21 febbraio 2022
Migranti trattati come criminali. Succede alla nostra frontiera, dove tutti coloro che arrivano – donne e minori sopra i 14 anni inclusi – sono costretti ad accettare una sorta di ricatto: cedere i propri dati anagrafici, le impronte delle mani e la foto del volto nella speranza di ottenere un futuro migliore nel nostro Paese. Si chiama"procedura di fotosegnalamento" e vale anche per i richiedenti protezione internazionale.
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Oggi una ricerca del centro Hermes per la trasparenza e i diritti umani digitali racconta il viaggio di questi dati: finiscono negli stessi database in cui sono raccolte le informazioni di chi ha commesso omicidi, furti e altri reati. In particolare, si tratta della banca dati Afis, utilizzata dalla polizia di Stato con l’obiettivo di tenere traccia degli individui che hanno commesso un crimine sul territorio italiano e identificare un pregiudicato più velocemente. Secondo le stime fornite dal ministero dell’Interno, in Afis sono presenti 17.592.769 cartellini fotosegnaletici, corrispondenti a 9.882.490 persone: solo 2.090.064 sono italiane, il 21 per cento. Quasi otto milioni, invece, sono straniere. Una discriminazione poco conosciuta, eppure centrale nel mondo digitalizzato. Nessuno può sottrarsi visto che, come documenta lo studio, l’iter non viene spiegato attraverso la mediazione culturale. I migranti non possono né acconsentire né opporsi."Il fatto che siano inseriti all’interno di un database riservato a pregiudicati soltanto perché hanno commesso il reato di immigrazione clandestina è significativo di come la criminalizzazione dei migranti sia iscritta nella infrastruttura tecnologica italiana", hanno scritto sul sito de lavialibera Laura Carrer e Riccardo Coluccini, autori dell’analisi.
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