7 giugno 2022
Il 12 giugno seggi aperti per le elezioni amministrative di 978 Comuni e per il referendum sulla giustizia. I quesiti promossi da Radicali e Lega sono cinque e riguardano alcuni aspetti della giustizia penale e dell'organizzazione interna della magistratura: l'incandidabilità o il divieto di ricoprire cariche elettive e di governo per persone condannate, anche in via non definitiva, per alcuni reati gravi; la riduzione dei casi in cui si possono disporre le misure di custodia cautelare per reati meno gravi; la separazione delle funzioni dei magistrati, tra la carriera di giudice e quella di pubblico ministero; la possibilità anche per gli avvocati di valutare la professionalità dei magistrati e l'abrogazione dell'obbligo di raccolta firme per le candidature al Consiglio superiore della magistratura, organo di autogoverno delle toghe che monitora la professionalità dei magistrati, stabilisce sanzioni, nomina vertici di corti e procure e altro.
Trattandosi di un referendum abrogativo, i quesiti mirano alla cancellazione di alcune norme. Per essere valido, il referendum dovrà raggiungere il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto: traguardo a rischio (secondo Ipsos la partecipazione sarà tra il 27 e il 31 per cento) vista la scarsa mobilitazione a favore del voto. La timidezza della campagna a sostegno del referendum dipende non soltanto dalla tecnicità degli argomenti, ma anche dal fatto che tre dei cinque quesiti toccano questioni inserite nella riforma del Csm elaborata dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia, già approvata alla Camera e in arrivo in Senato il 14 giugno.
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Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190)?
Alla fine del 2012 il governo di Mario Monti ha approvato una serie di misure contro la corruzione, meglio conosciute come Legge Severino, dal nome dell'allora ministra della GIustizia Paola Severino.
Il dl 235 del 31 dicembre 2012 ha introdotto alcune misure come l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatica per gli eletti e non solo (parlamentari, consiglieri regionali, sindaci, ma anche rappresentanti di governo e amministratori locali) nel caso siano condannati per una serie di reati gravi, come mafia, terrorismo e reati contro la pubblica amministrazione. Per gli amministratori locali, però, la legge è più severa: la sospensione di 18 mesi è prevista anche nel caso di condanne non definitive, pari a due o più anni di reclusione, per reati non gravi.
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Secondo i promotori, la decadenza automatica di sindaci e amministratori locali ha creato “vuoti di potere” e ha danneggiato persone dichiarate innocenti al termine dei processi. L’obiettivo del referendum è di eliminare l’automatismo, lasciando ai magistrati la facoltà di applicare l’interdizione dai pubblici uffici come pena accessoria.
Tuttavia, per come è formulato il quesito referendario, si rischia di eliminare tutte le norme previste dalla legge Severino in tema di incandidabilità, norme che invece, secondo letture diverse, potrebbero essere modificate in modo puntuale, per correggere gli elementi più controversi. Eliminando il dl 235 del 2012, ad esempio, potranno invece essere candidate anche le persone condannate per mafia o per reati contro la pubblica amministrazioni con pene superiori ai due anni.
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Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché’ per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni.”?
Il secondo quesito referendario, molto articolato, vuole modificare l’articolo 274 del codice di procedura penale, eliminando la possibilità della custodia cautelare per il pericolo di reiterazione del reato per reati non gravi. Le misure di custodia cautelare (non soltanto il carcere, ma anche gli arresti domiciliari, l’obbligo di dimora e il divieto di avvicinamento) di una persona sottoposta a indagini (quindi non condannata) nei casi di reati non gravi, possono ricorrere quando sono riconosciuti tre possibili rischi: la fuga, l'inquinamento delle prove e la reiterazione del reato. I promotori del referendum vogliono eliminare quest’ultima possibilità, mantenendo il ricorso alla misura della custodia soltanto per reati gravi (di criminalità organizzata o con l’uso di armi, ad esempio).
Il loro obiettivo dichiarato è quello ridurre il numero di indagati e imputati che finiscono in carcere senza essere stati ancora processati e senza condanne. “Circa mille persone all’anno vengono incarcerate e poi risulteranno innocenti”, si legge sul sito del referendum. Il problema è reale, quasi il 30 per cento dei reclusi in Italia è in attesa di giudizio, ma alcuni osservatori più critici temono che questa modifica eliminerebbe l’applicazione di qualsiasi tipo di misura cautelare (quindi non soltanto la carcerazione) per alcuni tipi di reati come lo spaccio – contro cui la Lega ha sempre voluto leggi molto dure – o lo stalking.
