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14 luglio 2025
A Milano, nell’aula bunker del carcere di Opera, sono in corso le udienze preliminari del processo Hydra. È un processo importante, nato dall’inchiesta condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Milano sulla presunta alleanza delle tre mafie – Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta – in Lombardia. Il quadro è innovativo. Secondo i sostituti procuratori Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane – che hanno chiesto il processo per 143 persone – tra Milano e Varese c’era “una imponente e capillarmente strutturata associazione mafiosa (...) costituita da appartenenti alle tre diverse organizzazioni di stampo mafioso cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra, avente struttura confederativa orizzontale, nell’ambito della quale i vertici di ciascuna delle tre componenti mafiose operano sullo stesso livello, contribuendo alla realizzazione di un sistema mafioso lombardo”.
Tra tutti gli indagati, circa quaranta hanno richiesto al giudice per l’udienza preliminare (gup) Emanuele Mancini di accedere ai riti alternativi (come il patteggiamento o l’abbreviato, che permette lo sconto della pena per un terzo). Lo scorso 18 giugno il gup ha accettato la costituzione come parte civile nel processo di alcuni enti locali (il Comune di Milano, di Varese e di Legnano, la Regione Lombardia, la Città metropolitana di Milano), di Libera e di WikiMafia, ma anche del giornalista di Report Giorgio Mottola, minacciato da uno dei principali indagati, e dalla Rai, che potranno chiedere un risarcimento. Il cronista di Report e un altro privato cittadino sono le uniche due persone delle 13 individuate come persone offese, destinatarie di minacce e aggressioni, che hanno deciso di schierarsi nel processo.
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In questo nuovo sodalizio, i presunti appartenenti alle tre storiche organizzazioni mafiose italiane non erano in rivalità tra di loro, ma alleati, con una “struttura confederativa orizzontale”, con i vertici posti “allo stesso livello”, come sostengono i pm. A farne parte sono – sempre secondo le ipotesi investigative – uomini legati a Cosa nostra, come la famiglia Fidanzati, originaria di Palermo ma da decenni stabilmente insediata a Milano; uomini della famiglia Rinzivillo, basati a Busto Arsizio e dintorni; del gruppo Maffei, originari di Catania; e mafiosi trapanesi, collegati al mandamento di Castelvetrano (guidato da Matteo Messina Denaro). Tra questi ultimi spicca il nome di Paolo Aurelio Errante Parrino, condannato più volte per associazione mafiosa e cugino acquisito di Matteo Messina Denaro.
Ci sono poi uomini della ‘ndrangheta appartenenti alla locale di Legano-Lonate Pozzolo collegata alla locale di Cirò (Crotone), dominata dalla cosca Farao-Marincola; uomini della cosca Iamonte legata alla locale di Desio e collegata alla locale di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria) e un uomo – Antonio Romeo – legato alle cosche di San Luca e al suo boss, Sebastiano Romeo detto “u staccu”. A rappresentare la camorra, uomini legati alla famiglia di Michele Senese, il boss che dalla Campania ha creato un suo feudo a Roma.
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Nel corso delle indagini, i carabinieri di Milano e Varese hanno documentato molti incontri – ben ventuno – tra i rappresentanti delle diverse organizzazioni mafiose, a Dairago, Cinisello Balsamo, Abbiategrasso e zone limitrofe tra il 2020 e il 2021.
Il “sistema mafioso lombardo” era attivo nei traffici di droga e di armi, nelle estorsioni, nel controllo del territorio per risolvere le controversie legate agli affari, illeciti o leciti. L’aspetto più rilevante riguarda gli affari imprenditoriali, finanziari, le truffe legate ad esempio all’ottenimento dei bonus, l’apertura di società con il solo scopo di evadere il fisco e riciclare i guadagni illeciti. Molti indagati avevano acquisito “direttamente e indirettamente la gestione e/o il controllo di attività economiche” nel settore della logistica, nell’edilizia, nel settore sanitario (con particolare riferimento alle forniture legate all’emergenza Covid, alle procedure di sanificazione, al servizio ambulanza per trasporto dializzati), e molti altri ambiti (e-commerce, ristorazione, noleggio auto, parcheggi aeroportuali, importazione di gasolio). Erano anche interessati ad acquisire “appalti pubblici e privati, anche attraverso l’attivazione di canali istituzionali opportunamente e preventivamente compulsati”.
Nel corso dell’indagine, ai cinque pentiti che hanno reso dichiarazioni utili se n’è aggiunto uno nuovo, Saverio Pintaudi, indagato quale uomo vicino alla ‘ndrangheta con ruoli in molte società per reinvestire il denaro frutto delle attività illecite. Da marzo sta spiegando agli inquirenti in che modo i soldi sporchi vengano ripuliti attraverso società fittizie, prestanomi, fatture false e con la complicità di “banchieri” cinesi, imprenditori dotati di grandi disponibilità e contatti per riciclare con il sistema della Chinese underground bank.
