11 settembre 2020
A Lampedusa la cosiddetta emergenza immigrazione somiglia all’occhio di bue di un teatro. Illumina a giorno una porzione di palcoscenico ma fa precipitare nell’invisibilità tutto il resto. Oltre quel buio indotto, però, c'è un'altra isola, che fatica a guadagnare le prime pagine dei giornali. Un’isola che ha molto da raccontare e altrettanto da chiedere.
È la notte tra il 29 e il 30 agosto, nel centro di Lampedusa si consuma la routine del gelato o del drink. Pochi metri più là, invece, stipate dentro un barcone scrostato e precario, 367 persone fanno il loro ingresso nel molo commerciale. I volti, tirati e spauriti, sono illuminati dalla luce dei fari della Guardia costiera. Ci sono uomini, donne e tre bambini piccolissimi. Vengono dalla Libia, hanno affrontato almeno due giorni di viaggio in mare, e molti di loro portano la firma dei lager, come rilevato da Medici senza frontiere.
"Da anni non si vedeva una cosa del genere", sussurra Claudia Vitali, rappresentante a Lampedusa di Mediterranean hope, progetto della Federazione Chiese evangeliche in Italia che monitora gli sbarchi. Di arrivi ne ha visti decine, ma questo è diverso.
L'emergenza migranti a Lampedusa è un faro artificiale che alimenta meteore mediatiche e carriere personali, ma che bisognerebbe riuscire a spegnere per guardare l’isola con la luce naturale
Quando la nave tocca la banchina, poco prima di mezzanotte, ad attenderla ci sono solo forze dell’ordine, soccorritori e volontari. Ma dopo qualche minuto cominciano a formarsi capannelli di curiosi e contestatori. Arrivano anche i giornalisti e il molo si divide in due. Dentro i naufraghi sono seduti a terra, con le mascherine alzate sul viso, in attesa di una prima visita, per poi salire sui furgoni che li porteranno verso l’hotspot. Fuori due esponenti locali della Lega monopolizzano le telecamere: urlano slogan, espongono striscioni, si sdraiano a terra, minacciando di non lasciare uscire nessuno (e ci riusciranno fino alle quattro di mattina). Dentro un ragazzo domanda a bassa voce e in inglese “Come si chiama questo posto?”. Fuori qualcuno grida "Lampedusa dice basta". Dentro c’è penombra e i volontari che distribuiscono l’acqua rischiano di inciampare sulle mani e sui piedi dei migranti. Fuori c’è una luce da studio televisivo. Eccola l’emergenza migranti di Lampedusa: un faro artificiale che alimenta meteore mediatiche e carriere personali, ma che bisognerebbe riuscire a spegnere per guardare l’isola con la luce naturale. Così è possibile vedere i problemi che fanno arrabbiare i lampedusani.
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"Lampedusa è l’isola delle contraddizioni. Puoi dire tutto e il contrario di tutto”. Nino Taranto, responsabile dell’Archivio storico di Lampedusa, scandisce la sua sentenza mentre estrae dai cassetti della scrivania un plico di articoli di giornale plastificati. Titoli con termini da apocalisse: collasso, emergenza, fuga di turisti. Sono pezzi datati ma sembrano di oggi. “L’isola è descritta come allo stremo, ma non è così. L’hotspot è al collasso, non Lampedusa. In realtà, l’immigrazione non interferisce con il turismo, perché a Lampedusa i migranti sono di passaggio, non c’è integrazione". C’è un’isola reale, quindi, e ce n’è una mediatica. Ed è la narrazione, più che la realtà, a creare danni. “A Lampedusa c’è paura di perdere il turismo”, prosegue Nino, “per colpa dell’immigrazione, di come la raccontano i giornali, ci sono state disdette anche quest’anno”.
