Manifestazione in ricordo della strage di Ponticelli del 1989, in cui morirono 4 innocenti. Credits: Ansa
Manifestazione in ricordo della strage di Ponticelli del 1989, in cui morirono 4 innocenti. Credits: Ansa

A Ponticelli la camorra uccide, lo Stato latita e i cittadini resistono

Nel napoletano è stato ucciso Carmine D'Onofrio, figlio di un boss. La guerra tra clan di camorra è emergenza nazionale, ma a Roma nessuno se ne accorge. A lottare restano solo le reti di quartiere

Mariano Di Palma

Mariano Di PalmaReferente Libera Campania

6 ottobre 2021

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Si uccide a Ponticelli, una guerra di camorra senza esclusione di colpi. Da anni il quartiere napoletano è teatro di una pericolosa recrudescenza criminale che nasconde affari, economie informali e relazioni criminali sempre più fitte. Uno scontro che vede contrapporsi i De Micco e l'altro clan egemone sul territorio: De Luca-Bossa. Una guerra che è emergenza nazionale, anche se a Roma nessuno se ne accorge, e a lottare contro la criminalità organizzata sono rimaste solo le reti di quartiere.

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La faida tra clan

Ucciso stanotte Carmine D’Onofrio, di 23 anni, è stato raggiunto da diversi colpi d’arma da fuoco mentre si trovava in via Luigi Crisconio. La vittima è il figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, fratello di Antonio, detto Tonino ‘o sicco: il fondatore dell’omonimo sodalizio criminale. Secondo gli inquirenti potrebbe essere la risposta alla bomba, esplosa alcuni giorni fa, in via Luigi Piscettaro, vicino all’abitazione del boss Marco De Micco. Un ordigno rudimentale è stato lanciato da un'auto in corsa, danneggiando i vetri di alcune case della zona. Le schegge hanno ferito una donna e suo figlio, causando per fortuna solo lievi escoriazioni. L'ordigno, secondo i primi accertamenti delle forze dell'ordine, era diretto a Marco De Micco detto “Bodo”, uno dei capi dell'omonimo clan scarcerato lo scorso marzo. È la quarta bomba fatta saltare in pochi mesi.

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Dietro la guerra, il controllo del narcotraffico e delle estorsioni 

Unica certezza: la faida di Ponticelli è una guerra che coinvolge tutta la città. I boss della zona hanno rapporti con i clan degli altri quartieri che hanno gli stessi affari, ma tra loro sono concorrenti. Al centro c'è il controllo del traffico di droga e delle estorsioni: si spara e si fanno esplodere gli ordigni per conquistare piazze di spaccio e aree commerciali per il racket. Attività che supportano la strategia più ampia adottata nell'ultimo decennio dalla criminalità organizzata campana.

La faida di Ponticelli è una guerra che coinvolge tutta la città e si interseca con una strategia criminale più ampia

I gruppi criminali, in alcuni quartieri, continuano a svolgere un’azione di controllo, presenza e vendita della droga, ma sono altri clan, più potenti e storicamente strutturati, che invece intessono relazioni con i network nazionali e internazionali delle mafie: per portare le droghe a Napoli, venderle agli altri gruppi criminali e reinvestire il contante in nuovi affari imprenditoriali e in attività corruttive. È la liquidità o la pulviscolarità delle camorre napoletane: senza un’unica regia, ma con tante, diverse e pericolose tattiche militari e commerciali; capaci di muoversi nell’economia informale per costruire nell’economia formale una propria presenza, infiltrata e devastante.

La resistenza del quartiere

Napoli però è una straordinaria risorsa di resistenza al potere criminale. Protagoniste e protagonisti sono soprattutto le donne e gli uomini dei quartieri popolari che all’organizzazione dell’economia informale, rispondono con le reti di quartiere, l’educativa territoriale, la presenza civile attraverso la mobilitazione, la denuncia, la costruzione di relazioni e modelli sociali alternativi. Un lavoro non semplice, ma resiliente: in un territorio spopolato dalla crisi del welfare e del lavoro, senza infrastruttura e un modello di sviluppo, i cittadini si organizzano costruendo nuove comunità. Dove rischia di chiudere la Whirpool, dove chiudono decine di imprese e dove la de-industrializzazione la fa da padrona, ci sono reti che iniziano a immaginare dal basso modi organizzarsi. Tra la povertà materiale e culturale, che permette il consenso e la crescita dei contesti criminali, c’è chi si autorganizza per scrivere una nuova storia.

I boss sono solo l’1 per cento della popolazione, il restante 99 cerca di organizzarsi in assenza dello Stato

È il caso del Comitato Disarmiamo Ponticelli e delle sue decine di reti sociali, culturali e civiche che denunciano e resistono al ricatto e alla violenza delle camorre nel quartiere. Un altro esempio è il Centro Ciro Colonna: uno spazio polifunzionale che mette al centro l’educativa di comunità come processo di rigenerazione, di lavoro costante coi bambini, dell’immaginazione di processi innovativi per dare occasioni, lavoro, possibilità ai genitori (spesso anche loro poco più che ragazzi) di queste bambine e bambini. A Ponticelli si spara, si intimidisce e continua una guerra sotterranea tra clan, ma bomba o non bomba – come cantava Antonello Venditti – c’è chi non rinuncia alla possibilità di cambiare il luogo che si ama e si abita, anche quando nessuno lo racconta, anche quando tutti fanno finta di non accorgersene. Ed è ossigeno contro gli stereotipi e le etichette messe sulle donne e gli uomini dei quartieri popolari. I boss sono solo l’1 per cento della popolazione, il restante 99 cerca di organizzarsi in assenza dello Stato.

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