3 agosto 2020
Il Mezzogiorno è nei guai. Non lo è solo da oggi, ma da molto tempo. Forse da sempre, ma di sicuro da quando sono state dismesse le politiche di “intervento straordinario”, che alla lunga si erano arenate, ma che per almeno un ventennio avevano prodotto miglioramenti apprezzabili. Si è a un dato momento pensato, grosso modo a metà degli anni ’70, che i problemi del Sud potessero essere risolti mettendolo in concorrenza con il Nord e bonificando l’eccesso di risorse che vi venivano investite, spesso consegnandole alle dissipazioni delle classi dirigenti locali e alla vocazione assistenzialista dei cittadini. Questa era la diagnosi, solo che i risultati della terapia conseguente sono stati disastrosi.
Il Mezzogiorno è indietro, molto indietro, su tutti i fronti: la sanità, l’istruzione, l’occupazione, le infrastrutture. Chi più ne ha, più ne metta. L’unico segmento dell’azione di governo che ha conseguito risultati è la repressione del crimine organizzato. Bisogna tuttavia stare attenti. Sono risultati ancora insufficienti e soprattutto fragili. Il disagio sociale è un terreno oltremodo fecondo per le attività criminali.
Della condizione del Mezzogiorno sono testimonianza gli esiti elettorali della primavera del 2018. Molto ci sarebbe da riflettere sulle responsabilità di questo fallimento. E comunque un fallimento che ha almeno due implicazioni. La prima è che oggi esistono due Italie. Per quanto anche le condizioni del resto del paese non siano brillanti – vi sono aree in ottime condizioni, altre in condizioni molto più modeste – sul piano della crescita, dell’occupazione e dei servizi pubblici il contrasto è stridente, è ingiusto ed è anche democraticamente inaccettabile. La seconda implicazione è che il ritardo del Sud è un grave danno per il Nord. Per quanto non tutti lo capiscano, è piombo nelle ali per un paese che si vuole una potenza industriale.
Il Covid ha fatto moltissimi danni. Una mole di risorse senza precedenti andranno investite negli anni a venire
Questo documento vuol essere un invito a ragionare e ad agire. Il Covid ha messo in evidenza i tanti motivi di vulnerabilità dell’Italia, ma anche le sue capacità di resistenza. Ma di danni ne ha fatti moltissimi. Una mole di risorse senza precedenti andranno investite negli anni a venire per rimediare a tali danni. E già sull’impiego di tali risorse si è ingaggiata una accanita contesa politica. In realtà, non vi sono solo i problemi rivelati dal Covid. Tantissimi altri che si erano accumulati negli ultimi decenni: in tutto il paese e in special modo nel Mezzogiorno. Il titolo del documento Ricostruire l’Italia. Con il Sud (che trovate qui sotto, ndr) ne riassume la filosofia.
Il Sud è per cominciare un luogo complicato. Di Mezzogiorni ce ne sono tanti. Vi sono aree in condizioni più favorevoli di altre. Punto di partenza di una nuova politica meridionale è pertanto prendere atto di codesta diversità, onde prevedere interventi ben temperati. Che comunque andranno effettuati a tutto campo: in favore dell’occupazione, a tutela del territorio e dell’ambiente, per colmare il ritardo di infrastrutture, per promuovere rinnovate forme di socialità. Combattendo soprattutto il più terribile dei rischi che insidia la società meridionale, più pericoloso della disattenzione del Nord: il rischio della rassegnazione. Testimoniato fra l’altro dall’impressionante emigrazione intellettuale in uscita dal Sud.
1. Nei prossimi mesi l’Italia si gioca molto del suo futuro. Non si tratta di tornare al passato, ma di ricostruire un paese migliore; bisognerà andare più veloci, e contemporaneamente ridurre fratture e disuguaglianze che tenderanno ad aumentare. La priorità dovrà essere creare lavoro: impossibile mantenere la coesione con 5 milioni di disoccupati e con sole misure emergenziali.
2. Il Sud deve e può offrire un contributo fondamentale a questa ricostruzione; deve essere messo in grado di poterlo fornire, a vantaggio dell’intero paese.
3. Il Piano di Rilancio è una grande occasione. Per questo serve un disegno. Non liste di progetti e interventi senza una visione comune che li leghi, senza che si rafforzino a vicenda. Anche perché non mancheranno conflitti per la gestione delle risorse, richieste di inserire mille provvedimenti specifici, pressioni degli interessi meglio organizzati.