"In realtà, l’immigrazione non interferisce con il turismo, perché a Lampedusa i migranti sono di passaggio, non c’è integrazione" Nino Taranto - responsabile Archivio storico di Lampedusa
Contraddittoria è un aggettivo che ritorna spesso sull'isola. E dopo qualche giorno passato a girarla e a sentirla raccontare se ne capisce il perché. Lampedusa è un piccolo gioiello naturalistico e ambientale, un ponte tra Europa e Africa che custodisce specie vegetali e animali rare. Quaranta chilometri di coste, con cale incontaminate dove nidificano le tartarughe Caretta Caretta. Un luogo che dal 1995 costituisce il cuore della Riserva naturale orientata, affidata alla gestione di Legambiente. Dal 2005, inoltre, l’intera isola è Zona a protezione Speciale (Zps) e per oltre 2/3 il suo territorio è classificato come Sito d’importanza comunitaria. Infine, un ampio tratto di mare che circonda Lampedusa fa parte dell’Area marina protetta Isole Pelagie, istituita nel 2002.
Riconoscimenti e protezioni che, però, non hanno messo al riparo l’isola da una pericolosa deriva ambientale. Per iniziare, il depuratore è sottodimensionato, con lavori per l’ampliamento che si trascinano da molti anni. Gli scarichi di case e attività produttive finiscono direttamente nel Mediterraneo e ancora più evidente è l’incuria nella gestione dei rifiuti, soprattutto se ci si allontana dalle zone più turistiche. Nel 2018, il progetto Lampedusa resiste, realizzato dal collettivo locale Askavusa, dal Forum Lampedusa solidale e dalle Brigate di solidarietà attiva, ha mappato le discariche abusive presenti sull’isola. I volontari hanno contato 47 micro-discariche e 26 punti in cui è presente l’amianto. A quasi due anni di distanza, sono ancora tutte lì.
Non va meglio con la gestione legale dei rifiuti. Il centro di raccolta, nascosto nella parte interna dell’isola, è in uno stato di degrado e viene spesso incendiato, mentre i lavoratori delle aziende private che si occupano della nettezza urbana sono impegnati, ormai da anni, in un braccio di ferro per ottenere il regolare pagamento degli stipendi, che viaggiano con ritardi fino a sei mesi. Una lotta che porta a scioperi frequenti e ha conosciuto fasi molto aspre. Il risultato è che, ciclicamente, le strade di Lampedusa si riempiono di "munnizza" (immondizia nel dialetto siciliano, ndr) non raccolta. Quando tira il maestrale, si sparge ovunque.
L’inquinamento che si vede e si tocca non è però l’unica minaccia che incombe sulla salute e sulla qualità della vita dei lampedusani. Da alcuni anni, anche grazie all’impegno del Comitato di salute pubblica, è esploso il tema dell’inquinamento elettromagnetico, imputabile soprattutto a radar, antenne e altri dispositivi militari presenti in modo massiccio sul territorio. Il Comitato chiede la realizzazione di un’indagine epidemiologica per capire se esiste una correlazione tra queste onde e l’elevata incidenza di tumori maschili sull’isola, rilevata dai dati dell’Atlante sanitario già a partire dal 2013. Il comune di Lampedusa e Linosa, per questo tipo di patologie, presenta il tasso di mortalità più alto di tutta la Sicilia: più 20 per cento rispetto alla media.
A fronte di una superficie di appena 20 chilometri quadrati, infatti, Lampedusa ospita le caserme di Aeronautica militare (2), Guardia di finanza (2), Guardia costiera e Carabinieri. Per completare il quadro della militarizzazione dell’isola, poi, bisogna aggiungere la presenza di Frontex, dell’Esercito Italiano con l’operazione “Strade sicure”, della Polizia e dei Cavalieri di Malta. La zona a ponente dell’isola è ormai praticamente inaccessibile e ben tre bracci del porto sono a uso esclusivo dei militari. Il sole tramonta dietro filari di filo spinato e anche gli equilibri economici dell'isola ne sono inevitabilmente pervasi. Ne è un esempio la dipendenza delle strutture ricettive dai rimborsi dei ministeri per i servizi di ospitalità e ristoro, specie durante i lunghi mesi invernali.
