30 settembre 2024
“Tu fai quello che devi fare ... cioè mandare via i tuoi paesani”. Questo era il compito di Antonio Bellocco, il 36enne calabrese, già condannato per associazione mafiosa in quanto esponente della ‘ndrangheta, entrato da pochi anni nel direttivo della Curva Nord dell’Inter e ucciso il 4 settembre scorso da Andrea Beretta. Emerge dall’ordinanza di custodia cautelare con cui lunedì 30 settembre polizia e guardia di finanza hanno arrestato i capi ultras di Inter e Milan (sedici in carcere, due ai domiciliari), nel corso di un’indagine coordinata dalla procura di Milano. Aggressioni ed estorsioni sono tra i reati più frequenti contestate a quelle che gli investigatori ritengono essere due associazioni a delinquere.
Oltre agli arresti, la questura di Milano, retta da Bruno Megale, ha emesso 24 divieti di accesso alle manifestazioni sportive (Daspo), di cui dieci con l’obbligo di firma in occasione delle partite, e ha avviato il procedimento per 89 Daspo “fuori contesto”, cioè “per inibire ingresso persone condannate negli ultimi 5 anni per una serie di reati”.
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La richiesta di misure cautelari era stata presentata a giugno, ben prima dell’omicidio di Antonio Bellocco. Il 36enne, “forte della sua fama criminale derivante dalla sua appartenenza alla famiglia Bellocco, spalleggiava Ferdico (Marco, altro capo della tifoseria nerazzurra, ndr) e Beretta per riunire il tifo organizzato interista sotto un’unica regia, ‘sopprimendo’ tutti gli altri gruppi del tifo organizzato così garantendosi in esclusiva i guadagni derivanti dalla gestione delle attività illecite facenti capo allo stadio”, riassume il giudice per le indagini preliminari Domenico Santoro.
Alcuni componenti della frangia di ultras degli Irriducibili avevano percepito che la presenza di Bellocco e altri uomini calabresi nella tifoseria andava ricollegata alla volontà di Beretta e Ferdico di farsi proteggere da individui legati alla criminalità organizzata. In questa maniera Beretta poteva consolidare la sua leadership dopo l'omicidio di Vittorio Boiocchi, avvenuto il 29 ottobre 2022. In un'intercettazione ambientale, Bellocco riferisce a Beretta quanto detto a un rivale interno: "Gli ho fatto l'album, la foto di famiglia (...). Mia mamma ha 25 anni di carcere fatto, 16 anni di 41-Bis! È ancora in galera. Eh... ha 74 anni".
Vittorio Boiocchi e Luca Lucci, capi ultras a Milano, ma non solo
Bellocco, in cambio, otteneva una “parte dei guadagni derivanti dalle attività illecite, anche ai fini del mantenimento in carcere dei detenuti”. Anche per questa ragione il reato contestato ai capi della curva interista è di associazione a delinquere aggravata dall’aver agevolato la ‘ndrangheta. L’omicidio di Bellocco si mette “in una macabra linea di continuità con il passato”, cioè l’omicidio di Boiocchi e “offre un quadro fosco del mondo della curva nord” a cui si aggiungono le “attenzioni della ‘ndrangheta sul mondo del tifo organizzato”, come emerge dalla relazione della commissione parlamentare antimafia del 2017, citata negli atti di indagine. Secondo quanto emerso nel corso dell’indagine, la saldatura tra ultras e ‘ndrangheta sarebbe avvenuta dopo l’omicidio – ancora irrisolto – di Boiocchi. Dopo quell’episodio, la famiglia Bellocco comincia a trarre dei guadagni.
L'organizzazione si finanziava attraverso la vendita a prezzi maggiorati dei biglietti delle partite di calcio (il bagarinaggio), 10 euro in più a biglietto, e gli "ingressi illegali" allo stadio, "spesso con la complicità degli steward, previo pagamento di una somma di denaro a figure apicali della Curva Nord". C'era poi la vendita a prezzi maggiorati delle bevande e il commercio di magliette e gadget, ma anche la fornitura a pagamento della "protezione a imprenditori che richiedevano 'servizi' di guardiania, al di fuori dello stadio San Siro al fine di scoraggiare la vendita di gadgets contraffatti da parte dei cosiddetti magliettari provenienti dalla Campania".
Della curva sud, quella in cui si ritrovano i tifosi del Milan, viene evidenziata la carica aggressiva, non soltanto per le questioni di stadio, ma anche per gli affari, e i “collegamenti con settori del mondo dello spettacolo”, come Fedez, che chiede a Luca Lucci un aiuto per vendere la sua bevanda all’interno di San Siro durante le partite.
Per i vertici della Curva Sud dei sostenitori del Milan, tra cui spiccano Luca Lucci e suo fratello Francesco, “non è stata ipotizzata l'aggravante, pur essendo visibile tentativi di avvicinamento ad ambienti della criminalità organizzata”, ha affermato il procuratore capo di Milano, Marcello Viola, nella conferenza stampa.
Come ha spiegato la procuratrice aggiunta Alessandra Dolci, coordinatrice della Dda di Milano, molti 'ndranghetisti in contatto con le tifoserie organizzate di Milan e Inter "non erano stanziali in Lombardia, ma provenienti dalla Calabria come Bellocco, che aveva trovato qui un domicilio e un posto di lavoro fittizio grazie ai componenti della curva", o meglio grazie a Ferdico e Beretta.
Secondo quanto emerso nel corso dell’indagine, “i vertici delle due tifoserie avevano siglato un patto di non belligeranza teso a massimizzare i profitti illeciti”, come emerge in maniera cristallina da un’intercettazione telefonica di Andrea Beretta: “Io non faccio le cose per lo striscione, a me non me ne frega un emerito c...”.
Le curve, tornello d'ingresso delle mafie nel calcio
L’indagine ha visto una “attenta attività di coordinamento” della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, con una “assai approfondita attività di analisi che la procura nazionale conduce da tempo sul fenomeno”, ha spiegato Viola.
Secondo il procuratore nazionale antimafia Gianni Melillo, bisogna “smetterla di far finta di niente e di voltare lo sguardo”, perché ci sono “rischi diretti di interessi criminale nelle società calcistiche”, come tutte le imprese. In questo caso, “le società sono da considerarsi soggetti danneggiati”, ha aggiunto Viola. L’Inter aveva subito pressanti richieste di biglietti per la finale di Champions League, ma gli inquirenti hanno sottolineato che “nessuna segnalazione interna né denuncia”.
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