17 maggio 2022
Prima dell’inizio dei talk show servirebbe un avvertimento come quelli che precedono le immagini violente: "State per assistere a uno spettacolo nel quale i partecipanti interpretano dei ruoli. Subirete un sovraccarico di informazioni spesso inutili ". Parole, numeri, opinioni e urla, tutto si intreccia e si confonde. Da anni si annuncia la fine dei talk show, ma sono sempre lì, sempre di più, a tutte le ore, tutti i giorni. Anzi, prima il Covid, poi la guerra in Ucraina hanno dato nuova linfa alle polemiche tra gli ospiti, riprese sui social network e rilanciate dai giornali, e opinionisti che, se non hanno un nuovo libro da promuovere, (Federico Rampini, ad esempio, ha sempre la sua ultima opera alle spalle), potranno averlo presto grazie alla fama acquisita (come Alessandro Orsini). Un circuito che si autoalimenta di continuo e rafforza le cosiddette “camere dell’eco”, bolle di comunicazione in cui alcune opinioni vengono ripetute, amplificate e rinforzate a scapito di altri pareri.
"Ogni mattina nelle redazioni tv guardano i dati sugli ascolti, valutano quali blocchi, quale parterre e quale ospite è stato più efficace"Edoardo Novelli - professore ordinario di sociologia all’Università Roma 3, autore de La democrazia del talk show (Carocci)
Già dal mattino (nel day time) vanno in onda talk show di attualità politica con gli opinionisti: Agorà su Raitre, Coffee Break e L’aria che tira su La7, canale tv che punta tutto sull’informazione. Sempre su questo canale, nel primo pomeriggio possiamo vedere Tagadà che è stato seguito, sia durante il periodo dell’elezione del presidente della Repubblica, sia dallo scoppio del conflitto ucraino, dal Tg La7 speciale condotto da Enrico Mentana, specialista delle “maratone”. La competizione aumenta nell’access prime time (dalla fine del tg serale fino all’inizio dei programmi di punta): Tg2 Post su Raidue, Stasera Italia su Rete 4 e Otto e mezzo su La7 (e Raitre ne vorrebbe uno tutto suo). In seconda serata c’è Bruno Vespa con Porta a porta, considerato da ventisei anni la terza camera del parlamento.
Tuttavia è in prima serata che i canali schierano le loro corazzate. Ogni sera c’è almeno un talk che può aspirare a ottenere uno share (percentuale sul totale degli spettatori) tra il 5 e il 7 per cento, se va bene. Non molto. Al netto degli spot, ogni programma dura all’incirca tre ore: se cominciano alle 21, finiscono dopo mezzanotte. Questa dilatazione serve ad aumentare lo share, indicatore del successo utile anche per la raccolta pubblicitaria: se all’inizio, per via della concorrenza, lo share è basso, cresce invece col proseguire della serata e col minor numero di televisori accesi, se riesce a trainare con sé il proprio pubblico. "Ogni mattina – spiega Edoardo Novelli, professore ordinario di sociologia all’Università Roma 3, autore de La democrazia del talk show (Carocci) – nelle redazioni tv guardano i dati sugli ascolti, valutano quali blocchi, quale parterre e quale ospite è stato più efficace". "Senza ascolti, si chiude", è la regola che, ad esempio, ha portato alla fine di alcuni talk come Seconda linea, in onda per poche settimane su Raidue nell’autunno 2020.
"Nel dibattito pubblico, è quasi regola il parlare a vanvera", scrive Fabio Cantelli Anibaldi
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