4. Un disegno che non può restare un programma di sola emergenza: deve aprire la strada ad un’Italia più competitiva e più sostenibile. È cruciale ottenere velocemente risultati ma cominciando a costruire un modello di sviluppo di lungo periodo più sostenibile. Serve una forte coerenza fra obiettivi congiunturali e strutturali, fra le iniziative del Piano di Rilancio e le politiche ordinarie, di spesa in conto capitale e corrente.
5. Un disegno che deve essere unitario. L’Italia non è un treno con improbabili locomotive. È come una squadra di ciclisti: per vincere ognuno deve dare il suo contributo, nessuno deve restare indietro. Come nella logica europea alla base della “Next Generation Initiative”, si cresce se l’avanzamento di ognuno aiuta gli altri, grazie alle interdipendenze economiche.
6. Un disegno unitario e attento a tutti i luoghi: le politiche devono essere le stesse, ma la loro intensità, la loro attuazione deve tenere conto delle diverse realtà. Tutti i territori devono contribuire al rilancio; ma perché questo accada devono essere messi in grado di farlo, investendo sulle loro capacità, creando nuove opportunità.
7. Il Sud deve avere un ruolo molto importante nel Piano di Rilancio, coerentemente con gli scenari del Piano Sud 2030. Non solo per motivi di equità, ma anche perché è la riserva di crescita dell’Italia, perché dispone delle maggiori quantità di risorse inutilizzate, in particolare umane; che oggi non producono valore per la comunità nazionale.
8. Per questo sono necessari prerequisiti finanziari: l’allocazione quantomeno con il rispetto della clausola del 34% di tutti i fondi della “Next Generation”. Ma anche con l’attivazione coerente di risorse già destinate al Sud: una quota significativa dei prossimi fondi strutturali e del Fondo Sviluppo e Coesione deve essere indirizzata a finanziare ulteriormente il Piano di Rilancio, per accrescerne ancor più l’impatto nelle regioni più deboli e per estenderne gli interventi per l’intero decennio.
Ma questo non basta, senza una proposta sul che fare e sul come farlo
9. Al Sud e all’Italia servono tanti interventi. I programmi per la Digitalizzazione, l’Alta Velocità ferroviaria, il rilancio di Impresa 4.0, sono buoni punti di partenza in diversi ambiti. Ma se si prova a fare tutto subito si ottiene poco. Solo stabilendo priorità si possono produrre presto risultati tangibili, comunicare al paese e ai partner europei obiettivi concreti; mostrare risultati raggiunti; e quindi creare fiducia. Per questo, proponiamo che il Piano di Rilancio si concentri su 5 grandi assi.
1° Asse. Investire nel sociale. Per costruire progressivamente le reti pubbliche dei servizi socio- sanitari territoriali, anche con un ruolo centrale del Terzo settore. Per prevenire futuri rischi sanitari e sociali, specie per i più deboli. Per puntare così ad un’Italia più giusta, nella quale siano riconosciuti a tutti i diritti di cittadinanza. Per creare occasioni per nuove occupazioni qualificate, soprattutto per i giovani e le donne. La coesione sociale è la prima pre-condizione indispensabile per lo sviluppo, soprattutto al Sud.
2° Asse. Investire nell’istruzione pubblica. Per accrescere quantità e qualità degli apprendimenti, lungo tutta la filiera scolastica e in tutti i territori: dai servizi per l’infanzia al recupero dei vuoti didattici e di socialità causato dal Covid e dagli abbandoni. Con investimenti strutturali nelle scuole, e la promozione di “comunità educanti” animate da istituzioni scolastiche e soggetti del privato sociale. Nell’università, per aumentare le immatricolazioni con meno tasse e più diritto allo studio, e dare prospettive a più giovani ricercatori e docenti. Il sapere è l’ingrediente più importante per ricostruire l’Italia, soprattutto al Sud.
3° Asse. Investire sulla mobilità. Servono “grandi opere”, con effetti lontani nel tempo, ma anche e soprattutto un piano di interventi fisici puntuali di ricucitura ed efficientamento delle reti e contemporaneamente l’attivazione di servizi, anche nuovi, di trasporto urbano e di corto e medio-lungo raggio. Per accrescere le “capacità” delle periferie, rivitalizzare il terziario nei centri storici, aumentare l’integrazione fra le economie urbane e i territori circostanti. Riconnettere l’Italia e in particolare il Sud e tutte le aree marginalizzate è una precondizione per lo sviluppo dell’intero paese.
