Manifestazione contro la camorra a Ponticelli dopo gli attentati di fine maggio. Credits: Ansa
Manifestazione contro la camorra a Ponticelli dopo gli attentati di fine maggio. Credits: Ansa

Bombe a Ponticelli: storia di un'infinita faida di camorra

Nella periferia est di Napoli si è intensificato il conflitto tra famiglie criminali per gestire il traffico di droga. Nel mirino degli attentati il clan De Martino (in origine parte del gruppo De Micco) che controlla il rione Fiat

Luciano Brancaccio

Luciano BrancaccioProfessore di Sociologia politica Università Federico II di Napoli

9 giugno 2021

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Ancora una volta Napoli torna al centro dell’attenzione mediatica per la violenza organizzata nelle sue strade. Questa volta è la periferia Est a destare allarme (altre volte era stata la zona Nord di Scampia e Secondigliano). L’allarme riguarda una lunga sequenza di attentati e azioni dimostrative in un contesto di contrapposizione tra alcune famiglie di camorra radicate nei rioni di edilizia residenziale pubblica dei quartieri della zona. Già da diverso tempo si notava una intensificazione del conflitto per il controllo di territori e traffici. Nell’autunno scorso si sono registrati diversi agguati e stese (sparatorie a scopo di intimidazione condotte da gruppi di fuoco in sella a scooter in territorio avversario). In primavera la situazione è peggiorata.

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Ponticelli, la periferia est di Napoli senza lavoro

La periferia est di Napoli ha alti tassi di disoccupazione e servizi pubblici quasi assenti 

La periferia Est di Napoli è un’area vasta comprendente il quartiere costiero di San Giovanni a Teduccio e i due quartieri interni di Barra e Ponticelli, a delimitare un territorio compreso tra il porto e la cintura dei comuni vesuviani. Insieme questi tre quartieri contano oltre 110 mila abitanti, con un passato di vocazione industriale di tipo fordista che è ormai un lontano ricordo, tassi di disoccupazione massimi (37% contro il 28% della media cittadina al Censimento 2011), condizioni abitative problematiche: secondo l’Istat oltre il 45% degli edifici è in condizioni mediocri o pessime (da notare che 80 famiglie vivono ancora nelle baracche post terremoto 1980, i cosiddetti “bipiani di Ponticelli”). A questo si aggiungono servizi pubblici quasi assenti, una economia privata regolare già in recessione e ulteriormente depressa dalle conseguenze della pandemia.

(L'articolo prosegue sotto la cartina)

La cartina dei clan
La cartina dei clan

Nuove bombe, stessa faida

In questo quadro di difficoltà sociali, recenti e croniche, si collocano gli attentati dinamitardi dello scorso maggio tra gruppi di spacciatori che hanno richiamato l’attenzione dei media e le preoccupazioni di analisti e commentatori. Una scia di violenza che sembra ancora aperta. Diciamolo subito, si tratta di fibrillazioni tipiche della criminalità camorristica. Soprattutto di quella frazione che gestisce il traffico di stupefacenti e le piazze di spaccio nei quartieri della città e nelle periferie della vasta area metropolitana. Gli episodi di violenza di queste settimane non denotano un cambiamento di assetto complessivo degli equilibri mafiosi, come detto da più parti, ma un segno della conflittualità locale endemica, amplificata da fattori congiunturali, legata alla competizione per il controllo del territorio da parte di famiglie che occupano i ranghi medio-bassi nello scenario mafioso della regione.

Gli ultimi episodi di violenza non sono dovuti a un cambiamento degli equilibri mafiosi, ma il segno di una storica conflittualità

Una dinamica conflittuale che ritroviamo con simili caratteri in altre grandi aree metropolitane del mondo in cui il traffico di droga è gestito da gruppi stanziali, come per esempio accade nelle città messicane, in Colombia e in altre parti del Sud America o, per riferirci a paesi più ricchi, a Baltimora e a Detroit negli Stati Uniti. Ma analoghe situazioni, come è noto, sono diffuse anche altrove, in Asia e Africa. La condizione in cui ci troviamo è quindi assimilabile, fatte le dovute proporzioni, alla guerra costante, a bassa intensità ma con improvvise fiammate, che caratterizza l’operatività dell’arcipelago di gang sottoposte ai grandi cartelli di narcotrafficanti, che controllano porzioni di territorio (per lo spaccio, per le estorsioni e altri traffici di vario tipo) in molte delle grandi aree urbane del pianeta.