Viaggio nell'Europa dei muri che teme le migrazioni
“A Lampedusa non si può partorire da decenni”, dice Daniele, neopapà di 34 anni. “L’ultima generazione a nascere qui è stata quella di mia madre; all’epoca però si nasceva in casa, assistiti dalle levatrici”. Oggi, invece, si vola via. Daniele e Joiccy, la sua compagna brasiliana, per avere un supporto, hanno scelto Anzio, dove vive la sorella di lui. “Joiccy è andata via a maggio, prima che iniziasse l’ultimo mese di gravidanza. Io l’ho accompagnata e poi sono rientrato, non potevo lasciare il mio autonoleggio in un periodo in cui i turisti cominciavano ad arrivare. Purtroppo, mi sono pure perso il giorno del parto, perché Lavinia ha deciso di anticipare”.
Il tutto non è indolore, né per il cuore né per il portafogli. Per il viaggio, a coppia, non si spendono meno di 300 euro. Poi c'è la casa da affittare. “Ho dovuto pagare un anno intero di affitto, perché non la davano via per un solo mese”. Spese finite? No, perché alcune visite, durante la gestazione, vanno fatte a Palermo o ad Agrigento. E altri due viaggi, Daniele e Joiccy li hanno fatti sempre ad Anzio, per conoscere il ginecologo che sarebbe stato presente al parto.
Oltre che nascere, però, a Lampedusa è complicato anche curarsi. L’ospedale non c’è, rimpiazzato da un ambulatorio, con una quindicina di specialisti che ruotano e quattro infermieri. Un semplice presidio, che ha in dotazione cinque medici e un infermiere, è subentrato al Pronto soccorso. Poi ci sono la Guardia turistica, riservata ai “forestieri”, e la Guardia medica, che assicura la continuità assistenziale quando mancano i medici di base (che in tutta l’isola sono 3, per 6000 abitanti).
“La verità è che il poliambulatorio è nato per speculare”. Giovanni, infermiere palermitano da cinque anni a Lampedusa, non usa mezzi termini. E giù ad elencare i disservizi accumulati negli anni, dalla macchina per i test di reazione che scompare alla presenza dell’angiologo che viene diradata, da una volta a settimana a una ogni quindici giorni. Tutti vuoti che sono stati poi riempiti dai privati, che ci guadagnano. “Anche il centro dialisi doveva essere pubblico, invece è privato, così come l’unico laboratorio di analisi”, incalza Giovanni. Lampedusa ha bisogno di un ospedale, che tutti promettono e nessuno realizza. Quindi si continua a volare con l’elisoccorso ad Agrigento oppure a Palermo, anche per una colica renale o un’appendicite. C’è poi la questione 118, che a Lampedusa, area qualificata come disagiatissima, dovrebbe esserci. E invece non c’è. Al suo posto, una sola ambulanza di trasporto, con cinque autisti e un medico di guardia. “Un servizio gestito attraverso associazioni di volontariato con autisti che fino a poco tempo fa non avevano neanche un contratto. Lo hanno ottenuto solo dopo una lettera di protesta”.
“Qui ci sono famiglie intere infossate con la cocaina o che prendono ansiolitici, e neanche uno psicologo che possa essere di supportoGiovanni - infermiere
Bastano condizioni meteo avverse e Lampedusa si ritrova senza farmaci oppure con le visite specialistiche che saltano e le liste di attesa che si allungano. “Qui ci sono famiglie intere infossate con la cocaina o che prendono ansiolitici, e neanche uno psicologo che possa essere di supporto”, conclude Giovanni.
Lo Stato sembra davvero una presenza impalpabile e il welfare un bene di lusso. Eppure, sull’isola i soldi non mancano, almeno da 30 anni. Nel 1986, l'attacco missilistico di Gheddafi contro Lampedusa, tra gli ultimi misteri della Prima Repubblica, catapultarono l'isola sulle prima pagine di tutto il mondo. Fu l’inizio del boom economico, un’escalation turistica che continua ancora oggi e che, secondo molti, sta cambiando il volto e l’anima dell’isola. “Prima i turisti a Lampedusa erano cinque-seicento”, racconta Nino Taranto. “Si fermavano anche tutta la stagione, e c’erano molti tedeschi e francesi. Poi si è arrivati anche a punte di quarantamila presenze in contemporanea e tutti si sono messi a lavorare con i turisti: ristoranti, B&B, appartamentini. Ci sarebbero mille cose da poter fare, ma tutti si affollano sulle stesse.”
