(Damian Lopjus/Pixabay)
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Rinascita Scott, per i media è un'occasione persa

Senza telecamere in aula e senza una presenza costante dei media al processo Rinascita Scott diventa difficile poter mostrare e spiegare all'opinione pubblica cos'è la 'ndrangheta del XXI secolo, a differenza di quanto accaduto col maxiprocesso di Palermo con la mafia siciliana degli anni Ottanta

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mafianeindankeAssociazione antimafia tedesca

16 marzo 2022

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Per anni, la città calabrese di Lamezia Terme è stata abituata a servire come punto di distribuzione dei turisti estivi attraverso il suo aeroporto, ma per il resto quasi nessuno vi si aggirava. Dal 13 gennaio 2021 le cose sono cambiate: nella città è iniziato il processo Rinascita Scott, il più grande processo di sempre contro la 'ndrangheta  e il secondo più grande contro la mafia dopo il maxiprocesso contro Cosa Nostra negli anni ’80, al quale viene anche spesso paragonato. Di conseguenza, centinaia di giornalisti si sono riuniti accanto ai partecipanti al processo, molti dei quali hanno viaggiato anche dall’estero, nonostante la pandemia. È stato come una sorta di “marketing anticipato” che aveva funzionato bene aumentando l’interesse per il processo.

È passato un anno da allora e l’umore è cambiato. Le critiche sono rivolte in particolare ai media che, secondo molti, si sono presentati solo all’inizio del processo e poi hanno limitato al minimo le loro notizie, cosa che solo la pronuncia dei verdetti del processo tenuto col rito abbreviato contro 91 imputati poteva cambiare a breve termine. La critica sembra giustificata soprattutto nel costante confronto – e secondo molti anche giustificato – con il maxiprocesso a Cosa nostra, la mafia siciliana, degli anni Ottanta, molto seguito dai media, passato alla storia italiano attraverso varie pubblicazioni e un ampio materiale fotografico e video. O i processi alla fine non sono comparabili, come invece suggerirebbe il numero di imputati?

Rinascita Scott sta alla mafia del XXI secolo, diversa dalla Cosa Nostra degli anni 80

Rinascita Scott è il “maxiprocesso contro la ‘ndrangheta”, ma se si confronta il contenuto dei due processi, ci si rende subito conto che il maxiprocesso di Palermo aveva tutte le premesse per passare alla storia

Il processo Rinascita Scott nasce dall’operazione condotta dalle forze di polizia nell’autunno 2019 con la quale 334 persone sono state arrestate. Nel dibattimento in corso ci sono oltre 400 imputati, numeri superati nella storia italiana solo dal maxiprocesso di Palermo iniziato nel 1986 e durato quasi sei anni. Questo è un altro motivo per cui il termine “maxiprocesso contro la ‘ndrangheta” è stato subito utilizzato. Tuttavia, se si confronta il contenuto dei due processi, ci si rende subito conto che il maxiprocesso di Palermo aveva tutte le premesse per passare alla storia. Fu la prima reazione significativa dello Stato italiano contro la mafia che si tradusse anche in un processo. Negli anni precedenti, Cosa Nostra aveva terrorizzato la sua regione d’origine e causato più di 600 morti in conflitti tra clan rivali, tra l’altro durante la seconda guerra di mafia. Soprattutto non si è fermata alla società civile e ha assassinato molti dei suoi oppositori più in vista come il capo della Squadra mobile della polizia a Palermo Boris Giuliano, il politico Piersanti Mattarella o il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa. Il maxiprocesso diede improvvisamente speranza, Tommaso Buscetta, un mafioso pentito di alto livello, spiegò agli inquirenti il funzionamento interno della mafia e grazie alla legge Rognoni- La Torre era ora possibile condannare persone solo per l’appartenenza a un’organizzazione mafiosa. Il “who’s who” di Cosa Nostra si trovò sul banco degli imputati, boss come Pippo Calò, Luciano Liggio e Michele Greco seguirono il processo dalle loro gabbie, mentre super boss latitanti come Totò Riina e Bernardo Provenzano furono processati in contumacia. Questi capi non solo avevano ordinato innumerevoli omicidi, ma avevano anche commesso essi stessi decine di omicidi e per questo era ancora più facile dipingerli come mostri assetati di sangue.