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Il rilievo sulla tipicità di questi scontri non deve indurre a sottovalutare il fenomeno nei nostri territori. Al contrario, mette in evidenza la cronicità della presenza mafiosa a Napoli e in altre aree del paese (non solo del Sud) e il suo carattere persistente, che ormai si può definire “ordinario”, con le conseguenze che è facile immaginare per la sicurezza dei cittadini, per uno sviluppo equilibrato delle attività economiche e per le condizioni di assoggettamento, di restrizione delle libertà e dei diritti sociali in cui sono costrette ampie fasce di popolazione. Fatte queste premesse, esponiamo prima gli accadimenti delle ultime settimane e poi proviamo a metterli in un quadro di comprensione più allargato che tenga conto delle tendenze attuali del mondo camorrista.

L'ascesa del clan De Martino, i boss di Ponticelli 

Gli attacchi sono rivolti principalmente contro il clan De Martino che controlla il rione Fiat, una porzione minuta di territorio sormontata da un viadotto su cui corre la statale 162 di collegamento tra la Tangenziale e i paesi vesuviani. Il clan De Martino è un gruppo di nuova generazione, costituito da giovani e giovanissimi, legato in modo complesso allo scenario criminale. In origine è parte del gruppo De Micco, che a sua volta si è formato dentro i ranghi del clan Sarno, storica famiglia che risale all’epoca del contrabbando di sigarette, egemone a Ponticelli tra gli anni 80 e 90 e attestata a Rione De Gasperi, uno dei grandi insediamenti di edilizia residenziale pubblica nati con la ricostruzione del dopoguerra. La matrice di questi raggruppamenti è legata ai Mazzarella, la più importante famiglia di camorra cittadina che controlla la fascia costiera e parte dei quartieri centrali della città, da circa trent’anni contrapposta – ma secondo un equilibrio che prevede anche convergenze – ai gruppi di Secondigliano.

Il clan De Martino è riuscito a imporsi anche grazie all'uso dei social: nei post le foto dei capi in vacanza, agghindati con i simboli del potere

La logica degli scontri a livello territoriale va letta in relazione agli equilibri criminali più generali, con pochi gradi di autonomia. La governance del sistema è definita dalla lunga storia dei traffici camorristici, dalle fasi scandite dall’ascesa dei mercati più remunerativi: il contrabbando di sigarette negli anni 70, il traffico internazionale e lo smercio sul territorio della droga a partire dagli anni 80 insieme alle inserzioni nell’economia legale (specialmente commercio, immobiliare, logistica, filiera edilizia). Uno dei fattori di tenuta del sistema è rappresentato dalle relazioni parentali, ampie famiglie intrecciate da rapporti matrimoniali sostengono l’élite criminale di un mondo complesso e stratificato, che mai nella sua storia è stato riducibile al dominio netto di una fazione sull’altra. Generazioni precedenti sono legate in questo modo a quelle successive, famiglie di tradizione criminale a gruppi emergenti.

Il feroce controllo dei territori, nei rioni di case popolari, nelle periferie della crescita urbanistica, è la funzione principe del sottobosco di questo mondo, fornisce la manovalanza di base, seleziona i gruppi più adatti. Il clan è il centro gravitazionale della disperazione giovanile, il punto di aggregazione delle psicologie distruttive, come argomenta di recente, sulla base di testimonianze dirette, il lavoro di Giovanni Starace. A questo livello, i ripetuti arresti, seguiti spesso dalla collaborazione dei componenti dei clan in disfacimento, intaccano gli equilibri criminali. Nello spazio che ne risulta si dipana l’ambizione dei nuovi arrivati. In questo scenario si colloca l’ascesa dei De Martino, che giungono a stabilire un accordo di pax mafiosa con la famiglia contrapposta dei De Luca Bossa (e altre famiglie alleate attestate in altri rioni della stessa area) legata a sua volta a Secondigliano.

In breve tempo il clan De Martino accresce il suo potere attirando nuove leve e facendo perno anche sulla comunicazione via social, uno degli elementi di novità delle ultime generazioni camorriste. I profili Facebook aperti denotano una espressività comunicativa funzionale a una strategia egemonica sui giovani sbandati e di affermazione intimidatoria nei confronti degli abitanti del quartiere. Sui social il clan figura con la sigla “XX”, un marchio pensato in relazione ai gusti di tendenza. Nei post ricorrono immagini dei capi in vacanza (tipiche le località di Sharm el Sheik, Mykonos, le Baleari) agghindati con i simboli del potere camorrista di basso rango (orologi vistosi, magliette griffate, l’immancabile look dei capelli rasati con barba lunga). Uno degli “influencer” del gruppo viene trucidato in un agguato nel marzo scorso, proprio nella strada del rione Fiat sottoposta al cavalcavia della statale 162. Ma l’offensiva per contenere l’avanzata del gruppo De Martino non si ferma. Il 9 maggio viene fatta esplodere un’auto modello “Smart”. Due giorni dopo dal solito viadotto viene lanciata una bomba che danneggia altre auto. Ancora 48 ore e un'altra esplosione distrugge l’auto di un parente di un esponente del clan.

