2 settembre 2024
Cinzia Toniolo ha 60 anni e ricorda di quando, a 14 anni, andava allo stadio "con il tamburo legato dietro alle spalle". Tifosissima del Vicenza, lei preferiva gli spalti alla discoteca. Susanna Penna, 64 anni, a 12 anni costringeva il papà a portarla a vedere il Torino: "Invece della partita, guardavo la curva": voleva stare lì, in mezzo agli ultras, e ce l’ha fatta, diventando un’icona del tifo al femminile. Valeria Accettura, 54enne barese, racconta di quando quarant’anni fa fu trascinata dai compagni di scuola a vedere Bari-Juventus di Coppa Italia: "Non ho più smesso". Sono le storie di alcune delle donne ultras, pioniere capaci di farsi spazio sulle gradinate affollate di maschi.
Sui gradoni contano partecipazione e spirito di sacrificio. Regole uguali per tutti: ragazzini, uomini e donne. Non contano il genere o l’età, la provenienza familiare o il titolo di studio. "Non so se mi hanno dato spazio o me lo sono preso, forse entrambe le cose – spiega Giusi, 58 anni, storica esponente dei Forever Ultras del Bologna, che ci chiede di non riportare il suo cognome nell’intervista–. Gli ultras sono inclusivi, accolgono. In curva ci sono tutti, senza distinzione di censo e appartenenza sociale. Dipende dalla responsabilità che sei disposta ad assumerti". Non era l’unica donna sugli spalti dello stadio Roberto Dall’Ara: "Abbiamo anche avuto una fantastica “lanciacori”, empatica, capace di coordinare il tifo.
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In un calcio diventato industria, mafie ed estremismo di destra entrano negli stadi per fare affari