Foto di Chastagner Thierry/Unsplash
Foto di Chastagner Thierry/Unsplash

Le fake news cinesi non sono innocue

Una rete di 123 siti diffonde notizie a favore di Pechino. Così internet influenza la democrazia

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoGiornalista

29 febbraio 2024

Ci provano. In un anno che potrebbe ridisegnare gli equilibri politici e sociali a livello globale, con le elezioni in Europa, Stati Uniti e India – tra gli altri –, Pechino tiene in piedi un network in grado di riempire il web di notizie false a proprio favore. Citizen Lab, il laboratorio interdisciplinare dell’Università di Toronto che l’ha scoperto, anche a partire da un’inchiesta de Il Foglio, l’ha battezzato Paperwall. Si tratta di almeno 123 siti internet, gestiti all’interno dei confini della Repubblica popolare cinese, che si spacciano per giornali locali di 30 paesi del mondo.

La Cina non è di certo la sola a cercare di sfruttare la rete a fini politici, soprattutto se in gioco c’è la possibilità di influenzare il voto. Nel 2018 fece scandalo la scoperta di Cambridge Analytica, una società di consulenza che ha usato gli account Facebook di 50 milioni di statunitensi per profilare gli elettori. Le implicazioni da grande fratello orwelliano hanno attecchito subito nell’immaginario collettivo portando Facebook a finire sotto scrutinio internazionale e la compagnia sotto indagini penali. L’accusa era di aver favorito l’elezione di Donald Trump. È impossibile dimostrare che chi vede più post di un certo partito sulla propria bacheca poi lo voterà. Ma pensare che la nostra dieta social e i risultati delle ricerche online non abbiano alcuna influenza su di noi è altrettanto ingenuo.

Poco prima degli scandali che li hanno accusati di promuovere dinamiche antidemocratiche e violare la riservatezza dei cittadini, i giganti del web si vantavano pubblicamente delle loro capacità di influenzare il corso della democrazia. Google ha magnificato il ruolo centrale che avrebbe avuto nel favorire la rielezione di Barack Obama nel 2012. Sapeva a quali argomenti prestavano attenzione gli elettori, lo riferiva allo staff di Obama che scriveva contenuti ad hoc e li sponsorizzava sul motore di ricerca in modo che comparissero per primi. Mark Zuckerberg non è stato da meno, pavoneggiandosi per aver contribuito ad aumentare l'affluenza alle urne intensificando le pressioni sociali. "È possibile che un solo messaggio su Facebook abbia contribuito a un aumento dell'affluenza fra le elezioni del 2006 e del 2010 per una percentuale superiore allo 0,60 per cento", documenta uno studio su Nature. Sembra poco, ma sono percentuali che possono fare la differenza. Allo stesso modo, oggi il traffico verso la rete Paperwall è trascurabile e i ricercatori la ritengono poco efficace. Ma, si legge nel rapporto, "questa valutazione non dovrebbe indurre a credere che sia una campagna innocua"

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