18 febbraio 2021
Il 27 luglio è festa a Limbadi, piccolo centro del Vibonese, in Calabria. Ogni anno la processione per San Pantaleone è un momento emotivamente molto carico per molti in paese, come è normale che sia. San Pantaleone non è solo il santo protettore, ha anche dato il suo nome a tanti limbadoti. Il suo ritratto è appeso sulle pareti in tante case; il santo è nelle preghiere di molti; la sua festa a fine luglio apre la stagione delle celebrazioni agostane, quando gli emigrati tornano a Limbadi anche per la Festa del Contadino che, i primi di agosto, celebra la ricchezza dei prodotti della terra. È il momento in cui Limbadi è più viva, si popola di gente da tutta la provincia e da tutta la regione. Anche per chi, come me, la festa del Santo l’ha sempre vissuta da agnostica, il 27 luglio è certamente un momento in cui il paese in festa non lascia indifferenti.
Si resti arrinesci, ovvero: rinascere in terra di 'ndrangheta
Sarà stato – vado a memoria – il 27 luglio del 2012 o al massimo del 2013. Quando il santo esce dalla chiesa, con la gente che si avvinghia alla statua fieramente eretta, e lo veste di “regalie” – alcuni ninnoli d’oro e altre cose preziose – il fragore della banda rende impossibile udire qualsiasi chiacchiera o rumore. Probabilmente qualcuno – oltre a chi scrive – si sta chiedendo se la presenza di Luigi Mancuso, boss della 'ndrangheta, alla festa del santo quest’anno faccia qualche differenza. Luigi Mancuso, uscito dal carcere nel luglio 2012, con 11 anni di anticipo – in seguito all’arresto e condanna del 1993 - è considerato “capo-locale” della potente ’ndrina omonima di base proprio a Limbadi, ma con propaggini a Nicotera, Joppolo, Ricadi, e Vibo Valentia. Sarà sotto sorveglianza speciale – e poi latitante volontario sottrattosi agli obblighi della sorveglianza dal 2014 - fino all’arresto nel dicembre 2019, a seguito dell’operazione Rinascita-Scott della procura di Catanzaro. Dal 2012 al 2019 la sua presenza a Limbadi, così come la sua vicinanza alla statua del Santo quell’estate, sicuramente ha spaccato il paese più di quanto non sia visibile a occhio nudo. C’è forse un complesso meccanismo di rimozione generale o, come direbbero i criminologi, un utilizzo di tecniche di neutralizzazione del danno e della pericolosità. Ciò che non si vede non si racconta. Spetta poi davvero al paese giudicare o addirittura allontanare certe persone, soprattutto quando hanno pagato – almeno formalmente – il proprio debito con lo Stato? Qual è la linea di demarcazione tra supporto, prossimità e vicinanza alla mafia? Non sono certo domande di facile risposta.
Ma facciamo una deviazione.
Rinascita Scott, per i media è un'occasione persa
Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, nel dicembre 2019 ha presentato l’operazione Rinascita-Scott – il cui processo iniziato a gennaio 2021 vede ben 325 imputati in un’aula bunker realizzata per l’occasione nell’area industriale di Lamezia Terme – come messaggio ai calabresi, un segnale perché capiscano “senza alibi per nessuno”, dice Gratteri, che dei magistrati ci si può fidare, che la giustizia – lo Stato – può dare risposte.
Un numero impressionante di pentiti e collaboratori di giustizia (58), una nutrita “presenza” di colletti bianchi – ex parlamentari, ex sindaci, avvocati – tra gli imputati, che sicuramente hanno contribuito a “elevare” le capacità delle mafie sul territorio, Rinascita-Scott presenta molti spunti di interesse. Il procuratore Gratteri ha sicuramente ragione, questo processo dà segnali chiari al territorio, alle istituzioni, ai calabresi, e anche alla ‘ndrangheta.