Se mettete l’atto d’accusa di Rinascita Scott accanto al maxiprocesso per fare un confronto, noterete che si tratta di un processo diverso. Per quanto riguarda la situazione iniziale, a differenza del 1986, non c’è nessuno che dubiti dell’esistenza della mafia: c’è anche accordo sul fatto che la ‘ndrangheta è oggi la più pericolosa ed economicamente potente delle mafie italiane. Il clan Mancuso di Limbadi in provincia di Vibo Valentia è al centro del procedimento. È considerato uno dei più potenti della regione e secondo l’esperto italiano di criminalità Federico Varese è molto violento e allo stesso tempo molto forte in termini di affari. Il boss Luigi Mancuso è considerato dagli inquirenti il principale capo mafia della provincia. Attualmente, il clan è forse il più potente in Europa sul piano economico e i suoi membri sono tra i più potenti trafficanti di droga del mondo. Contano vari alleati dentro e fuori la ‘ndrangheta. Membri di alto rango del clan vivono anche in Germania, dove sono stati eseguiti alcuni dei 334 arresti di Rinascita Scott. Allo stesso tempo, le indagini erano dirette contro altri clan della provincia di Vibo-Valentia. Così, un’intera sezione della struttura mafiosa della regione è stata indagata e indebolita con gli arresti.

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Meno sangue e meno violenza rispetto alla Cosa nostra anni '80. Il processo Rinascita Scott riguarda la zona grigia, le connessioni, corruzioni e riciclaggio

Tuttavia, come si è saputo poco dopo gli arresti, un numero considerevole degli arrestati non erano noti mafiosi ma spesso cittadini che non avevano precedentemente attirato l’attenzione della polizia e che erano sospettati di aver collaborato con la ‘ndrangheta o di averla sostenuta direttamente o indirettamente. Le connessioni con la società civile sono state poco illuminate nel maxiprocesso. Tra gli imputati di Rinascita Scott ci sono notai, politici, fiduciari, imprenditori e anche agenti di polizia che si presume abbiano aiutato i clan, tra l’altro, con documenti falsi oppure soffiate su indagini in corso. Un ruolo particolare nell’instaurazione di questi rapporti è attribuito alle logge massoniche . Uno dei più importanti “colletti bianchi” che si presume abbiano collaborato con la mafia è l’avvocato e politico Giancarlo Pittelli che sedeva al Senato per il partito Forza Italia di Silvio Berlusconi e che ora è sul banco degli imputati.

Il caso Rinascita Scott mostra una ‘ndrangheta imprenditoriale che vuole soprattutto fare affari e può contare su una vasta rete di aiutanti per farlo. Alcuni aiutano con consapevolezza la ‘ndrangheta perché ne beneficiano economicamente o in altro modo; altri sono molto negligenti e non adempiono al loro dovere di diligenza. Infatti, il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri e altri esperti di mafia si aspettano che il processo porterà alla luce quanto siano stretti i rapporti tra parti della politica e dell’imprenditoria con la ‘ndrangheta.

Ci sono molte opportunità per stabilire queste relazioni: un aspetto particolare all’interno di Rinascita Scott sono le relazioni stabilite nelle logge massoniche dove importanti figure della politica, degli affari e di altri campi si incontrano in privato. L’Italia aveva già imparato quanto pericolose possano essere tali logge negli anni ’80 con l’esposizione di Propaganda Due (P2) di Licio Gelli. Anche la mafia era già coinvolta in questo. Oggi, queste reti sono indicate in Italia con il neologismo “massomafia”. Secondo La Notizia, ci sono più di 1.500 logge massoniche in Italia con un totale di oltre 35.000 membri. Davanti alla Commissione parlamentare antimafia guidata da Rosy Bindi, l’ex gran maestro della loggia Grande Oriente d’Italia (Goi) Giuliano Di Bernardo ha detto che, nel corso di un incontro avvenuto nel 1993 tra i vertici del Goi, gli era stato riferito “con certezza che in Calabria, su 32 logge, 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta”.

