13 giugno 2020
Ho scritto questo articolo il 3 marzo 2017. Sono stato agganciato fuori dall’università da studenti che lasciavano volantini. Mi ricordo che, allungandomi il volantino, la ragazza mi disse: “Per la lotta al capitale”. Stavo per buttarlo via, ma poi ho cambiato idea e ci sono andato per raccontare un mondo particolare.
Sono stato nella sede dei comunisti padovani, a una serata più rossa del tramonto d’estate, più del sangue, più di una rosa e molto, ma molto di più di una Ferrari. Volevo capire come possano esistere dei ragazzi “marxisti, leninisti, ma non stalinisti”. Che nessuno gliel’abbia detto che il comunismo è morto e sepolto? Forse quando il comunismo è morto loro erano andati in bagno e tornando non ci avevano creduto. Impossibile: quando il comunismo è morto loro nemmeno erano nati.
Questa lezione di marxismo sembra la copia in accento bolognese delle lezioni di filosofia del liceo. Chiedo alla mia vicina chi sia il relatore: la ragazza dai capelli biondo cenere mi biografa molto sinteticamente il compagno emiliano in cattedra, vestito con giacca di flanella e un’oscena cravatta bordeaux. Ci spiega come e perché il denaro dovrebbe essere abolito e io dopo poco decido di perdermi: tutto in quella stanza mi sembra antico. Sulle pareti sono affisse delle cartine geografiche ormai sbiadite che riportano ancora la Jugoslavia. La luce al neon illumina grezzamente le pareti bianche, personalizzate dall’enorme bacheca rossa sullo sfondo e dalle effigi di Marx, Engels e Lenin. Il ragazzo dall’antiestetica cravatta le indica spesso con sorriso sognante e, ogni volta, la ventina di ragazzi che assiste sembra voglia rispondere: “Amen”.
Non sono riusciti a dare odore a quella stanza, che a questo punto mi sembra stata imbalsamata negli anni Ottanta e riesumata per questa serata. Mi spiego così la cartina geografica, il colore della sua cravatta e la polvere sulle loro idee. Finalmente arriva il tempo delle domande. Gli chiedo cosa significhi essere comunisti oggi. Essere comunisti significa voler fondare una società comunista e quindi passare attraverso una rivoluzione, anche violenta. Proletariato vs borghesia. I comunisti terranno le redini delle masse di proletari urlanti. Si preparano a quel momento, almeno. Gli chiedo dell’anacronismo della serata, delle loro idee. Sospira. Risponde citando a memoria Marx. A questo punto la serata, più che una lezione di marxismo, mi sembra una rievocazione storica, ma la cosa non mi disturba. Faccio altre domande, ma mi sembra di parlare a un sonnambulo fin troppo educato.
In fondo mi sta anche simpatico: si batte per una società che non esisterà mai più, ma lo fa con atarassico garbo, senza mai urlare. Si sente aver la storia dalla sua parte. La storia è come la maestra che all’asilo arbitrava le dispute per la merenda. Pensa che, prima o poi, gli darà ragione: per questo non urla mai. Gli brillano gli occhi quando parla di rivoluzione delle masse e la cita a bassa voce, come qualcosa di intimo, che è esistito fino a quel momento solo tra le pareti della sua cameretta. Me ne vado augurandogli una buonanotte, anche se avrei potuto augurargliela già trent’anni fa.
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