19 luglio 2021
Dopo i fatidici primi cento giorni trascorsi nello Studio Ovale, il presidente Usa Joe Biden ha ricordato – nel suo discorso al Congresso del 28 aprile – le linee-guida della sua presidenza. Un cambio di marcia radicale rispetto al predecessore Donald Trump, l’enfasi nell’affrontare le sfide interne (razzismo, infrastrutture e istruzione), il cambiamento climatico, la tassazione sui patrimoni milionari (aziende e singoli), l’apertura sull’immigrazione. Infine, ultima ma non per importanza, una politica estera radicalmente diversa.
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Iniziata con il rientro degli Usa negli accordi di Parigi sul clima e nell’Organizzazione mondiale della sanità, con un intenso lavoro diplomatico sotto traccia per riaprire il dialogo con l’Iran, con la diminuzione progressiva dell’impegno americano nelle zone calde (Medio oriente e Afghanistan in primis, compreso il ritiro dei soldati). Un disimpegno da quelle che il dipartimento di Stato ha catalogato alla voce «aree impantanate» per concentrarsi su quello che Biden ha identificato come il principale avversario di oggi, la Cina.
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