Myss Keta al festival Apolide. L. Romussi
Myss Keta al festival Apolide. L. Romussi

Donne e musica, disparità degne di nota

A Sanremo le donne non vincono da dieci. Nell'ultima edizione della kermesse nessuna era nella cinquina finale. Nelle ultime classifiche di vendita, le cantanti rappresentano il dieci per cento del totale. In musica l'emancipazione femminile è al palo

Cristina Palazzo

Cristina PalazzoGiornalista

Aggiornato il giorno 7 febbraio 2024

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A Sanremo 2023 Marco Mengoni ha dedicato la vittoria sanremese alle "cantanti meravigliose" che hanno partecipato alla kermesse, nessuna presente nella final five tutta maschile. Il giorno dopo, in conferenza stampa, l’artista è tornato sulla questione: "Le donne avevano delle canzoni incredibili, sono state figure mitologiche e ci sono rimasto molto male nel vedere che nella cinquina non ci fosse nessuna di loro. Evidentemente in questo Paese dobbiamo ancora andare avanti e cambiare delle cose. Sarebbe stato bellissimo avere sul palco insieme a noi almeno una donna". Prima di Sanremo 2024 la cantante Annalisa ha ricordato che “sono dieci anni che Sanremo non viene vinto da una donna, ma quest’anno ci sono molte artiste forti e importanti, quindi speriamo in un podio femminile”. 

La musica è universale, ma quando da arte diventa professione lo è un po’ meno, almeno se a cantare è una donna. Lo dicono i numeri: nelle classifiche di vendita Fimi – la Federazione industria musicale italiana – nel 2022 le artiste in classifica degli album più venduti rappresentano appena il dieci per cento circa del totale. "Un valore che si commenta da solo", si legge nel report firmato da Equaly, la prima realtà italiana che si occupa di parità di genere nel music business. Ce ne era bisogno? Forse sì, visto che prima della pandemia il dato era al 14 per cento. Numeri comunque lontani da quelli registrati nel 2012, quando le artiste erano quasi il doppio, il 27 per cento.

Nessuna parità oltre la finzione: il nostro dossier dedicato alla questione di genere

Fuori classifica

In quegli anni i nomi femminili occupavano le prime posizioni, punte di diamante dell’industria musicale nostrana, il cui export è in crescita grazie alle nuove generazioni di artisti. Lo scorso anno per trovare una figura chiave femminile era necessario scorrere fino alla posizione numero 33 occupata da Elisa, che vanta all’attivo 11 album. Ci sono poi giovanissime promesse come Madame (39), Ariete (45), Anna (76) e La Rappresentante di Lista (96), il duo composto da Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina. Assenti, invece, cantanti quali Alessandra Amoroso, Laura Pausini, Fiorella Mannoia, Giorgia e Gianna Nannini, solo per citarne alcune.

Resiste lo stereotipo che vuole creatività e arte cose da uomini. Poi ci sono ostacoli sociali, familiari, culturali e anche economici

Non va meglio alle artiste internazionali: nelle classifiche figurano Dua Lipa e Taylor Swift, rispettivamente alle posizioni 55 e 56, Adele (59) e Olivia Rodrigo e Rosalia, ben oltre l’ottantesima posizione. Elenchi che stridono con la cosiddetta "quarta ondata femminista" che, come spiegano da Equaly, "ha avuto inizio nel 2010 a cui è seguito nel 2017 il movimento #metoo. Di fatto, nel decennio in cui i movimenti a tutela della disparità di genere e dell’emancipazione femminile tornano letteralmente sotto i riflettori, constatiamo che la presenza di artiste in classifica ha seguito una tendenza piuttosto controintuitiva". 

Un settore in trasformazione

In parallelo in quegli anni cambiava il mondo della musica: l’arrivo di Spotify, l’arrivederci quasi definitivo ai dischi, l’impatto dei social network, con regine assolute delle classifiche artiste come Beyoncé, Lady Gaga, Rihanna, Adele, Taylor Swift. Eppure, conferma uno studio di Nuovo Imaie – l’Istituto mutualistico artisti interpreti esecutori – se si considerano le incisioni complessive, i brani femminili sono meno del nove per cento. "Farsi piccole, mettersi da parte, stare in spazi ristretti metaforicamente e fisicamente ci viene insegnato. E se ci arrabbiamo, si percepisce come un fastidio. Ma ne abbiamo il diritto. Quanto può essere realistico un divario di competenze e talento così alto?" dice Irene Tiberi, che proprio per dare fastidio nel 2021, insieme ad altre donne del settore, tra cui Francesca Barone che ha realizzato lo studio, ha fondato Equaly. Nel report, tra le risposte del gender gap, la realtà ha valutato diversi aspetti, o meglio fattori che possono incidere. Tra le ipotesi, gli ostacoli sociali, culturali e familiari, che si basano su stereotipi come "la creatività e l’arte sono cose da uomini". Ma anche economici, con la forza dei dati sulla disoccupazione femminile, che secondo l’Istat a dicembre 2022 era al 9,1 per cento, a fronte di quella maschile ferma al 6,8 per cento. 