4° Asse. Investire sui luoghi. Dedicare risorse alla valorizzazione della varietà territoriale e ambientale dell’Italia: sostenere le produzioni tipiche, la qualità e biodiversità agricola, i beni culturali, un turismo più sostenibile, la produzione diffusa di energia da fonti rinnovabili, la prevenzione e tutela del suolo, soprattutto sull’Appennino; la rigenerazione dei patrimoni immobiliari anche per accrescere l’offerta di abitazioni per le famiglie a basso reddito ? le forme di auto-organizzazione sociale locale. La ricostruzione è più forte con il contributo di tutti i luoghi, in tutto il paese.
5° Asse. Investire sulla qualità delle imprese. Rafforzare il tessuto di imprese industriali e terziarie in tutta Italia, favorendone la crescita dimensionale, una forte innovazione anche a matrice digitale, le convenienze a occupare di più (anche riducendo gli oneri contributivi sul lavoro e favorendo stabilmente le assunzioni di personale più qualificato, specie al Sud), investendo sui propri dipendenti. A stabilire legami con altre imprese e con una rete nazionale per la diffusione delle innovazioni. Il lavoro si crea con la qualità e i diritti.
Ma che cosa fare ancora non basta, senza una proposta sul come farlo
10. Per come l’Italia è organizzata oggi difficilmente può realizzare un Piano di Rilancio presto e bene. L’esperienza dei programmi dei fondi strutturali è chiara: pletoricità degli obiettivi, frammentazione degli interventi, procedure complesse, lentezza nelle realizzazioni, scarso coordinamento fra gli interventi straordinari e ordinari. Non basta distribuire risorse, in particolare alle Regioni, sperando che questa volta le cose vadano meglio.
11. È un problema di governance. Occorrono scelte chiare e precise, sugli obiettivi e sulla “missione” del Piano. Ed è indispensabile rafforzare un governo centrale della sua attuazione: l’interfaccia con l’UE, le Regioni e le autonomie locali, con il Parlamento; anche potenziando le attuali strutture di coordinamento (come le Conferenze), con le rappresentanze delle forze sociali e del privato sociale. Passando dalla logica della mera distribuzione di risorse ai singoli attori e livelli istituzionali ad un processo in cui ciascuno ha obiettivi e tempi chiari.
12. Per attuare il Piano deve esse definito un insieme di modalità di intervento e di tipologie di progetti validi in tutto il paese, chiunque le realizzi; in ciascun territorio si tratterà di definire il loro mix ottimale, e di accompagnarne l’effettiva attuazione: non di ridisegnare ogni volta misure e procedure. Sono cruciali interventi per la semplificazione delle norme e degli iter procedurali, per ottenere sostanziali accorciamenti dei cicli dei progetti, e una velocità di spesa molto maggiore.
13. Le Amministrazioni Comunali dovranno avere un ruolo centrale nella realizzazione di molti degli interventi. Per questo, devono essere rapidamente potenziate le loro dotazioni di personale qualificato e ripensate le loro modalità organizzative, anche con un uso molto più intenso delle tecnologie digitali. Un ruolo centrale dei Comuni, delle unioni di Comuni e dell’Anci nella ricostruzione è fondamentale.
14. Alle imprese a partecipazione pubblica nell’ambito del Piano di Rilancio dovrebbero essere affidate importanti, specifiche “missioni” (per la mobilità, per i servizi digitali, per la transizione energetica), nel rispetto dell’autonomia manageriale e dell’economicità della loro azione.
Pierfrancesco Asso, Università di Palermo
Laura Azzolina, Università di Palermo
Piero Bevilacqua, storico
Luca Bianchi, economista
Carlo Borgomeo, Fondazione con il Sud
Luciano Brancaccio, Università Federico II Napoli
Luigi Burroni, Università di Firenze
Domenico Cersosimo, Università della Calabria
Leandra D’Antone, storica
Paola De Vivo, Università Federico II Napoli
Carmine Donzelli, editore
Maurizio Franzini, Università La Sapienza Roma
Lidia Greco, Università di Bari
Alessandro Laterza, editore
Giorgio Macciotta, politico
Flavia Martinelli, Università Mediterranea Reggio Calabria
Alfio Mastropaolo, Università di Torino
Vittorio Mete, Università di Firenze
Enrica Morlicchio, Università Federico II Napoli
Rosanna Nisticò, Università della Calabria
Emmanuele Pavolini, Università di Macerata
Guido Pellegrini, Università La Sapienza Roma
Francesco Prota, Università di Bari
Francesco Raniolo, Università della Calabria
Marco Rossi-Doria, maestro
Isaia Sales, Università S. Orsola Benincasa Napoli
Rocco Sciarrone, Università di Torino
Carlo Trigilia, Università di Firenze
Gianfranco Viesti, Università di Bari
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