Rinascita-Scott fa seguito a varie indagini sul territorio vibonese, tra le altre, l’operazione Dynasty che nel 2003 ha riconosciuto la presenza del clan Mancuso. Rinascita-Scott ruota intorno alla persona di Luigi Mancuso, conosciuto con vari appellativi per la giustizia: U Signurinu, U Ziu, U Supremu e in paese per qualcuno anche U Santu. Considerato boss indiscusso del locale di Limbadi, a capo di un “impero economico” (sconosciuto) fondato sul traffico di cocaina, e capo crimine locale di una federazione di clan del Vibonese – la caddara (il calderone) – che, per suo volere, avrebbero seguito le regole e le direttive del “Crimine” di Polsi (cioè la struttura della 'ndrangheta che storicamente fa capo ai clan aspromontani nel Reggino e si occupa della risoluzione dei conflitti e della conferma delle cariche per locali e società nei tre mandamenti di ’ndrangheta, nda), Luigi Mancuso – dicono le carte dell’accusa e i precedenti processi contro l’omonimo clan – ha uno spessore criminale che pochi altri hanno avuto, mantenendolo a lungo, nella ’ndrangheta.
La 'ndrangheta nel vibonese, una scelta identitaria
Oltre a vederlo sotto processo in Rinascita Scott a metà gennaio 2021, ritroviamo il suo nome nel processo ’Ndrangheta stragista, che a luglio 2020 ha visto la Corte d’assise di Reggio Calabria condannare Rocco Santo Filippone, esponente della ’ndrangheta reggina a Melicucco (Reggio Calabria), e Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio (Palermo), per la compartecipazione in omicidi di stampo terroristico e a finalità mafiosa nei primi anni ‘90. Le motivazioni della Corte d’assise in ’Ndrangheta stragista pubblicate il 22 gennaio 2021, danno uno spaccato dell’Italia anni Novanta che toglie il respiro: Cosa nostra e ’ndrangheta, massoneria deviata e poteri sommersi dello Stato, partiti emergenti come Forza Italia, e tavolini di potere per la manipolazione del voto e dei traffici di favori. Un Luigi Mancuso neppure quarantenne figurava già nei primi anni Novanta, poco prima dell’arresto nel 1993, come uno degli esponenti della mafia calabrese aderenti alla strategia stragista dei clan siciliani che – proprio per la sua vicinanza ai clan reggini-cittadini (soprattutto il clan De Stefano) e tirrenici (i clan Piromalli e Pesce) – avrebbe potuto offrire un considerevole supporto, nonché una “guardiania” del territorio, per la programmazione di atti terroristico-mafiosi.
In Rinascita-Scott, tra i (presunti) sostenitori del clan Mancuso, e di Luigi in particolare – sempre al centro della scena – figurano vari individui, personaggi della società civile – imprenditori, massoni deviati, politici – vicini alle cerchie di potere vibonesi, catanzaresi e reggine. Ad alcuni di loro viene contestato di avere agevolato, in modalità e a livelli differenti, il raggiungimento delle finalità criminali del sodalizio mafioso “elevandone” la statura fino a permettere l’ingresso nelle camere di potere massonico-politiche. In particolare, il pentito Cosimo Virgiglio, nel corso degli atti del processo Gotha, aveva già indicato Giancarlo Pittelli, imputato d’eccellenza in Rinascita-Scott (avvocato penalista ed ex parlamentare e coordinatore regionale di Forza Italia), per i suoi scambi con Luigi Mancuso e per la sua vicinanza a logge “riservate” a Catanzaro e a Reggio.
La Corte d’Appello reggina ha confermato le condanne di primo grado del processo Gotha il 20 gennaio scorso. Inoltre, Antonio Talarico – imprenditore del catanzarese non imputato in Rinascita-Scott, ma coinvolto nell’inchiesta – era presente anche negli atti dell'operazione Mammasantissima nel 2015 (anch’essa confluita nel processo Gotha). Partecipando a incontri con Giuseppe Pelle (detto Gambazza), storico capo crimine di San Luca, Talarico avrebbe discusso di assetti elettorali e post-elettorali – anch’egli apparentemente vicino ad ambienti massonici segreti e riservati (molto era emerso già dai tempi del processo Crimine). Giovanni Giamborino, un altro personaggio chiave di Rinascita-Scott, oltre a essere – in base alle indagini – battezzato in una famiglia di ’ndrangheta a Piscopio (Vibo Valentia), avrebbe un legame particolare con Luigi Mancuso. Per conto suo e di altri avrebbe svolto il ruolo di anello di congiunzione con esponenti della massoneria e della società civile vibonese quali Ugo Bellantoni, anch’egli soggetto di interesse in Rinascita-Scott, e il sopracitato Giancarlo Pittelli, per facilitare scambi di favori e per ottenere benefici per i suoi progetti edilizi a Vibo Valentia. Giovanni Giamborino, infatti, mostra di non avere dubbi sulla posizione apicale di Luigi Mancuso e sul suo ruolo di pacificatore e guardiano della zona, per conto della ’ndrangheta tutta. Addirittura, egli dichiara:
“A Luigi non c'è bisogno che gli dite chi c'è a Nicotera a Reggio o questo o altro, lui ha il tetto del mondo, avete capito? Tetto del mondo, non c'è nessuno... se c'è qualcuno è sempre lui il più alto degli altri, capito? Quindi non... non gli dite nulla che non gli interessa non è che, certamente sono tutti amici che lui li riguarda perché non è un approfittatore se no non poteva arrivare, avete capito?”.
