(Nik Shuliahin/Unsplash)
(Nik Shuliahin/Unsplash)

Le trappole del bonus psicologico

Lo Stato ha stanziato un bonus per il sostegno psicologico per contrastare il disagio diffuso. È giusto delegare allo specialista un malessere che ha origini sociali?

Leopoldo Grosso

Leopoldo GrossoPsicologo e presidente onorario del Gruppo Abele

21 settembre 2022

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Dal 25 luglio è possibile chiedere un contributo per il sostegno psicologico, provvedimento con cui lo scorso governo ha cercato di tamponare la lacuna di interventi sul disagio diffuso, inizialmente lasciati per lo più all’iniziativa delle organizzazioni di volontariato.

La pandemia e le connesse restrizioni hanno scosso nel profondo gli equilibri di vita di molte persone. I servizi del Sistema sanitario nazionale, sottoposti a due decenni di tagli, non hanno potuto accogliere la sofferenza psichica e tantomeno andare incontro a una domanda prevalentemente muta, soprattutto di preadolescenti e anziani soli, talvolta sfociante in comportamenti distruttivi.

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Ci sarebbe molto da discutere se la delega allo specialista di un malessere che ha evidenti origini sociali possa costituire la giusta direzione delle risposte da fornire. Di certo quando la sofferenza diventa sintomatologia psichiatrica l’intervento specifico è doveroso, eppure anche nelle situazioni più gravi chi gestisce questi casi ben sa che la cura non è solo farmacologica o psicoterapeutica. Necessita di una rete di relazioni di accoglienza, utili non solo a riempire il tempo, ma necessarie per dare un diverso senso alla propria esistenza e all’impegno delle proprie energie.

C’è bisogno di un contesto sociale in grado di andare incontro al disagio, che non ne abbia paura, in modo da contribuire a contenerlo e consentirne meglio l’elaborazione attraverso la fruizione di relazioni umane che evitano la solitudine e la disperazione che spesso ne consegue, riaccendendo qualche speranza ragionevole. Un professionista della salute oggi sa che deve lavorare in questa direzione, promuovendo partecipazione, coinvolgimento, maggiore reciprocità.

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Occorre capire inoltre se il bonus psicologico, per quantità e qualità, possa rivelarsi sufficiente per le persone in difficoltà e per contribuire alla stimolazione di relazioni di maggiore reciprocità e solidarietà nei territori.

Si tratta di un’offerta congrua su un piano quantitativo? Siamo in assenza di dati epidemiologici che non siano approssimativi e puramente indiziari dello stato di bisogno. E poi, a chi sarà affidata la risposta di interventi? L’ideale sarebbe un ingaggio pubblico: in questo caso si richiederebbe l’assunzione di un numero di psicologi tale il cui costo, anche con contratto a termine, supererebbe di gran lunga il budget previsto. Se il riferimento sono gli psicologi “privati” che ognuno si cerca, diventa molto più difficile un lavoro di rete, sia tra i professionisti, sia in sinergia con altre risorse territoriali. La traduzione organizzativa del bonus comporterebbe pertanto una convenzione con gli ordini degli psicologi regionali.

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Due le correzioni che si impongono con particolare evidenza. La prima: l’attuale tetto di reddito di 50mila euro annuo andrebbe abbassato per tutelare un maggiore accesso al bonus delle classi sociali medio-basse. La seconda: per le situazioni più gravi in cui i emergessero patologie conclamate, è inevitabile il rimando alle strutture in cui sono presenti équipe attrezzate: il Centro di salute mentale per gli adulti, i servizi di neuropsichiatria infantile per bambini, preadolescenti e adolescenti.

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