“Solo alberghi e ristoranti, non si investe su altro”, sottolinea Francesco Solina, direttore dell’hotel Vega, nella centrale via Roma. “ma a Lampedusa la fanno facile: mancano le professionalità, non siamo in grado di erogare i giusti servizi ai turisti”.
Quantità, però, non significa qualità. E in nome del turismo di massa, l’isola si consuma. Fisicamente, perché l’eccessivo via vai mette sotto stress un territorio in prevalenza calcareo, quindi già fragile e soggetto a dissesto idrogeologico. Socialmente, perché l’impennata di questo nuovo benessere frenetico ha sfilacciato la coesione popolare, che poggiava sui ritmi e valori di un'isola di pescatori.
Qualcosa, però, si muove. Anna Sardone, insegnante di scuola media e volontaria della biblioteca di Lampedusa, vede segni di speranza nelle nuove generazioni. “Qui bisogna lavorare e insistere con i ragazzi”, afferma, “perché l’adulto ormai è perso”. È con questo spirito che è nata e opera la biblioteca, unica di un’isola dove non c’è una libreria e dove la quasi totalità delle attività ricreative, sportive e culturali è a pagamento.
La struttura è comunale ma si regge sui volontari che la tengono aperta due pomeriggi a settimana: una decina di adulti e tutti i bambini che la frequentano. “I ragazzi sanno fare tutto: le tessere, i prestiti, l’organizzazione delle letture”. Coinvolgere i più piccoli, poi, significa portarsi dietro i genitori, in un circolo virtuoso che si spera sempre più ampio. Il progetto iniziale, della associazione Ibby, prevedeva la realizzazione di uno spazio pensato per i bambini migranti. I minori, però, normalmente restano nell’hotspot pochissimi giorni. Meglio, quindi, una biblioteca capace di abbracciare tutta l’utenza in età scolastica: residenti, turisti e migranti. E in grado anche di lavorare proprio a stretto contatto con la scuola.
A Lampedusa esiste solo l’Istituto onnicomprensivo “Luigi Pirandello”, che conta circa mille alunni, distribuiti dalla scuola dell’infanzia fino alle superiori. Dopo la scuola media si può scegliere tra tre indirizzi: liceo scientifico (fino a qualche anno fa l’unica opzione), istituto alberghiero e istituto tecnico per il turismo. Si è scelto di allargare l’offerta anche per arginare l’abbandono scolastico, che sull’isola è presente pur non avendo dimensioni gravi. “Se io con la quinta elementare ho fatto i soldi, a che serve studiare?”, è una frase che Anna ha sentito ripetere spesso e che sintetizza un sentimento diffuso.
Ma qualcuno prova a invertire la rotta. I lampedusani lo fecero già nel 1964: all'epoca quasi tutte le strade erano in terra battuta; l’acqua potabile arrivava con le navi cisterna; il presidio sanitario era affidato ad un’ostetrica, un medico sanitario e un medico condotto. Roma e il Parlamento si facevano vedere solo per confezionare promesse elettorali poi disattese. I lampedusani disertarono in massa le elezioni amministrative del 21 novembre 1964. Nella giovane Italia repubblicana non era mai successo. Il terremoto convinse il Ministro Taviani a raggiungere l’isola e sbloccò investimenti che ne mutarono il volto. Arrivarono le strade asfaltate, le fognature, la linea telefonica, la televisione, l’ospedale con pronto soccorso, due edifici scolastici, il dissalatore, l’aeroporto. Oggi come allora, lontano dai riflettori, c’è una Lampedusa che vuole ripartire.
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