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Volete voi che siano abrogati: l’ “Ordinamento giudiziario” approvato con Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 192, comma 6, limitatamente alle parole: “, salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura”; la Legge 4 gennaio 1963, n. 1 (Disposizioni per l’aumento degli organici della Magistratura e per le promozioni), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 18, comma 3: “La Commissione di scrutinio dichiara, per ciascun magistrato scrutinato, se è idoneo a funzioni direttive, se è idoneo alle funzioni giudicanti o alle requirenti o ad entrambe, ovvero alle une a preferenza delle altre”; il Decreto Legislativo 30 gennaio 2006, n. 26 (Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché’ disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 23, comma 1, limitatamente alle parole: “nonché’ per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa”; il Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché’ in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 11, comma 2, limitatamente alle parole: “riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti”; art. 13, riguardo alla rubrica del medesimo, limitatamente alle parole: “e passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa”; art. 13, comma 1, limitatamente alle parole: “il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti,”; art. 13, comma 3: “3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all’interno dello stesso distretto, né all’interno di altri distretti della stessa regione, ne’ con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario. Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell’ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del secondo e terzo periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché’ sostituendo al presidente della corte d’appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la medesima.”; art. 13, comma 4: “4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all’interno dello stesso distretto, all’interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento.”; art. 13, comma 5: “5. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, l’anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni di professionalità periodiche.”; art. 13, comma 6: “6. Le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all’articolo 10, commi 15 e 16, nonché, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dello stesso articolo 10, che comportino il mutamento da giudicante a requirente e viceversa.”; il Decreto-Legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito con modificazioni nella legge 22 febbraio 2010, n. 24 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 3, comma 1, limitatamente alle parole: “Il trasferimento d’ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma può essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa, previsto dall’articolo 13, commi 3 e 4, del Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160.”?
Il lunghissimo quesito della scheda gialla (quasi settemila caratteri) mira alla separazione tra la carriera tra i magistrati requirenti, i pubblici ministeri che coordinano le indagini e rappresentano l’accusa in aula, e i magistrati giudicanti. Si tratta di un provvedimento in discussione da anni, cavallo di battaglia dei provvedimenti in tema di giustizia anche di Silvio Berlusconi.
I promotori vogliono evitare che un pm possa accedere alla carriera di giudice, e viceversa, con l'obiettivo di creare una figura di giudice maggiormente imparziale, privo di particolari legami verso i colleghi della pubblica accusa o, per usare le parole degli stessi promotori, di “spirito corporativo”. “Ci sono magistrati che lavorano anni per costruire castelli accusatori in qualità di pm e poi, d’un tratto, diventano giudici”, scrivono sul sito i sostenitori, senza specificare che per cambiare ruolo esistono procedure complesse che prevedono il trasferimento in un altro distretto giudiziario per un certo periodo di tempo.
I critici sottolineano invece che separare le carriere finirebbe solo per danneggiare la professionalità e l’esperienza dei magistrati, richiudendo le due funzioni su loro stesse. Non solo: alcuni temono che la separazione sia un primo passo verso la fine dell'indipendenza della magistratura.
Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 (Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005 n. 150), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 8, comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 7, comma 1, lettere a)”; art. 16, comma 1, limitatamente alle parole: “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, comma 1, lettere a), d) ed e)”?
La professionalità di ogni magistrato in servizio viene valutata da un collegio all’interno del consiglio giudiziario (che agisce nell’ambito dei distretti delle corti d’appello) e poi del Csm. Il quarto quesito referendario mira ad abolire il divieto di voto degli avvocati all'interno di tali consigli giudiziari.
Con questa mossa, i promotori del referendum vorrebbero rendere la valutazione meno “corporativa” e più bilanciata, aprendo la valutazione anche a rappresentanti dell’avvocatura e dell’università. Chi si oppone al quesito ritiene invece che la professionalità delle toghe non possa dipendere dal giudizio degli avvocati, che potrebbero avere ragioni di risentimento nei confronti della parte avversa, pregiudicando ulteriormente i rapporti nelle aule dei tribunali.
Volete voi che sia abrogata la Legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 25, comma 3, limitatamente alle parole “unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’articolo 23, né possono candidarsi a loro volta”?
Il quinto quesito vuole abolire l’obbligo di raccolta firme, tra le 25 e le 50, per il magistrato che intende candidarsi al Csm. L’obiettivo dei promotori è ridurre il peso delle “correnti”, cioè le associazioni sindacali dei magistrati, “diventate i ‘partiti’ dei magistrati”, le quali – si legge sul sito – “Come ha dimostrato il “caso Palamara” (lo scandalo legato alla presunta corruzione del magistrato Luca Palamara, ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati ed ex consigliere del Csm, ndr), intervengono per favorire l’assegnazione di incarichi ai suoi componenti, decidono trasferimenti e nuove destinazioni. Si muovono in un’ottica di promozione del gruppo e non sono certo utili per garantire giustizia ai cittadini. Spesso agiscono con una logica spartitoria e consociativa, cosicché le decisioni sono prese all’unanimità per 'pacchetti' concordati tra i capicorrente”.
Abolire l’obbligo di raccolta di firme per la candidatura permetterebbe a qualsiasi magistrato di candidarsi al Csm e questo, sostengono i promotori, metterebbe al centro della votazione “il magistrato e le sue qualità personali e professionali, non gli interessi delle correnti o il loro orientamento politico”.
Tuttavia la riforma del Csm voluta dalla ministra Cartabia punta già a cambiare le procedure per le elezioni del Csm in questa direzione, il che rende il quesito referendario una mera sovrapposizione.
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