Nella stessa settimana di gennaio 2021 ben tre processi – Rinascita-Scott ai suoi albori, ’Ndrangheta stragista al primo grado e Gotha in appello – stanno raccontando di una ’ndrangheta a braccetto con poteri tanto occulti sotto certi profili quanto manifesti in altri, una mafia elevata, vaporizzata in una nuvola di potere sulle città di Reggio Calabria, di Catanzaro, di Vibo Valentia. Stanno anche raccontando di una ’ndrangheta che nelle sue manifestazioni più pericolose e più autorevoli dimostra non solo un’unitarietà di azione, ma anche un sistema di auto-protezione. Il coinvolgimento di esponenti politici e di un’élite professionale e imprenditoriale ne protegge le frange più altolocate. In questa ’ndrangheta, alcuni degli imputati di Rinascita-Scott, primo fra tutti Luigi Mancuso, sembrano volare molto in alto.
Ora però ritorniamo a Limbadi.
In Calabria l'emergenza è strutturale
Limbadi, che di tutta questa mafia vaporizzata nelle alte sfere del potere, vede e sente molto altro. In un’intercettazione un indagato in Rinascita-Scott è a cena con altri soggetti, tra cui due provenienti da un’altra provincia. Uno dei due “forestieri” esterna di aver appreso solo quel giorno che Limbadi fosse conosciuta come la “città dei mafiosi”. I presenti si meravigliano della mancata conoscenza di quel dato ormai noto a tutti. “Li c'è pure la ‘mamma’ proprio!”, dirà l’indagato, riferendosi al clan Mancuso secondo la procura.
Il Comune è stato sciolto per i legami tra politici e 'ndrangheta. Il boss Mancuso sembra quasi contento della decisione: "Hanno fatto bene"
Ovviamente Limbadi non è “la città dei mafiosi”, ma sconta sicuramente tale nomea a causa del casato mafioso che lì risiede. C’è, in Rinascita-Scott, molto di Limbadi, non tanto per via degli imputati – che sono sparsi per tutta la provincia - quanto nei luoghi di incontro e nelle relazioni sociali. A Limbadi c’è la mafia che trova lavoro agli “sventurati” e agli amici; c’è la mafia dello “zio a cui si fa il favore”; c’è la mafia “in famiglia”, di chi è cognato, cugino, suocera, nuora di…; c’è la mafia in alcune delle poche realtà commerciali e industriali del paese. “Non fa neanche piacere per dire… vedere un altro di un altro posto che viene a fare un pozzo dentro Limbadi”, commentano due indagati del posto, per ricordare che le ditte locali attratte nell’aura della cosca saranno privilegiate per questo.
È dunque tutto così impregnato, tutto così assoggettato allo strapotere della ’ndrangheta nel paese, provincia, regione? Molto sembra puntare in questa direzione, incluso ovviamente il processo Rinascita-Scott.
Il Comune di Limbadi è stato sciolto con decreto del presidente della Repubblica datato il 27 aprile 2018. Nella relazione del Prefetto si legge di “frequentazioni e legami (di membri della giunta comunale) con soggetti appartenenti al locale contesto di ndrangheta”, dell’“inosservanza delle recenti normative in materia di trasparenza ed anticorruzione” e che “le procedure di aggiudicazione di appalti di lavori, servizi e forniture, risultano per lo più affidate con procedure anomale ed a soggetti privi dei necessari requisiti” e a volte a ditte in seguito toccate da interdittive antimafia. Dalla lettura dei rapporti sullo scioglimento si nota come molto venga imputato non all’azione ma all’omissione della giunta nel prevenire le commistioni economiche e sociali con ambienti vicini ai clan.
