22 dicembre 2022
Certo, la colpa è anche dei giornalisti, che ogni tanto esagerano, ma la recente attività legislativa, che finisce per incidere sui rapporti tra magistratura e organi di informazione, è stata realizzata soprattutto come autodifesa, al grido: "Lo vuole l’Europa".
Senza dimenticare le brutture di tempi passati (ma non troppo) con inquisiti finiti nel tritacarne mediatico, l’introduzione quasi contemporanea nel 2021 dell’articolo 115 bis nel codice di procedura penale, sulla "garanzia della presunzione di innocenza" e delle modifiche all’articolo 5 del decreto legislativo 106/2006, sui "rapporti con gli organi di informazioni", ha radicalmente inciso sia sull’accesso a fonti qualificate, sia sulla tenuta degli archivi informatici, intervenendo, però, soltanto sull’attività di magistrati e giudici. Scrivendo atti e provvedimenti o parlando con i mass media, costoro non debbono mai parlare di indagati e imputati come fossero colpevoli, fino a condanna definitiva. Già questo crea qualche difficoltà quando, ad esempio, viene emessa una misura cautelare, per sua natura fondata su gravi indizi di colpevolezza. I riferimenti sono legittimi se inevitabili, ma soltanto in modica quantità e solo quando sia indispensabile. Se l’autore esagera, su istanza dell’interessato, dovrà rettificare quel che ha scritto, con possibili conseguenze disciplinari.
Querele temerarie, l'informazione sotto scacco
Di riflesso e alla luce di questo principio, ancor più delicato sarà il compito di chi fa cronaca giudiziaria: anche se l’indagato è stato colto sul fatto e arrestato in flagranza, dovrà tutelarne ugualmente la presunzione di innocenza, con effetti comici, ma inquietanti, come ha evidenziato Nicola Gratteri quando ha comunicato di aver ottenuto l’arresto di 202 presunti innocenti, senza rivelarne neppure l’identità.
Rinascita Scott, per i media è un'occasione persa
Nel corso delle indagini, poi, i giornalisti non avranno più notizie ufficiali, perché conferenze e comunicati stampa sono diventati un’eccezione, possibili solo se vi sono specifiche ragioni di interesse pubblico che li giustifichino, anche qui con possibili conseguenze disciplinari. Dunque, ancora modica quantità, con l’inevitabile ritorno al non felice tempo delle fonti personali riservate e delle notizie sottobanco, non essendo consentito ai giornalisti l’accesso agli atti, come chiedono da anni.
Dulcis in fundo, con il "diritto all’oblio degli imputati e degli indagati", che entrerà in vigore con la riforma Cartabia, chiunque ottenga un provvedimento favorevole di assoluzione, ma anche di archiviazione o proscioglimento, se pure non definitivo, potrà subito chiedere non l’aggiornamento degli articoli che se ne sono occupati, ma la loro immediata deindicizzazione, con un progressivo azzeramento della memoria, collegata ai motori di ricerca, che non mostreranno più tra i risultati i documenti se contengono il suo nome associato a quel procedimento. Ciò comporterà anche il divieto di riparlarne, quale che sia la posizione più o meno pubblica degli interessati, se mai il tema dovesse tornare di attualità.
E se per Cormac McCarthy e i fratelli Coen il Texas non è un Paese per vecchi, l’Italia rischia di non essere più un Paese per giornalisti.
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