Pantaleone “Luni” Mancuso, un membro di altro rango del clan al centro di Rinascita Scott, disse in una conversazione intercettata nel 2013 che la ‘ndrangheta in realtà non esisteva più ma faceva parte dei massoni, con le stesse regole di prima. Nel contesto di Rinascita Scott si sospetta che molti degli accusati siano membri o collegati a logge massoniche per condurre più facilmente e con successo affari legali e illegali. Tra questi c’è anche Pittelli.

Di conseguenza, anche l’imputazione di Rinascita Scott è diversa: mentre nel maxi processo c’erano 120 accuse di omicidio, in Rinascita Scott ci sono molti meno reati violenti ma più corruzione, riciclaggio di denaro e concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex questore Piernicola Silvia su ilfattoquotidiano.it scrive: “La ‘ndrangheta è tranquilla e silenziosa, inattaccabile, non fa rumore, non uccide, non piazza bombe, e non perché questi metodi non facciano parte del suo Dna ma per una precisa strategia: meno si mostra, più viene ignorata. E la totale assenza di interesse pubblico per il processo Rinascita Scott dimostra che questa strategia è purtroppo lucrosa”.

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Limitare le telecamere in aula è un grande favore ai clan

Pochi programmi tv sono stati dedicati alle udienze, le telecamere restano fuori dalle aule e la stampa internazionale si limita ad ascoltare. Sembra una grande occasione persa

Ma cosa c’è di vero nella critica infinita sui media poco interessati al processo? Sarebbe sbagliato incolpare solo i media. Il maxiprocesso di Palermo è così ben ricordato dagli italiani soprattutto perché è stato trasmesso ovunque. Le telecamere Rai erano presenti in aula e 30 anni dopo, per esempio, ha reso di nuovo disponibile materiale inedito. Il pubblico italiano ha potuto vedere in tv non solo i “soliti” momenti salienti come l’apertura del processo e la pronuncia del verdetto, su cui di solito si concentrano i media, ma anche tutto ciò che sta in mezzo, come le accese discussioni tra il boss Pippo Calò e il testimone chiave Tommaso Buscetta. Allo stesso modo, l’argomento è stato trattato in varie produzioni televisive, alcune delle quali sono apparse solo decenni dopo il maxi processo. Nel 2018 è uscita la serie di documentari Rai Maxi - Il grande processo alla mafia con sei puntate; la storia di Buscetta è stata ripresa nel 2019 con un cast stellare.

Nel caso di Rinascita Scott, le cose sono state diverse: all’inizio del processo, pochi fotografi e videoreporter sono stati autorizzati a lavorare all’esterno dell’aula; tutto il resto è stato impedito da una decisione del tribunale, a scapito dei media. All’interno, la stampa internazionale ha dovuto limitarsi ad ascoltare. Nessuno degli imputati era presente, erano tutti collegati tramite videochiamata. La risposta è stata corrispondente: pochi canali e programmi tv sono stati dedicati al processo, e l’attenzione dei media è tornata solo brevemente per la pronuncia dei verdetti del processo abbreviato. Un buon "marketing" prima dell’inizio del processo è stato seguito da un’amara delusione nell’attuazione e sembra che si sia persa una grande occasione: spiegare al pubblico la ‘ndrangheta del XXI secolo.

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La ‘ndrangheta beneficia delle sue strutture complesse e delle sue dimensioni