Di recente, Equaly ha lanciato un questionario sulla violenza e le molestie nei confronti delle lavoratrici nel mondo della musica, dalle artiste a chi vive il music business dietro le quinte. "C’è chi ha anche raccontato di carriere tagliate per avere respinto delle avances – racconta Irene Tiberi –. La maggior parte delle prevaricazioni sono verbali ed economiche e se trascorri tutta la vita a sentirti dire che non sei abbastanza. La via per il cambiamento è unirci, siamo tante e molto competenti ma manca l’opportunità". 

Poca solidarietà

"Ci sono persone e addetti ai lavori che si sono evoluti, si sono fatti grossi passi in avanti, ma a volte la differenza torna o peggio è silente. Lo vedo con i miei coetanei, è difficile anche per loro concepire una donna artista che fa musica, al massimo canta", racconta Miglio, al secolo Alessia Zappamiglio, 28 anni, artista bresciana di stanza a Bologna, che si sta facendo notare nel mondo underground. Quando sale sul palco, Miglio può affrontare qualsiasi tema in modo diretto e libero, come nel suo ultimo singolo Sexy solitudini. "Se scrivi liberamente c’è una categoria anche per questo. Mi hanno detto “abbiamo già un’artista fluida nel roster”. Si creano contenitori nel mercato, le piattaforme aiutano, per fortuna ci sono live dove ognuna può esprimersi ed essere autentica". Anche se, ammette, si potrebbe fare di più anche fuori dal palco. "Non sento molta solidarietà, se non tra le persone che arrivano dallo stesso ambiente. Questo intristisce perché ne abbiamo bisogno, dall’alto ma anche dal basso".

Di realtà unite ne stanno nascendo, come Poche Collective, pensato da Plastica ed Elasi, collettivo di producer di elettronica composto da sette artiste ma "aperto a chiunque abbia voglia di condividere, curiosare, collaborare, per costruire pian pianino una scena che in questo paese ancora non c’è", come chiariscono sui social. O Fluidae Collective in Sicilia. In questa direzione vanno anche grandi campagne come Equal global music program, promossa da Spotify.

Questione di identità

"Contarsi per contare" è la risposta del collettivo under 30 Canta fino a dieci che, per opporsi al fatto che "sopra e dietro i palchi sembra ci siano solo uomini", uniscono le voci e le mani "per fare rete e tenere il conto, sorreggerci, misurare spanna per spanna lo spazio che abbiamo e quello che pensiamo di meritare". Iniziano loro a contarsi. Sono cinque artiste – Anna Castiglia, Rossana De Pace, Francamente, Cheriach Re e Irene Buselli – che si sono incontrate a Torino e hanno protestato quando i lockdown hanno spento la musica. Lo hanno fatto accendendo le note in metro, con il format #fuoriposto, per poi accorgersi che la loro arte faceva più rumore in quanto artiste donne. "A quel punto abbiamo capito che oltre allo stato della musica avevamo da affrontare un altro problema", racconta Rossana de Pace. 

Il collettivo-osservatorio è nato nel 2021. Non è stato difficile trovare materiale, non c’è voluto molto a mettere in fila le esperienze vissute. I commenti, le battute, o gli atteggiamenti anche tra gli addetti ai lavori, da chi attacca la chitarra o regola l’asse del microfono "perché pensano che non lo sappiamo fare" a chi "fa finta che non esisti perché donna e anche piccola". E anche fuori dal palco, sentirsi dire da un’etichetta "abbiamo già un progetto femminile" o se piaci "capire se interessi tu o le tue gambe, o entrambe". Ma "quel che distrugge ancora di più – dice Anna Castiglia – è sentirsi dire “vi somigliate tutte”, nonostante il tempo che trascorri a scrivere canzoni e curare l’outfit. Distrugge la mia identità". 

