6 novembre 2023
Non troverete spesso uno sportivo di alto livello dire di essere felice. Lo scrivo con cognizione di causa. Siamo troppo concentrati sui nostri sforzi, sul miglioramento e sui risultati da ottenere per concedersi il lusso di considerarsi felici o appagati: non è mai abbastanza! Da piccola, ho sempre pensato che la felicità fosse trovare l’amore. E mi riferisco all’amore romantico, di coppia, alla Lilli e il vagabondo con gli spaghetti e tutto il resto. Poi la vita mi ha portato lontano da dove sono partita, lontano dai miei schemi, dai miei pregiudizi e dalle mie convinzioni. Ero una ragazzina che, a nove anni, ha iniziato a giocare a pallavolo nella palestra della scuola del suo paesino nel cuore dell’Emilia Romagna e che come tutte le coetanee pensava a fare i compiti e a uscire con gli amici. Ben presto la mia quotidianità (e quella della mia famiglia) e le mie prospettive sono state stravolte da qualcosa che all’epoca vedevo come più grande di me e mi faceva paura: niente weekend, niente gite scolastiche, niente vacanze; ritiri che mi tenevano lontana da casa anche per un mese. Non pensavo che lo sport potesse comportare tanti sacrifici e privazioni, era tutto nuovo.
Anche dopo una vittoria, uno sportivo dentro di sé sta già pensando alla prossima partita da vincere e a quello che avrebbe potuto fare meglio. Ecco perché la felicità è una condizione tanto difficile da raggiungere
Eppure grazie allo sport sono uscita dal mio piccolo guscio fatato che così bene mi ha tenuto al sicuro da tutto. Grazie allo sport ho conosciuto quasi tutte le persone che ora fanno parte della mia vita, dopo una prima fase di grande diffidenza, caratteristica che mi contraddistingue da sempre. Sì, perché la paura di essere ferita e di non essere all’altezza fanno parte della mia indole e questo genera dentro di me un senso di inadeguatezza costante e contemporaneamente una forza, una tensione che mi spinge verso un continuo e faticoso miglioramento della mia persona e delle mie prestazioni. Penso che sia un tratto del carattere molto comune nelle persone che fanno sport ad alto livello: un atleta, anche dopo una vittoria, dentro di sé sta già pensando alla prossima partita da vincere e a quello che avrebbe potuto fare meglio. Ecco perché la felicità è una condizione tanto difficile da raggiungere.
"La vita non è una scala dove più arrivi in alto e più sei bravo". La lezione di Julio Velasco
Il rischio è di essere così concentrati su quello che si sta facendo, sull’obiettivo, e su cosa si potrebbe migliorare, da non rendersi conto o da non riuscire a gioire davvero per qualcosa di bellissimo che siamo riusciti a ottenere o che ci sta capitando. Siamo così esigenti e severi con noi stessi da percepire la soddisfazione come utopistica. Dunque anche questo va allenato, come l’apprendimento di un qualunque gesto tecnico. Penso che la vicinanza di persone che ci vogliono bene e che conoscono il nostro percorso sia decisiva in questo processo di aspirazione e di riconoscimento della felicità.
Sì, perché la felicità non è statica, immutabile. Assomiglia più a un processo e potrebbe anche variare con il tempo. Quando ero piccola la felicità era attendere l’ora dei cartoni animati in tv o l’arrivo di Babbo Natale; crescendo e in base al vissuto e alle inclinazioni ho di volta in volta scelto un signi?cato diverso da dare alla felicità. Secondo gli stoici è felice chi è contento della sua condizione, qualunque essa sia, e gode di quello che ha. Allora vivere felici e vivere secondo natura è lo stesso. Sono d’accordo solo in parte con questa affermazione: e se non ci piacessero la nostra condizione o la nostra natura? Che ?ne farebbero il libero arbitrio e la possibilità di scegliere chi o cosa si vuole essere?
La mental coach di Jacobs: "Puntiamo sulle nostre qualità"
"Nella vita di uno sportivo, si rischia di identificare la bontà della propria persona alla propria prestazione sportiva.
Ci si sente brutte persone o dei falliti se si gioca male una partita"
Nella vita di uno sportivo, per esempio, il grande pericolo in cui si rischia di incappare è quello di identificare e fare corrispondere la bontà della propria persona con la propria prestazione sportiva. A me è capitato spesso e parlando con altre mie colleghe e colleghi mi sono accorta che questa errata percezione è abbastanza frequente: ci si sente brutte persone o dei falliti se si gioca male una partita.
Proprio per questo motivo ho sempre cercato di tenere vivi altri interessi e altre passioni accanto alla mia vita di sportiva: perché nella vita non si sa mai. Un brutto infortunio, scelte sbagliate, breakdown mentali, sono troppe le variabili che non possiamo prevedere e che potrebbero portarci lontani dalla strada che stiamo percorrendo.
Non si tratta di pessimismo, ma del mio personale modo di prepararmi a un piano B. Sia chiaro che io mi sento una sportiva al 100 per cento e adoro la vita che sto vivendo, mi ritengo anche molto fortunata nel poter vivere di ciò che amo e mi diverte fare. Ma so anche che quest’esperienza ha una data di scadenza e per me è sempre stata una priorità coltivare rapporti e stimoli che vadano oltre al campo da gioco. Se ci sono riuscita, per me questa è felicità.
Sentirsi nel posto giusto al momento giusto e farlo diventare un mantra; sentirsi allineati con il “vorrei diventare” e l’essere diventato proprio quello; avere la consapevolezza dei propri punti di forza e dei propri limiti e accettarli con serenità; essere d’esempio o d’ispirazione nel proprio modo di stare in campo, che spesso si traduce nel proprio modo di intendere la vita, anche solo per una persona; penso che questi siano gli ingredienti che possano portare verso la felicità, qualunque cosa essa sia, perché io non lo so ancora.
Arrivata a questo punto della mia vita e della mia carriera posso dire di essermi tolta diverse soddisfazioni e posso guardare a quello che ho fatto finora con orgoglio: dodici stagioni giocate in Serie A nei migliori club italiani con tante esperienze internazionali e tante medaglie a incorniciarle, che se me l’avessero detto quando ero piccola non ci avrei mai creduto! Eppure mi sono accorta di una cosa. Quando si arriva là in cima e si vuole godere di ciò che è stato fatto ci si rende conto che tutto perde senso se non si ha qualcuno con cui condividerlo. Fateci caso.
Da lavialibera n° 23, Cosa è la felicità?
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