Un municipio, quello di Caltagirone (Davide Ragusa/Unsplash)
Un municipio, quello di Caltagirone (Davide Ragusa/Unsplash)

Referendum giustizia, Vannucci: "La Severino serve, altrove non si candidano i condannati"

I promotori del referendum vogliono più garanzie per gli amministratori locali abrogando il decreto legge 235 del 2012. "Anche i cittadini amministrati hanno bisogno di più tutele", dice Alberto Vannucci, professore esperto di corruzione, ribadendo l'utilità della legge: "Ci vuole un intervento normativo ad hoc"

Andrea Giambartolomei

Andrea GiambartolomeiRedattore lavialibera

9 giugno 2022

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Alberto Vannucci
Alberto Vannucci

Per correggere un difetto, si rischia di cancellare una legge importante, che colma una mancanza etica della politica. Domenica 12 giugno, giorno del referendum sulla giustizia, elettori ed elettrici potranno votare il quesito che prevede l’abolizione del decreto legge 235 del 2012, chiamata legge Severino, che prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza dei politici condannati. Alberto Vannucci, professore di Scienza politica all'Università di Pisa, studioso della corruzione e componente del comitato scientifico de lavialibera, analizza i rischi dell’eventuale abrogazione.

Professore, innanzitutto qual era il contesto storico in cui venne approvata la legge 234 del 2012?

All’epoca c’erano stati gli scandali dei rimborsi gonfiati dei consiglieri regionali, le “cricche” degli appalti della Protezione civile, le indagini sulle presunte logge P3 e le P4... Il governo tecnico di Mario Monti introdusse, in modo affrettato, una serie di norme a partire dalla legge Anticorruzione, la 190 del 2012. C’erano norme per la prevenzione a livello amministrativo, con l’introduzione dell’Autorità nazionale anticorruzione, dei responsabili della prevezione della corruzione negli enti pubblici e delle tutele dei whistleblower, c’erano alcune modifiche del codice penale e poi c’era questo decreto legge, l’unico che agiva a livello politico. Fu approvato quasi all’unanimità: tra i soli contrari c’era Italia dei valori, il partito dell’ex pm Antonio Di Pietro, che voleva norme ancora più severe, mentre la Lega votò a favore, mentre adesso l’abolirebbe.

Leggi la nostra scheda riassuntiva sul referendum sulla giustizia

Qual è il senso di questa legge su incandidabilità, ineleggibilità e decadenza dei politici condannati?

Abbiamo dovuto darci queste norme perché sono saltate altre misure: altrove i partiti non candiderebbero mai un condannato e i cittadini non voterebbero soggetti che hanno subito condanne, anche definitive, per una serie di reati.

I promotori del referendum sulla giustizia vogliono abolire le norme sulla decadenza dei politici condannati, per dare più garanzie agli amministratori locali. È un problema reale?

Che questo sia l’obiettivo è indubbio. Che sia legittimo è altrettanto vero perché in effetti il decreto introduce soprattutto per gli amministratori locali – sindaci, consiglieri comunali, regionali… – un grosso vincolo: non soltanto l’incandidabilità e l’ineleggibilità in caso di condanna, ma la decadenza, cioè la sospensione dalle cariche per 18 mesi, anche in caso di condanne non definitive.

Quali sono gli effetti collaterali?

Gli amministratori non sono gli unici soggetti che devono essere garantiti. Bisogna guardare anche alle persone che hanno bisogno di maggiori garanzie: gli amministrati, i cittadini.

In che senso?

I reati dei colletti bianchi sono difficili da perseguire. Ci sono una serie di problemi legati alle procedure, ai tempi di prescrizione. Statistiche ufficiali del Consiglio d’Europa del 2020 dimostrano che i detenuti per reati fiscali in Italia l’1,1 per cento, contro l'11 per cento della Germania e il 5 per cento circa di Francia e Spagna. È evidente che in Italia – che non si è fatta mancare nulla per quanto riguarda gli scandali finanziari, che ha un’evasione fiscale ai vertici delle classifiche europee e ha una grande economia sommersa – qualcosa non funziona. È quasi impossibile arrivare a una condanna per molti reati. Ciò rende altissime le aspettative di impunità e questo implica la necessità di altre misure di salvaguardia. È chiaro che una misura così estrema, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale, rappresenta un baluardo di tutela rispetto al rischio che i cittadini di quelle comunità locali vengano comunque governati da soggetti condannati, anche se in maniera non definitiva.

Il crimine dei colletti bianchi, anche i ricchi delinquono

C’è il rischio che, abolendo la legge Severino, tra un anno alle elezioni politiche ci siano tra i candidati (o addirittura tra gli eletti) anche persone condannate per gravi reati di mafia o contro la pubblica amministrazione?

Certo, a meno che questi condannati per mafia non abbiano avuto la pena accessoria dell’interdizione dei pubblici uffici, a volte comminata per periodi limitati. Se non hanno subito questa misura o se fosse passato abbastanza tempo, allora potremmo trovarci dei candidati e degli eletti condannati per reati gravi.

Come si potrebbero correggere le storture?

Si potrebbe delineare meglio il perimetro dei reati e riformare l’abuso d’ufficio che – a giudizio di molti amministratori – è un reato con contorni molto vaghi, a volte contestato anche per incidenti di percorso, e spesso non arriva a condanne definitive. Ma ci vuole un intervento normativo ad hoc, non di certo con l’abrogazione di un impianto normativo che va a riparare altri problemi. Per i reati gravi, come quelli di mafia o di corruzione, la sospensione per condanne non definitive può essere accettabile.

La legge 190 del 2012 ha dodici anni. Da tempo si aspetta una revisione, migliorando quegli strumenti di prevenzione che il Piano nazionale di ripresa e resilienza ritiene “spesso occasione di corruzione”.

La burocrazia delle trasparenza viene ritenuta come foriera di corruzione. Come in altri settori, la normativa anticorruzione e i provvedimenti successivi hanno avuto un approccio emergenziale: c’è uno scandalo, una forza politica all’opposizione che può approfittarne, e allora si cerca, attraverso l’approvazione affrettata di norme ad hoc, di riconquistare la purezza perduta. Un approccio così, che non vede un problema di lungo termine, porta a ritenere che si possano mettere da parte le leggi in contesti come quello attuale, in cui si devono velocizzare le decisioni per spendere tanto e in fretta i soldi del Pnrr. Il modello decisionale dei commissari che operano in deroga, con la sospesione del codice degli appalti e delle norme sulla trasparenza, prefigura un modello criminogeno su scala nazionale. Se a questo pessimo segnale si dovesse sommare l’eventuale abrogazione della Severino, sarebbe un “tana libera tutti”.

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