Cosenza, teatro Rendano. Un'immagine dell'edizione 2020 on streaming di Musica contro le mafie
Cosenza, teatro Rendano. Un'immagine dell'edizione 2020 on streaming di Musica contro le mafie

Musica contro le mafie, un brano in dialetto è il riscatto della Calabria

A San Michele di Davide Ambrogio è il brano vincitore dell'undicesima edizione del premio musicale

Francesco Donnici

Francesco DonniciGiornalista

18 gennaio 2021

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Il bene e il male, il bianco e il nero, il reale e il virtuale. L’undicesima edizione del premio nazionale Musica contro le mafie è la storia degli opposti che si intrecciano nella società del 2020. A raccontarla è Davide Ambrogio, giovane artista calabrese vincitore di questa particolare tornata on streaming, con un canto funebre e al contempo di speranza: A San Michele, figura che per antonomasia, nelle scritture antiche e nuove, sacre e profane, evoca questo eterno scontro. San Michele Arcangelo, rappresentato nell’iconografia classica e nelle scritture come il guerriero che difese la fede in Dio contro le orde di Satana è al contempo santo protettore della polizia e simbolo adottato dagli ‘ndranghetisti nei rituali di affiliazione.

Per la prima volta nella storia del premio – nato proprio in Calabria e che quest'anno ha visto la partecipazione di 792 artisti – ha vinto un brano in dialetto.

La nascita del brano

“E mu ca i jhuri ti commoglianu Ma su li figli ca ti chiangianu Cantammìllu: cu quanti lami t’hanu vasatu?”. L’invocazione è rivolta dal figlio al padre sul letto di morte. Strade divergenti frutto di scelte di vita diverse, sintomo di un mondo che cambia, esempio di tanti giovani che crescono in contesti difficili, ma grazie a percorsi – come ad esempio Liberi di scegliere – riescono a dire no a un ambiente tossico, sognando una vita migliore.

Davide Ambrogio, vincitore dell'undicesima edizione di Musica contro le mafie
Davide Ambrogio, vincitore dell'undicesima edizione di Musica contro le mafie

Una parte del testo è stata scritta da Gianvincenzo Pugliese, artista di Cetraro, mentre un’altra è ispirata a un canto funebre di Feroleto Antico, tratto dal Canzoniere di Pier Paolo Pasolini del 1955. “Il timore era che il testo in dialetto potesse non arrivare a tutti, almeno al primo ascolto – ci racconta Ambrogio, 29 anni, originario di Cataforio, paesino disperso nella zona tirrenica dell’Aspromonte –. Per questo insieme a Valerio Camporini Faggioni e Walter Laureti abbiamo lavorato molto sulla musica, affinché le melodie potessero trasportare in questo scontro tra opposti. Non volevamo ci fossero barriere, linguistiche o di altro tipo. Il brano nasce, oltre che dai miei studi di sociologia ed antropologia, anche da diverse letture sulla ‘ndrangheta e da una riflessione sulle nuove modalità di organizzazione dell’associazione. Il filo conduttore sono i collegamenti tra passato e presente, ma non in senso nostalgico”.

Gli studi sulla nuova ‘ndrangheta raccontano di un’organizzazione nel tempo estesasi al contesto globale, e del necessario ingresso al tavolo della massoneria deviata, come ricorda il boss Panteleone Mancuso detto “scarpuni” in un’intercettazione negli atti di indagine di Rinascita-Scott – la maxi-inchiesta contro le cosche del Vibonese che ha visto l'inizio del processo lo scorso 13 gennaio a Lamezia Terme – mentre inveisce contro le nuove leve “che pensano solo alla droga”.

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“La ‘ndrangheta – racconta Ambrogio – fonda la sua forza sui legami di sangue, quindi è difficile che un membro possa denunciarne un altro. Anche per questo, fino a poco tempo fa non c’erano collaboratori di giustizia. Esistono tuttavia percorsi innovativi che hanno aperto una crepa tra le diverse generazioni: molti, soprattutto donne e giovani, stanno scegliendo una strada diversa”.

Nasce così l’idea di un brano che si pone come osservatore al bivio tra la morte e la vita. “Nel testo ci sono le domande fatte da un figlio a un padre sulla vita passata e le risposte che vengono dal lamento funebre; la melodia ripercorre l’incontro di questi due opposti”. Un incrocio-dualismo trasposto anche nelle forme, nei colori e nella narrazione del videoclip ideato da Alessandro Ferraro.