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Suonano con progetti singoli ma spesso vengono chiamate come collettivo. Rischio pinkwashing? L’importante è esserci per raggiungere pubblici diversi "ma valutiamo sempre, non suoneremmo mai per un’azienda che ha valori che non rispettiamo o festival che sfruttano le donne", precisa Francamente. Un motivo in più per unirsi: "L’importante è sapere che non sei sola – aggiunge Irene Buselli – che quella situazione accade a prescindere da te e non a te. Se non parli rischi di pensare che il problema sei tu". 
Loro vogliono dare l’esempio, e potrebbe servire. Perché se osservando i numeri il divario di genere c’è e si vede, la rivincita arriva dalla qualità, soprattutto in termini economici. Sempre per il NuovoImaie, dai brani con interpreti donne si genera un valore più che doppio. "Tra i 18-34 anni addirittura si passa al 32,06 per cento". Si legge nel report: "In valore assoluto non è sbagliato affermare che la musica femminile incontra di fatto i gusti del mercato più di quella maschile, con un’efficacia superiore anche nelle stesse performance dell’industria musicale".

Eventi alternativi. I festival sembrano avere colto il potenziale. E molte line up stanno cambiando. Per il report Facts di Female Pressure, i palchi di musica elettronica sono sempre meno contraddistinti dal gender gap. Dal 9 per cento registrato nel 2012 – con una fotografia a 159 edizioni di 109 festival da 48 paesi – la presenza di artiste è triplicata fino al 27 per cento nel biennio 2020-2021. I festival più grandi – si legge nel sondaggio – tendono ad avere percentuali minori di esibizioni femminili (e non binarie). In controtendenza rispetto ai festival finanziati con fondi pubblici o guidati da direttrici artistiche.

“C’è chi ha raccontato di carriere tagliate per avere respinto delle avances”

Non bisogna andare lontano per trovare esempi virtuosi. Come Linecheck music meeting and festival, tra i primi ad aderire proprio a Keychange, il movimento dedicato alla gender equality. O come Apolide, festival alternative rock e indie che va in scena in estate tra i boschi di Vialfré, nel Torinese. Nel 2021, per la diciannovesima edizione, ha raggiunto la parità di genere nella proposta tra musica, circo e reading. "Ce l’abbiamo fatta ma sono serviti tempo e consapevolezza", racconta il direttore artistico Salvatore Perri, che ricorda bene i primi anni.

"Non c’erano proposte femminili, abbiamo ospitato artiste internazionali ma senza soffermarci più di tanto sul tema. Fino a quando cinque anni fa è avvenuto un momento di rottura e quella visione è entrata nella nostra pelle". Durante un incontro con Italian music festival fu posta la questione discriminazione. Hanno aderito al movimento Europe Keychange e nel frattempo la parità di genere è entrata nel direttivo. "Anche nell’offerta musicale che si è spostata, ora ci sono tantissime artiste in più e questo ci ha permesso di fare scelte equilibrate. La direzione artistica resta la bussola, se un’artista “spacca” è giusto che suoni, altrimenti no. Proprio come per gli uomini". E di artiste che spaccano ne hanno ospitate: Myss Keta, Margherita Vicario, le stesse Canta fino a dieci. è praticamente impossibile garantire la stessa rappresentanza in ruoli di produzione o tecnici.

Un concorso per due

Per allargare il settore alle donne le iniziative abbondano. Mentoring e networking sono le soluzioni per Alice Salvalai, freelance, per anni project manager per Music innovation hub, selezionata per prendere parte nel programma Keychange, "rendendo alleati gli uomini, in una realtà come quella dell’industria musicale italiana dove c’è un’evidente difficoltà di crescita personale, perché è un tessuto fatto da piccole e medie imprese, con un soffitto di cristallo". 

Sae Institute, dopo la ricerca esplorativa Women in music (2021), di cui Alessandra Micalizzi, psicologa e docente di Sae è responsabile, ha lanciato un percorso a tappe: due borse di studio per altrettante studentesse di corsi Electronic music production e Urban music production e l’albo illustrato Viola può fare la musica, un libro per bambini edito da Homeless Books, con la protagonista che scoprirà la musica non solo come arte ma come professione. "Gli stereotipi ci sono, mentre mancano esempi e modelli di riferimento. Per questo vogliamo aiutare il cambiamento, le cose si stanno trasformando e si vede, ma per scardinarle occorre lavorare sui più piccoli". E chissà che Viola, oltre a capire di poter fare la musica, non scoprirà anche di poter rivoluzionarla. 

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