Aggiornato il giorno 26 luglio 2024
Le Olimpiadi di Parigi 2024 saranno le prime a vedere gareggiare un numero pari di donne e uomini. Parteciperanno 5.250 atleti e 5.250 atlete, come il Comitato olimpico internazionale (Cio) aveva programmato nel 2014. Eppure questa parità nasconde problemi non ancora risolti. Nelle stanze del potere sportivo la presenza femminile è ancora debole.
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"Si contano solo due presidenti donne a capo di Federazioni sportive nazionali su 48 – dice Luisa Rizzitelli, fondatrice e presidente di Assist, l’Associazione nazionale atlete – e in 120 anni di storia dello sport italiano il Coni non è mai stato guidato da una donna. Inoltre, nell’ambito della dirigenza e dei quadri tecnici, per le figure di allenatori, vice-allenatori, assistenti, team manager, anche per le squadre femminili sia della Nazionale, sia dei club, il numero degli uomini sovrasta quello delle donne. Una presenza che non si avvicina neppure al 15 per cento".
Già Pierre de Coubertin, il fondatore delle Olimpiadi moderne, riteneva la partecipazione delle donne alle competizioni "impraticabile, non interessante, antiestetica", e infatti le escluse dalla prima edizione del 1896. Nelle edizioni successive, a partire dal 1900, furono ammesse solo in sport considerati “femminili” come tennis, golf, vela, equitazione, croquet. Soltanto nel 1984 hanno potuto correre la maratona e soltanto nel 2012 hanno concorso in tutte le discipline.
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Negli anni il numero delle partecipanti è aumentato sempre di più: dal 38,2 per cento nel 2000 si è passati al 48 per cento alle Olimpiadi di Tokyo del 2021. Qui le competizioni maschili erano più di quelle femminili: 165 contro 156. Alle Olimpiadi invernali del 2022, invece, le donne sono state il 45 per cento. Segnali positivi, ma ancora lontani dalla meta, come sottolinea Rizzitelli: "In Italia 12 milioni di donne, ossia il 40,6 per cento del totale, sono escluse dalla pratica sportiva. Dietro questo numero ci sono molte famiglie in cui una componente non riesce ad avere il tempo e l’opportunità di praticare un’attività, rinunciando a quote di benessere e di salute. Tutto perché terminato il lavoro deve dedicarsi alla famiglia".
"In Italia 12 milioni di donne, il 40,6 per cento del totale, sono escluse dalla pratica sportiva"
L’eredità di retaggi storici e culturali sono ancora evidenti. "In molti casi la spinta a far emergere le atlete in occasione dei Giochi – aggiunge Rizzitelli – cela solo l’interesse di sfruttare una grande occasione di visibilità per il paese, ma le condizioni paritarie continuano a mancare sotto tanti aspetti". Nel consiglio esecutivo del Cio, per esempio, le donne sono solo il 33 per cento. In Italia, in un quadriennio olimpico, la presenza femminile è passata da 50 consigliere a 120, con 13 federazioni che hanno un vicepresidente donna, anche grazie alla spinta del Coni.
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Al contrario, "un esempio eclatante arriva dalla Serie A di pallavolo, dovei due terzi delle tesserate sono donne ma nessuna società ha affidato la panchina a un’allenatrice. È un paradosso", prosegue Rizzitelli che nota un altro aspetto: "Non è mai stata avviata nessuna azione da parte della politica sportiva. Durante i convegni non vediamo la volontà di ridurre la portata del problema".
"Le donne hanno una forza minore dal punto di vista delle relazioni in un sistema dove gli uomini si conoscono e si spalleggiano. Inoltre il mondo sportivo non tiene conto delle esigenze di vita di una donna. Il sistema detta regole del tipo 'se diventi allenatore devi dedicarti h24 alla tua squadra', oppure 'il figlio non lo puoi portare con te', e così via: in queste condizioni non avremo mai prime allenatrici. O, al massimo, i casi saranno sporadici come quello di Orizzonte Catania (che ha appena vinto il quinto scudetto di fila nella pallanuoto) guidato dalla presidente Tania Di Mario, che ha scelto come allenatrice Martina Miceli".
In Serie A di pallavolo i due terzi delle tesserate sono donne ma nessuna società ha affidato la panchina a un’allenatrice
Altro tasto dolente è la disparità retributiva. Per Rizzitelli la parità deve essere pretesa quando di mezzo ci sono enti che dispongono di fondi pubblici, cioè il Coni e le federazioni sportive. "La giornata in Nazionale di Ciro Immobile (calciatore della Lazio, ndr) deve essere pagata tanto quanto quella di Barbara Bonansea (giocatrice della Juventus, ndr). Nei club che gestiscono privatamente i propri soldi, si fa fatica a dire che i compensi debbano essere equiparati. Non è un ragionamento possibile, perché le società hanno la libertà di gestire il contratto con gli atleti e poi perché è una dinamica che si regola sulla base del mercato. Anche l’attenzione economica sulle nazionali, come quella per la visibilità o per la promozione delle attività, deve essere paritaria. È ovvio che se alla Nazionale femminile si consente di fare un torneo all’anno e un ritiro, a fronte di 20 tornei della selezione maschile, siamo di fronte a una disparità non accettabile".
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Infine, c’è il nodo trasparenza. Sul punto Rizzitelli è perentoria: "Sappiamo dire quanto si spende in Italia per lo sport maschile e quanto per quello femminile? A noi non risulta che ci sia una documentazione consultabile". Il rischio, quindi, è che la parità numerica di Parigi 2024 possa essere l’ennesimo caso di gender washing.
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