(Gregory Smirnov - Unsplash)
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Camorra e Covid. Una fonte rivela: "Gli usurai hanno già preso alcune attività a sud di Napoli"

Una testimonianza diretta sulle strategie dei clan per allargare nell'emergenza la loro rete di relazioni. Più che vittime, cercano alleati e prestanome

Redazione <br> lavialibera

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15 maggio 2020

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Non solo pacchi alimentari, medicine e sigarette, ma soprattutto l’avvio di prestiti a usura per realtà della ristorazione, del commercio e del turismo. In un grande comune della Provincia di Napoli,  a sud del capoluogo, alcune famiglie di camorra stanno approfittando della pandemia da coronavirus per allargare e infittire la rete dei loro affari e dei loro “clienti”. Lo racconta a lavialibera una fonte che già in passato ha collaborato con la giustizia facendo arrestare personaggi legati alla camorra napoletana nella penisola sorrentina e che è stata testimone diretta di alcuni fatti.

“Gli aiuti alle famiglie, alimentari e di altro genere, non sono una novità. Nel comune c’è una grossa piazza di spaccio e lì, tra gli abitanti del quartiere, c’è chi fa la vedetta, chi custodisce, chi smista, chi vende, insomma sono quasi tutti coinvolti e il silenzio viene pagato, adesso come prima di Covid. La pandemia ha però fornito nuove opportunità, permettendo a certe famiglie di sconfinare dalle zone in cui operano solitamente, per rivolgersi ad altri quartieri e persino ai comuni limitrofi”.

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Le famiglie di camorra hanno saputo sfruttare il lockdown e l’emergenza giocando la loro partita su più fronti. Da una parte offrendo risposta ai bisogni più elementari di cibo e beni di prima necessità. Dall’altra, offrendo denaro alle realtà in crisi, in alcuni casi anche solleticando il desiderio di risorse finanziare immediatamente disponibili, utili a mantenere alto il proprio tenore di vita e a ripartire con  qualche vantaggio sulla concorrenza.

Il primo step: la spesa

Tutto è iniziato con la distribuzione di pacchi alimentari, nel periodo della quarantena, quando in molti  si sono trovati dall’oggi al domani senza reddito né aiuti. “Tramite alcune dirette sui social e il porta a porta dei ragazzi queste famiglie hanno distribuito interi garage di generi alimentari. Migliaia di pacchi che le persone hanno cercato e accettato, sapendo bene chi li stava distribuendo”. Apparentemente un’iniziativa benefica, applaudita e accolta anche a causa dei ritardi degli aiuti statali. “I buoni del governo sono stati stanziati più di un mese fa, ma per gran parte del tempo non sono arrivati. Oggi è disponibile qualche aiuto in più, ma questi soggetti hanno avuto tempo per fare passare il messaggio che lo ‘Stato chiacchiera mentre noi interveniamo subito’”.

L’operazione aveva però un doppiofondo. I ragazzi che distribuivano i pacchi nelle case sono messaggeri chiari e ripetitivi: “Signora, se ha bisogno di altro o conosce qualcuno che ha bisogno, ma si vergogna a chiedere, dite di venire lì e di fare il nome di tizio”. Secondo la fonte, un messaggio rivolto non tanto a chi si trova in condizioni di povertà, quanto piuttosto a imprenditori invitati a percorrere questa via per resistere alla crisi, magari con la convinzione di riuscire a governare il rapporto con l’usuraio.

Il secondo step: i prestiti

“Le persone che andavano nel posto indicato, dove distribuivano anche i pacchi, – e che poi è stato chiuso – sapevano che lì avrebbero potuto ricevere prestiti a usura.  Funziona così, loro buttano l’amo. Creano le condizioni perché siano i 'clienti' ad andare a cercarli”.  È una dinamica particolare, quella dell’usura, che prevede un rapporto di fiducia con le vittime. L’usuraio accorda un “servizio” e questa sua disponibilità gli conferisce potere e consenso.

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Il testimone racconta di importanti ristoranti, alberghi anche a quattro stelle che hanno stipulato accordi, quando ancora avevano le serrande abbassate per il lockdown, di fatto ipotecando già parte delle loro proprietà. “Con quest’operazione, le famiglie hanno ricreato quella via di mezzo di persone che non fanno parte dell’organizzazione ma la coprono, per varie ragioni. Una via di mezzo che si era assottigliata negli ultimi anni, ma che a causa della pandemia è tornata a crescere”. L’enorme liquidità a disposizione dei clan e la crisi economica e sociale hanno permesso l’espansione di quell’area “grigia” di complicità e scambi che favorisce il riciclaggio e la sopravvivenza dei gruppi criminali.

“Raccogliendo il bisogno del ceto medio, di persone pulite, si sono creati un giro di prestanome che possono anche usare in futuro”, conclude la fonte, che però esclude un completo ritorno al passato: “Ho notato anche qualcosa di buono: alcune persone che conosco, stagionali o che lavorano in nero e che oggi si trovano in una situazione veramente critica, dicono, ‘anche se faccio la fame non mi rivolgerò mai a queste persone’”. Una resistenza che di questi tempi andrebbe in ogni modo supportata.

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