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A dimostrare l’unione di questo nuovo sodalizio criminale c’era la “bacinella”, dove mettere i soldi per i detenuti o le esigenze degli associati. L’organizzazione “imponeva il versamento di somme di denaro nella cassa comune, destinate al sostentamento dei detenuti di ciascuna componente e pretese quale corrispettivo per l’assegnazione e/o agevolazione nella assegnazione di affari leciti o illeciti, in virtù della forza di intimidazione dell’intera associazione”, perché “i carcerati vanno mantenuti prima di ogni altra cosa a questo mondo”, e non importa la provenienza territoriale e la relativa organizzazione.
Alcuni presunti appartenenti al sistema mafioso lombardo tenevano contatti con esponenti del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale, bancario, “in modo da ottenerne favori, notizie riservate, erogazione di finanziamenti, rete di relazioni, tutti in grado di fornire un contributo rilevante al mantenimento in vita, al rafforzamento dell’organizzazione e ad aumentarne il prestigio”.
Da alcune intercettazioni realizzate dai carabinieri nel corso dell’inchiesta emerge anche il sospetto che alcuni appartenenti all’organizzazione fossero in grado di condizionare “il libero esercizio del voto”: “Ci sono tutti i miei parenti, adesso maschi e femmine, siamo… abbiamo un bel pacchetto voti, perché posso portare o senatori in Europa, miei parenti – diceva uno degli indagati, Filippo Crea –. Poi abbiamo preso un partito, una lista civica”, fatta dalle sue cugine “tutte avvocatesse”. “Stiamo parlando di persone che hanno 4-500 (quattro, cinquecento) voti a testa”, aggiungeva.
“Pur nel rispetto dei legami con le cosche d'origine, questa eterogenea associazione gode di propria organizzazione, di un proprio ed autonomo programma, di proprie regole e ritorsioni per chi le viola, di propri sodali che apertamente ne manifestano l'appartenenza e agisce in modo indipendente rispetto alle singole componenti”La procura di Milano
Una “supermafia”, una confederazione o altro? Sin da quando l’inchiesta Hydra è diventata pubblica, con l’arresto di 11 persone il 25 ottobre 2023, i magistrati hanno avuto vedute contrastanti.
Per la procura esisteva “un accordo stabile e duraturo” tra le diverse componenti calabrese, siciliana e campana/romana, dimostrato da una serie di elementi come “l’apporto comune di capitali”, “la messa a disposizione di risorse umane, la costituzione di società” per uno scopo comune, fare profitto. Sarebbe “un sistema di tipo confederativo”. In altre parole: “Pur nel rispetto dei legami con le cosche d'origine, questa eterogenea associazione gode di propria organizzazione, di un proprio ed autonomo programma, di proprie regole e ritorsioni per chi le viola, di propri sodali che apertamente ne manifestano l'appartenenza e agisce in modo indipendente rispetto alle singole componenti”. Questo è il sistema mafioso lombardo.
“Non vi è prova, quindi, che tra gli indagati di appartenere al sodalizio sia stata costituita un'organizzazione stabile, posta in essere allo scopo di realizzare un programma criminoso comune e protratto nel tempo, con una ripartizione di compiti tra gli assodati, ossia il vincolo associativo”Tommaso Perna - Giudice per l'indagine preliminare
Il gip, che ha dovuto valutare le 153 richieste di arresto, ha fornito una valutazione molto diversa e così ha rigettato ben 142 richieste ritenendo che non ci fossero elementi per contestare il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (416 bis). Secondo lui, l’ipotesi investigativa di un gruppo composto dalle tre mafie, “un unicum nella storia giudiziaria” in Italia, non era stata “sufficientemente suffragata dagli elementi di prova raccolti” e in alcuni episodi non emergeva la “mafiosità”: il procedimento, “muovendo dal postulato che si tratta di soggetti appartenenti ad un sodalizio confederativo di stampo mafioso, ha avvolto qualsiasi attività, lecita o illecita che fosse, svolta dagli odierni indagati, in un mantello di cosiddetta mafiosità che è arduo scorgere nelle sue pieghe, se non in via intuitiva”, si legge in un passaggio dell’ordinanza. Su alcune contestazioni, “è del tutto assente la prova del fatto che gli odierni indagati si siano avvalsi della forza di intimidazione scaturente dal vincolo associativo, al fine di sbaragliare la concorrenza”. Di alcuni indagati, inoltre, per il giudice non erano emerse prove di affiliazione al “sistema mafioso lombardo” o alle mafie tradizionali: “Nella maggioranza dei casi, invero, si tratta di soggetti incensurati o che vantano precedenti per reati non connessi alle dinamiche di tipo mafioso”.
In sostanza, “non vi è prova, quindi, che tra gli indagati di appartenere al sodalizio sia stata costituita un'organizzazione stabile, posta in essere allo scopo di realizzare un programma criminoso comune e protratto nel tempo, con una ripartizione di compiti tra gli assodati, ossia il vincolo associativo”, si legge nell'ordinanza di custodia cautelare.