Il fatto che i media si siano poi rivolti ad altri argomenti che erano di attualità in quel momento – i flussi migratori dal Nord Africa, il caos politico interno e, soprattutto, la pandemia – non stupisce a questo proposito. Le immagini aiutano a rendere chiaro un processo, soprattutto se il contenuto del processo è anche difficile da capire. Anche a parte il rapporto più difficile, la rilevanza del maxiprocesso era molto più facile da afferrare rispetto a Rinascita Scott. Da un lato, la situazione iniziale – a causa delle guerre di Cosa Nostra, in Sicilia prevalevano da anni condizioni insopportabili, contro le quali anche la popolazione si ribellava, e i colpevoli erano chiari. Il clan Mancuso, invece, con poche eccezioni, si era trattenuto dall’uccidere e portava avanti con tranquillità i suoi affari legali e illegali. Inoltre, sebbene i Mancuso fossero conosciuti all’interno della ‘ndrangheta, le dimensioni gigantesche dell’impero mafioso calabrese e le scarse informazioni sulla loro gerarchia rendono difficile classificare il clan accanto ad altri nomi altisonanti come Nirta-Strangio, Pelle-Vottari, Giorgi e Macri. Le operazioni di polizia contro la ‘ndrangheta avvengono di frequente e finiscono nelle cronache; il solo articolo di Wikipedia sul clan Mancuso elenca nove grandi operazioni, con un totale di oltre cento arresti, ai suoi danni nei cinque anni precedenti Rinascita Scott. Alla luce di questa storia, analizzare in dettaglio un’azione come Rinascita Scott e determinare le differenze significative che questo processo ha rispetto ad altri processi richiede un alto livello di competenza giornalistica e una buona dose di persistenza.

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Rinascita Scott non ha ancora realizzato il suo potenziale illuminante, ma non è troppo tardi

Diceva Paolo Borsellino: “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.” Il fatto stesso che la ‘ndrangheta operi in modo poco appariscente, in Italia come in Germania, fa sembrare questa frase più attuale che mai

Alla fine di un’analisi, si scopre che Rinascita Scott non promette troppo: i fatti concreti mostrano che il processo non deve temere il confronto con il maxiprocesso. Se quest’ultimo era un modo di giudicare la leadership di Cosa Nostra dopo che avevano intriso di sangue il suolo siciliano per anni in un’orgia di violenza, Rinascita Scott dà uno sguardo alla mafia del XXI secolo. Si tratta di un’organizzazione opaca e complessa in cui i capi non sono assassini sanguinari ma uomini d’affari senza scrupoli che usano una rete di relazioni per affermare i loro interessi e, non solo in un confronto rischio-beneficio, guadagnano più di quanto facesse Cosa Nostra allora. Il fatto che le logge massoniche, segrete e non trasparenti, tra tutte le cose, servano come veicolo per la creazione di reti dovrebbe far riflettere gli investigatori.

Questi risultati sono rilevanti anche per la Germania. I rapporti con le logge massoniche possono essere specifici dell’Italia ma nulla si sa della situazione nel contesto internazionale. D’altra parte, altre strutture di rete sembrano essere più importanti in Germania. Si sa da indagini precedenti che la ‘ndrangheta clona anche all’estero le sue strutture sperimentate in Italia. Pertanto, si può supporre che i membri dei clan cerchino anche qui di infiltrarsi nelle strutture di rete in modo mirato e strategico, sia come massomafia sia in altri modi. Tuttavia, non ci sono risultati investigativi su questo. Purtroppo non c’è da aspettarsi che la situazione cambi in futuro, dato che la polizia tedesca non ha praticamente indagini strutturali sulla criminalità organizzata italiana. Inoltre, tali dinamiche nello sviluppo strutturale dei clan non sono purtroppo oggetto di analisi scientifiche. Purtroppo questo comporta anche il pericolo che processi come Rinascita Scott in Italia non possano più essere seguiti da un pubblico in Germania perché i temi trattati non sono chiari al pubblico tedesco, poco informato sulla questione.

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Nel contesto italiano è chiaro che i confini tra l’organizzazione della ‘ndrangheta e il suo ambiente sono più sfumati di quanto lo fossero quelli di Cosa Nostra. Tuttavia, è molto più difficile da capire per la stampa italiana tradizionalmente sensazionalista che di solito analizza gli atti violenti nei minimi dettagli. Inoltre, il divieto di qualsiasi trasmissione video diminuisce l’interesse dei media a breve termine e rende improbabile che il processo rimanga nella memoria collettiva della nazione. Ciò che è necessario è, ancora una volta, il lavoro di organizzazioni di attivisti e di membri della stampa dall’occhio acuto che non si lasciano trasportare dalla corrente. Chiunque abbia seguito il maxiprocesso e i suoi eroi ricorda la famosa frase di Paolo Borsellino: “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene.” Il fatto stesso che la ‘ndrangheta operi in modo poco appariscente, in Italia come in Germania, fa sembrare questa frase più attuale che mai. 

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