Quando la gogna social è di sinistra

Chi vuole contrastare l'odio, online e offline, dovrebbe fare uno scatto di qualità: chiamare i politici alle loro responsabilità e chiedere investimenti massicci nell'educazione digitale

Rosita Rijtano

Rosita RijtanoRedattrice lavialibera

26 ottobre 2020

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"Come godo che avete tolto di mezzo quello scimpanzé, siete degli eroi". È quanto scritto da un certo Manlio Germano sul proprio profilo Facebook dopo la morte di Willy Monteiro Duarte, 21enne ucciso durante un pestaggio nella notte tra il 5 e il 6 settembre scorso. Un messaggio deprecabile che istiga all’odio, nessuno lo mette in dubbio. Ma deprecabili sono anche molte parole indirizzate all’autore del post, dopo che il suo nome è stato condiviso urbi et orbi da giornalisti e politici definiti (o auto-definitisi) di sinistra. Qualche esempio: "Animale", "Preferirei che sta’ merda prendesse le distanze dalla vita", "Dovete morire tutti". Non sono poi mancate le foto di Germano capovolte all’ingiù: un rimando a piazzale Loreto, dove venne appeso il cadavere di Benito Mussolini.

Peccato si sia infine scoperto che Manlio Germano, in realtà, non esiste. Si tratta di un’identità fittizia creata da uno studente universitario che si è divertito ad aprire un profilo falso, attribuendogli simpatie politiche di destra e dandogli il nome di un personaggio del film Caterina va in città di Paolo Virzì. Anche se il giovane ha usato degli strumenti per mascherare le proprie tracce lasciate online, la Polizia postale è riuscita a scoprirne il vero volto, dimostrando che anonimato in Rete e giustizia possono coesistere a dispetto di chi paventa il contrario. Ma non è questo il punto.

"Sarà stata la rabbia per come mi sento quando torno dai campi. Mi hanno rifiutato la pensione di invalidità anche se ho avuto tre interventi alla schiena. Ho lavorato prima nei tomaifici, poi nella cucina di un ristorante e adesso devo dare una mano in campagna, altrimenti non ce la facciamo" - l'autrice di alcuni insulti indirizzati a Laura Boldrini

Il punto è che ogni giorno vengono pubblicati sul web migliaia di commenti del genere e a volte gli autori non hanno contezza di ciò che scrivono. È il caso di una sessantenne che nel 2016 finì nell’occhio del ciclone per aver insultato e minacciato Laura Boldrini. Interrogata da Repubblica sulle ragioni del gesto, la signora rispose: "Non lo so, sarà stata la rabbia per come mi sento quando torno dai campi. Mi hanno rifiutato la pensione di invalidità anche se ho avuto tre interventi alla schiena. Ho lavorato prima nei tomaifici, poi nella cucina di un ristorante e adesso devo dare una mano in campagna, altrimenti non ce la facciamo". Fu la stessa ex presidente della Camera ad avere la brillante idea di rendere noto il nome della donna, insieme a quello di altri odiatori, per difendere le quote rosa "che abbandonano Facebook a causa delle violenze verbali". Come risultato, le scatenò contro una valanga di ingiurie.

Denunciare alle autorità si deve. Ma qual è il senso ultimo di mettere hater, più o meno consapevoli, alla berlina? Dice Arianna Ciccone, fondatrice di Valigia Blu: l’odio, online e offline, è un problema politico e culturale. Chi vuole contrastarlo dovrebbe fare uno scatto di qualità: chiamare i politici alle loro responsabilità e chiedere investimenti massicci nell’educazione, tanto per quel che riguarda l’empatia che il digitale. Altrimenti diventa solo gogna che chiama altra gogna, in un eterno ritorno dell’uguale. Solo che se la mano dietro la forca è di sinistra, accettarla diventa più doloroso.

Da lavialibera n°5 settembre/ottobre 2020

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