Un pugno in faccia

Il presidente dell’associazione che dà vita all’omonimo premio, Gennaro De Rosa, si dice molto contento della vittoria di un artista calabrese dopo tanti anni. La scelta è ricaduta su A San Michele grazie alla giuria composta da nomi del calibro di Brunori Sas, Erica Mou, Gabriella Martinelli e Gianni Maroccolo, oltre ai giurati rappresentanti della così detta generazione Z.

"Il brano è potente ed evocativo. Arriva come un pugno in faccia e per noi calabresi è un bene"Gennaro De Rosa - presidente Musica contro le mafie

Quello che nemmeno De Rosa si aspettava era la vittoria di un brano in dialetto, il primo nella storia del concorso. “Il brano è potentissimo ed evocativo – racconta –. Ti prende a pugni nello stomaco e sa di Calabria perché è al contempo ruvido e oscuro. Mi ha fatto tornare in mente una frase di Bob Marley: ‘Quando la musica ti colpisce non fa male’. In questo caso ti colpisce e fa male e per noi calabresi è anche un bene perché arriva come un pugno in faccia”.

Nonostante le difficoltà dovute all'attuale situazione pandemica, per De Rosa questa edizione online può segnare l’inizio di un percorso innovativo: “Da questo momento in poi non potremo non tenere conto della commistione tra reale e virtuale. Fondamentale è lavorare sulle tecnologie del nostro Paese che sono un po’ arretrate rispetto alla velocità degli eventi. Io sono positivo, credo che il mondo dello spettacolo debba reinventarsi e costruire su basi nuove e punti mobili”.

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Una Calabria da ricostruire 

"Per scardinare il sistema bisogna capire perché un ragazzo decide di prendere in mano una pistola o spacciare droga"
Davide Ambrogio - vincitore dell'undicesima edizione

La vittoria di un artista calabrese non può prescindere da quanto successo in quest’ultimo periodo in una regione tormentata da luoghi comuni e da una retorica che vuole come unica soluzione per la sua rinascita la sua totale distruzione. Davide Ambrogio spiega che così non è: “Le dinamiche sociali che gravitano intorno al mondo della criminalità organizzata piuttosto che essere criticate e demonizzate a prescindere devono essere comprese. Per scardinare il sistema, bisogna capire perché un ragazzo decide di prendere in mano una pistola o spacciare droga; perché qualcuno collabora o decide di denunciare. Anziché fare un discorso contro bisognerebbe accendere una luce di speranza che sta nella lotta. E la lotta non è soltanto punire il criminale, ma anche seminare in un terreno dove c’è educazione, senso civico, bellezza”.

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Non una Calabria da distruggere e stigmatizzare, quindi, ma da ricostruire, mattone dopo mattone, edificando su basi già esistenti benché spesso trascurate. “L’immaginario – conclude Ambrogio – si crea attraverso discorsi e rappresentazioni visive. Si evocano spesso le regioni storiche di mafia attraverso un’immagine stereotipata che diventa quasi una sorta di giustificazione rispetto al brutto e alla corruzione in senso lato. Ma così si mette un velo davanti ai problemi, spostando l’attenzione su altre cose. Invece, regioni come la Calabria sono piene di esempi brillanti, utopie, accoglienza, benessere, socialità e collettività”. Viceversa “l’immaginario criminale non piò essere lasciato solo a serie tv o libri che trattano il tema in maniera approssimativa. Bisogna analizzare le questioni in forma critica così da poter squarciare quel velo e prenderci le nostre responsabilità”.

"Per uscire dall'occhio del ciclone, la Calabria deve avere la maturità di esporre i proprio problemi, quindi le soluzioni"De Rosa

“L’attuale situazione della Calabria e alcune esternazioni anche di esponenti politici secondo cui parlare di ‘ndrangheta rappresenta una cattiva pubblicità per la regione – conclude De Rosa – mi ricordano quanto succedeva fino a qualche anno fa in Campania, quando ci si lamentava del fatto che Roberto Saviano raccontasse la camorra limitandosi alla cattiva percezione di determinati luoghi. E tuttavia, la Calabria di oggi, come la Campania di allora, per uscire dall’occhio del ciclone deve avere la maturità di esporre in senso ampio i propri problemi, quindi le soluzioni. Parlare dei problemi non può che essere positivo perché smuove l’opinione pubblica su tanti livelli e da lì si può aspirare alla rinascita. La Scampia di cui parlava Saviano, ad esempio, non è la Scampia di oggi, perché a poco a poco è rinata anche grazie a quel tipo di narrazione. In questo senso, la musica è un linguaggio fondamentale perché ha la capacità di arrivare a tutti, a cominciare dai più giovani e ti trasmette in pochi minuti il portato di ore e ore di conferenze”.

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