Invece “certamente emerge la presenza sul territorio milanese di soggetti che, vantando, per lo meno almeno alcuni di essi, rapporti qualificati con alcuni soggetti di sicura appartenenza mafiosa, sia pur accertata in altre regioni, commettono attività lecite, ma anche delittuose, soprattutto di tipo economico, in territorio lombardo”.
Alla bocciatura di molte richiesta, la pm Alessandra Cerreti ha replicato subito ricorrendo al tribunale del Riesame (anche detto tribunale delle Libertà) e sottolineato che “gli innumerevoli elementi investigativi” sono stati “incredibilmente parcellizzati e banalizzati dal giudicante”, aggiungendo, a differenza di quanto scritto dal giudice, di non aver “mai sostenuto trattarsi di una super associazione mafiosa (...) composta dalle 3 mafie italiane che si sarebbero consorziate sul territorio (addirittura nazionale)” o “mondiale”: “Né mai il pm ha parlato di 'egemonia' sul territorio lombardo, come ha erroneamente ritenuto il giudicante, che ne ha escluso l’esistenza anche argomentando sulla mancata opposizione da parte di altre associazioni mafiose radicate sul territori”.
Nelle 1121 pagine del ricorso, la Dda, guidata dal procuratore Marcello Viola e dall'aggiunta Alessandra Dolci, aveva precisato di non aver “mai sostenuto trattarsi di una super associazione mafiosa (...) composta dalle tre mafie”. Ovvero di una "federazione" autorizzata dall'alto. Il capo di imputazione sul punto, ha scritto la Dda, è "estremamente chiaro: trattasi di mere 'componenti' delle tre tradizionali associazioni mafiose, operative sul territorio milanese, che si alleano strutturalmente tra loro per aumentare le possibilità di profitto" ed "evitare i conflitti".
Si può ritenere che “singoli soggetti anche appartenenti alle mafie cosiddette storiche abbiano costituito una associazione di stampo mafioso, non configurabile però né come una confederazione di mafie, né come una ‘supermafia’, avendo trasferito nel sodalizio orizzontale tutti i tratti genetici delle associazioni di appartenenza”Fabio Roia - Presidente del Tribunale di Milano
Quasi un anno dopo, il tribunale del Riesame ha “riesaminato” (appunto) le misure cautelari disponendo gli arresti in carcere per 41 indagati e stabilendo che l’organizzazione va considerata come una nuova e unica associazione mafiosa composta da presunti affiliati alle tre mafie, come fosse un consorzio basato su un’alleanza. Si può ritenere, scriveva il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia in una nota, che “singoli soggetti anche appartenenti alle mafie cosiddette storiche abbiano costituito una associazione di stampo mafioso, non configurabile però né come una confederazione di mafie, né come una ‘supermafia’, avendo trasferito nel sodalizio orizzontale tutti i tratti genetici delle associazioni di appartenenza”.
Nelle motivazioni il tribunale del Riesame parla di “mafiosità immanente” della nuova associazione in Lombardia e ritiene “ampiamente dimostrato che il sodalizio contestato abbia fatto effettivo, concreto, attuale e percepibile uso, anche con metodi violenti o minacciosi, della forza di intimidazione nella commissione di delitti come nella acquisizione del controllo e gestione di attività economiche, che sono propriamente gli ambiti di attività” che caratterizzano “la natura mafiosa”. L'uso “del metodo mafioso e il programma criminale” non lascia mai “dubbi sulla qualità propria dell'associazione”. Sulla base della giurisprudenza, “il sodalizio”, con “strutture e capitali comuni” e “partecipato” da persone “di diversa provenienza mafiosa”, si “connota indubbiamente in termini mafiosi”.
Le decisioni del Tribunale delle libertà sono state poi confermate dalla Cassazione.
Va anche aggiunto un dettaglio. Per saltare il vaglio del gip, la procura di Milano avrebbe voluto procedere con il fermo di 70 indagati nel 2023, ma le perplessità di alcune procure del Sud e la richiesta di un coordinamento da parte della Direzione nazionale antimafia hanno fatto cambiare i piani.
Il 18 giugno scorso il gup Emanuele Mancini ha accolto la richiesta di costituzione di parte civile delle amministrazioni di Milano, Varese e Legnano, della Regione Lombardia e della Città metropolitana di Milano.
Libera nei processi antimafia: parte civile e parte civica
Ha riconosciuto questa possibilità anche ad associazioni come WikiMafia e Libera, assistita dall'avvocato Giuseppe Rizzo. Si tratta di “un risultato importante”, in linea con altre iniziative simili di Libera in altri processi, che dà “un segnale di impegno e di responsabilità per tutta la società civile e responsabile a fronte dell’ipoteca criminale che l'alleanza tra le diverse organizzazioni mafiose determina sull'economia e sulla società in Lombardia”.
Per l’organizzazione presieduta da don Luigi Ciotti “la presenza nel processo Hydra rappresenta un'occasione importante per fare crescere la sensibilità delle giovani generazioni nei riguardi di mafie e di corruzione, con il coinvolgimento di scuole e di università nel corso di un procedimento che per le sue dimensioni si annuncia di lunga durata”.
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