Dello scioglimento del Comune – nonostante le prossimità al clan riscontrate dalla commissione di accesso – non sembra importare molto a Luigi Mancuso. Al contrario, egli sembra relativamente disinteressato alla presunta infiltrazione, persino sarcastico a riguardo. In un’intercettazione (sempre in Rinascita-Scott) del 27 aprile del 2018, stesso giorno dello scioglimento, Luigi Mancuso e Giancarlo Pittelli ne discutono proprio a Limbadi. Pittelli si interroga sulle ragioni dello scioglimento. La risposta di Luigi Mancuso è: “Hanno fatto bene. L’unica volta che… chi di arma ferisce di arma perisce”. Pittelli chiede poi chi fosse il sindaco; Mancuso risponde "un comunista!" e Pittelli si unisce al tono di dileggio commentando "Allora sì!".
Comuni sciolti per mafia, dalle difficoltà alla "terza via"
Il sindaco “comunista” a Limbadi ha vissuto tutta la vita, a Limbadi ha rapporti e relazioni personali, familiari e professionali ed è un sindaco ben voluto, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla sua amministrazione; non sembra “amico” del clan, tutt’altro. Solo questo dovrebbe far riflettere sulla complessità della realtà locale e su quanto inappropriate possano risultare politiche gestionali e amministrative basate più su criteri formali che sostanziali e contestualizzati. De relato, la risposta del paese allo scioglimento, così come la reazione agli arresti di Rinascita-Scott, non è stata univoca: quando non si è in aperto contrasto con lo Stato – perché l’ingerenza delle istituzioni è considerata eccessiva, o mal gestita, o perché si è effettivamente dalla parte dei clan – comunque non si ringrazia lo Stato per le sue azioni, al massimo le si accettano, con una rassegnazione che sconfina nel fatalismo. Perché? Perché dopo l’azione dello Stato, rimane comunque ben poco.
Si percepiscono spesso stonature in ciò che lo Stato fa per proteggere il territorio, che può tradursi per molti in punizione del territorio
Si percepiscono spesso stonature in ciò che lo Stato fa per proteggere il territorio, che può tradursi per molti in punizione del territorio. La rinascita auspicata in Rinascita-Scott deve passare anche per la protezione e il supporto, oltre che attraverso la sanzione e la repressione. L’amministrazione pubblica di un paese come Limbadi dovrebbe essere rafforzata, non dissolta (leggi l'analisi di Avviso pubblico sui commissariamenti e la loro riforma, ndr); la trasparenza incoraggiata e accompagnata, non pretesa solo formalmente.
Ci si dovrebbe ad esempio chiedere perché la prevenzione di commistioni con gli ambienti mafiosi sia così complessa da gestire, perché è così difficile eludere la contiguità mafiosa, tra rapporti parentali, umani, sociali; non si può solo sanzionare chi ha condotte omissive nell’azione di prevenzione. Ci si dovrebbe interrogare su come rilevare i segni di una concreta morsa mafiosa sul territorio, andando oltre il mero associazionismo al circolo, le parentele scomode e i favori alle ditte di amici, includendo ad esempio considerazioni sul grado di vittimizzazione del territorio, di difficoltà del territorio di essere altro, che portano all’assoggettamento di molti a comportamenti sociali e individuali che beneficiano le consorterie mafiose.
Tutto sta nel modo con cui ci si fa identificare. Lo Stato presenta tante facce e, a volte, anche quando vorrebbe essere protettivo, finisce per assumere un volto repressivo e punitivo. La mafia – soprattutto ai bassi livelli, nelle piazze del paese - di faccia ne ha una, spesso immutabile. Anche quando sta vicino al santo portato in processione – che piaccia o no.
Anna Sergi e Anita Lavorgna, ’Ndrangheta. The glocal character of Italy’s most powerful mafia, Palgrave Macmillan, 2016;
Antonio Talia, Statale 106. Viaggio sulle strade segrete della ’ndrangheta, Minimum Fax, 2019.
Alessia Candito, Anche la 'Ndrangheta ha la sua cupola. Condannato l'avvocato massone che ne è alla guida, La Repubblica, 21 gennaio 2021
Aaron Pettinari e Alessia Candito, 'Ndrangheta stragista: attentati eversivi e mandanti politici, Antimafia Duemila, 22 gennaio 2021.
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