ospedali, servono presidi territoriali. Dobbiamo ripartire da un'alleanza tra le istituzioni e chi lavora nella prossimità sociale. Serve una responsabilità comune su diversi interventi di innovazione sociale".
Un'ultima riflessione il ministro Provenzano l'ha dedicata alle organizzazioni criminali. "Abbiamo letto che le mafie stanno distribuendo aitui alle famiglie.
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Io non sottovaluto questo fenomeno, ma vorrei anche ricordare che per ogni video di mafiosi che distribuiscono aiuti (o fanno finta di distribuirli) ci sono centinaia di video mancati di associazioni e volontari, video che non avete realizzato per non farvi propaganda. Quindi certo, le organizzazioni criminali sono una minaccia, ma in questo periodo la tenuta democratica è stata garantita dalla vostra presenza e dal vostro lavoro".
"Vorrei dire, poi, che sul tema dei beni confiscati stiamo prevedendo con il commissario per l'emergenza Domenico Arcuri la possibilità di utilizzare i beni confiscati per la produzione delle mascherine", ha concluso il ministro.
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