C’è una relativa calma nei livelli superiori del sistema camorrista in questa fase, le grandi famiglie riciclano i patrimoni accumulati acquisendo le attività economiche legali colpite dalla pandemia. Nei ranghi inferiori la guerra non si ferma. Il giornalismo locale on line riporta nel dettaglio vicende, intrecci sentimentali, personaggi coinvolti. Non è solo morbosità, per gli abitanti del quartiere è importante conoscere gli equilibri, sapere edifici e rioni da evitare, guerre in corso da scansare nei propri spostamenti quotidiani. La convivenza in questi territori, in uno stato di soggiogamento oggettivo, ma non di rado sfidato dalla ricerca di una normalità civile, è ben descritto da recenti ricerche di Gabriella Gribaudi. Il tessuto criminale è solo una parte della socialità di queste aree residenziali, ma riesce a fare gerarchia nella occupazione dello spazio pubblico e mediatico. 

Dietro le faide di camorra, il controllo del territorio e del traffico di droga

Tirando le fila del discorso. La ragione sostanziale di questi conflitti risiede nei caratteri strutturali del mercato della droga: l’alta remuneratività e la bassa specializzazione di questo tipo di attività configurano un mercato aperto per chi abbia la capacità e la propensione all’utilizzo sistematico della violenza. Il traffico internazionale e lo spaccio locale di droga richiedono una organizzazione strutturata militarmente, funzionale alla crescita economica delle attività.

Per gestire il mercato locale della droga serve una struttura militare: la concorrenza è regolata attraverso la ridefinizione dei rapporti di forza

Più di altre attività mafiose, nel mercato locale della droga la funzione di gestione coincide in gran parte con la struttura militare, di conseguenza la concorrenza è fisiologicamente regolata attraverso una continua ridefinizione dei rapporti di forza tra i diversi gruppi. Ridefinizione che ricade in larga parte sui terminali territoriali con grave pericolo per l’incolumità pubblica. Se, infatti, nell’élite criminale del traffico internazionale gli accordi sono più stabili e definiti dagli equilibri oligopolistici dei grandi cartelli, nei ranghi inferiori dei territori, laddove il potere mafioso diventa sopraffazione quotidiana anche sulla popolazione civile, la preponderanza dell’offerta di manodopera e famiglie di mestiere, in particolar modo nelle aree povere e a bassa regolazione istituzionale, esaspera le tensioni.

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Per queste ragioni gli assetti mafiosi dei territori sono spesso soggetti a rotture degli equilibri, conflitti, scissioni, nuove aggregazioni e alleanze in un orizzonte segnato da una condizione di guerra permanente. Una mobilitazione continua a difesa degli ambiti di competenza o per la conquista di spazi da parte di giovani gruppi che alimenta costantemente il tessuto criminale di nuove leve. 

Questo ricambio criminale, che con il suo portato di violenza si mostra nel suo aspetto più pericoloso e triviale, è facilmente riscontrabile nelle relazioni semestrali presentate dalla Direzione investigativa antimafia (Dia) al Parlamento, che rendono conto della situazione dei territori così come emerge dall’attività puntuale di investigazione condotta dagli uffici decentrati. Spulciandole, è possibile verificare l’alto numero di nuove famiglie che di volta in volta vengono censite nello spazio liminale della mafiosità. Da questo punto di vista la gestione delle piazze di spaccio sul territorio, nelle aree depresse dal punto di vista economico e sociale, può essere considerato un ambito di selezione darwiniana delle famiglie che aspirano all’ascesa nei ranghi del crimine organizzato e mafioso.

Un varco di accesso tragico quanto illusorio, dipendente dagli equilibri che in larga parte si decidono nelle sfere superiori del sistema mafioso. La stessa espressività ridondante di questi giovani, che affolla la comunicazione via social, reca in sé il carattere tragico dell’effimera affermazione. Un esercito di riserva che desidera farsi largo coi rapidi guadagni consentiti dalla trasformazione dello spazio urbano in industria dello spaccio. E che d’altronde non trova ragioni di un diverso investimento esistenziale a causa dell’imbarbarimento generale del contesto. È a questo livello, sul contesto e con politiche intersettoriali, che occorre agire, ormai è chiaro a tutti.

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